Vederla parlare con qualcosa che lui non poteva scorgere e che tuttavia sapeva esistere era strano ed ebbe l’effetto di turbarlo maggiormente. Mentre la osservava alla luce delle candele, Rhodry ricordò quando era un bambino e pensava che forse il Popolo Fatato era reale e che forse lui era in grado di vederlo. A volte, allorché andava nella riserva di caccia di suo padre, aveva avuto l’impressione di scorgere qualche creatura che lo sbirciava da sotto un cespuglio o dai rami di un albero, ma quando era ancora molto piccolo aveva finito per decidere che il Popolo Fatato doveva essere soltanto una cosa di cui la sua balia parlava per divertirlo, e del resto suo padre, un indurito guerriero, aveva badato bene che in lui non ci fossero tracce di strane fantasticherie.
Adesso però sapeva che il Popolo Fatato era reale e sorrise, immaginando Tingyr Maelwaedd che restava a bocca aperta per lo stupore nello scoprire la verità. Jill intanto si venne a sedere accanto a lui sul letto, portando con sé lo gnomo.
— Eccolo qui, Rhoddo — disse. — Auguragli la buona sera.
Rhodry sentì una piccola mano afferrargli un dito.
— Buona sera — ripeté, con un sorriso. — Come sta il nostro buono gnomo?
E all’improvviso lo vide… una creatura di un grigio polveroso, con lunghi arti e un naso coperto di verruche, che sorrideva al suo indirizzo mentre gli stringeva la punta dell’indice nella piccola mano. La sua sorpresa fu tale che trattenne il respiro con un singulto.
— Lo vedi, non è così? — sussurrò Jill.
— Lo vedo. Oh, dèi!
Jill e lo gnomo si scambiarono un sorriso di trionfo, poi la creatura scomparve lasciando Rhodry ancora a bocca aperta per lo stupore.
— Questo pomeriggio ho chiesto a Nevyn come mai non potevi vedere il Popolo Fatato — spiegò Jill, con calma, come se stesse discutendo su cosa preparare per cena. — Lui mi ha detto che probabilmente potevi, considerata la tua traccia di sangue elfico, ma che non ci riuscivi perché eri convinto di non esserne in grado. Così ho pensato che se ti avessi costretto a constatare quanto il Popolo Fatato sia reale, alla fine ce l’avresti fatta.
— E avevi ragione. Per tutti gli infermi, amore! Non so cosa dire.
— Oho! Quanto è successo deve esserti sembrato davvero strano, se hai perso la parola!
— Tieni a freno la lingua! E poi, perché è tanto importante che io possa vedere il Popolo Fatato?
— Ecco, questo potrebbe tornare dannatamente utile — replicò Jill, distogliendo lo sguardo con espressione improvvisamente turbata. — Queste creature potrebbero portare messaggi e cose del genere, se dovessimo separarci ancora.
La verità che lui non valeva affrontare… che il dweomer oscuro li stava inseguendo… era tornata a riaffiorare. Come reazione, Rhodry la prese fra le braccia e la baciò con passione per scacciare quel senso di paura.
Dopo che si furono amati, Rhodry dormì come un sasso per la maggior parte della notte, ma verso l’alba fece un sogno che lo sconvolse a tal punto da spingerlo a sedersi di scatto sul letto. Intorno a lui la camera era rischiarata dal grigiore dell’alba e Jill era ancora immersa nel sonno al suo fianco. Alzatosi, s’infilò i pantaloni e si accostò alla finestra, guardando fuori per distrarsi e scacciare la sensazione destata in lui dal sogno. Il rumore prodotto da qualcuno che bussava alla porta gli strappò un grido, ma si trattava soltanto di Nevyn, che si affrettò a sgusciare dentro.
— Senti, ragazzo, mi stavo chiedendo se questa notte hai fatto qualche strano sogno.
— Per il grande dio Tarn in persona! In effetti sì.
Con uno sbadiglio assonnato Jill si sollevò a sedere, fissandoli entrambi con occhi ancora appannati.
— Parlami di questo sogno — incalzò Nevyn.
