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Nel suo animo, tuttavia, la paura era ormai tale da fargli pulsare il sangue nelle vene: desiderava fuggire, ma aveva al tempo stesso timore di tornare alla Confraternita per riferire un altro fallimento. Il Vecchio lo avrebbe forse perdonato, soprattutto grazie all’informazione sul sangue elfico di Rhodry che costituiva il fattore che aveva rovinato tutti i suoi calcoli, ma gli altri maestri del Sentiero Oscuro avrebbero visto in lui un debole, e una volta che un uomo s’indeboliva la sua fine probabile era quella di essere attaccato, distrutto e prosciugato del suo potere… un fato a cui sarebbe stato preferibile il suicidio.

Il pensiero della morte lo fece tremare tutto: in fin dei conti, era stata proprio la paura di morire a spingerlo verso il sentiero oscuro, tanti anni prima. Presto avrebbe dovuto decidere se fuggire o combattere… presto, molto presto. Anche se il dweomer non mandava nessun avvertimento di pericolo a quanti seguivano il Sentiero Oscuro, la pura e semplice logica gli diceva che gli restava poco tempo.

Sollevando lo sguardo dalle sue riflessioni si accorse che Sarcyn lo stava osservando.

— Che cosa vuoi? — domandò, secco.

— Volevo soltanto macellare quel coniglio per te, maestro. È mio compito servirti.

Alastyr gli porse il coltello, poi si lavò le mani sporche di sangue in un secchio d’acqua, vicino al quale Camdel sedeva accoccolato sulla paglia.

— Se saremo costretti a fuggire — osservò, — Camdel dovrà morire, perché la sua presenza servirebbe soltanto a rallentarci.

Gemendo il giovane lord si ritrasse e Sarcyn fissò il maestro con il coltello in pugno e un’espressione di furia omicida nello sguardo.

— Non ti permetterò di ucciderlo.

— Davvero? E chi sei tu per permettermi o meno di fare qualcosa?

Nel parlare, Alastyr inviò un’ondata di odio lungo il cordone che univa la sua aura a quella di Sarcyn, assestando poi una torsione data dall’ira. Quelle