— Ecco, stavo montando il turno di guardia notturno davanti alle porte di una piccola fortezza. Sapevo che Jill era dentro e che dovevo proteggerla. Poi quest’uomo armato di spada si è avvicinato e non mi ha voluto rispondere quando gli ho chiesto la parola d’ordine; invece ha preso a insultarmi, usando ogni epiteto che io abbia mai sentito e deridendomi per il mio esilio. Infuriato come mai mi era capitato in tutta la mia vita, io ho estratto la spada con l’intenzione di sfidare quel bastardo, ma poi mi sono ricordato che ero di guardia e sono rimasto al mio posto vicino alle porte. Dopo un po’, ho pensato di chiamare il capitano, e questa è la parte più strana di tutte, perché quando il capitano è arrivato di corsa si trattava di te, e avevi una spada in mano.
— Infatti.
— Oh, suvvia — intervenne Jill. — Rhodry avrebbe avuto un sogno vero?
— Più vero di tanti altri — ribatté Nevyn. — Sai, Rhodry, devi avere un grande senso dell’onore se ti attieni ad esso perfino nel sonno. Il sogno ti stava mostrando una cosa vera usando un’immagine fantastica, come nelle canzoni del bardi: la fortezza era il tuo corpo e l’uomo che nel sogno tu hai ritenuto essere te stesso era la tua anima. Quell’uomo armato di spada era uno dei nostri nemici, che stava cercando di allontanare la tua anima dal corpo, perché quando un uomo sta dormendo l’anima può sgusciare nelle Terre Interiori. Se lo avessi inseguito tu ti saresti però trovato a combattere sul suo terreno, che è un luogo davvero molto strano, e lui avrebbe vinto.
— E cosa sarebbe successo? Sarei morto?
— Ne dubito — rispose Nevyn, indugiando poi a riflettere per un momento prima di aggiungere: — Più probabilmente lui avrebbe intrappolato la tua anima e avrebbe occupato di persona il tuo corpo. Vedi, tu avresti avuto la sensazione di continuare a sognare e saresti stato invece sotto il suo controllo. Hmm, mi chiedo chi volesse uccidere: me o Jill? Forse entrambi. In ogni caso alla fine tu ti saresti svegliato e ti saresti ritrovato con una spada insanguinata in mano e uno di noi steso morto ai tuoi piedi.
Rhodry fu assalito da un senso di nausea intenso come quello che avrebbe potuto provare mordendo un pezzo di carne marcia.
— Per fortuna sono rimasto sempre di guardia — continuò l’uomo del dweomer. — D’ora in poi, se ti capita di fare un sogno o di avere qualche pensiero che ti turba, parlamene subito, senza mai sentirti minimamente imbarazzato.
— D’accordo.
— Bene — approvò il vecchio, passeggiando avanti e indietro. — Ho appena scoperto una cosa importante, e cioè che i nostri nemici non si stanno ritirando. Quel sogno era una sfida, Rhodry: hanno intenzione di combattere fino in fondo contro di me.
Dopo il tentativo fallito di impadronirsi del corpo di Rhodry, Alastyr era stanco e piuttosto perplesso. Non si era infatti aspettato che una daga d’argento potesse avere una simile forza di volontà, anche se a rifletterci sopra era logico supporre che un guerriero avesse sviluppato un certo potere di concentrazione per sopravvivere in battaglia. La cosa più sconcertante era però la pura e semplice sensazione derivante dal contatto con la mente di Rhodry, insieme all’aspetto che il suo io astratto aveva avuto sul piano astrale. Considerata la forza mentale, sia pur grezza, di cui Rhodry disponeva, la sua proiezione di un’immagine di sogno avrebbe dovuto essere insolitamente solida, mentre essa aveva tremolato continuamente, somigliando addirittura a tratti più ad una fiamma dalla sagoma umana che ad un corpo. Consapevole che da qualche parte nel suo bagaglio di cognizioni doveva essere celata la risposta a quell’enigma, Alastyr rimase seduto in atteggiamento rilassato, lasciando la mente libera di vagare e di spostarsi da un pensiero all’altro seguendo collegamenti quasi inesistenti.
— Per il potere oscuro! — esclamò d’un tratto.
Sorpreso, Sarcyn sollevò lo sguardo e si girò verso di lui.
— Mi sono appena reso conto di una cosa — spiegò Alastyr. — Sono pronto a scommettere che Rhodry non è figlio di Tingyr Maelwaedd più di quanto sia mio figlio. Giuro che quel ragazzo è per metà un Elcyion Lacar.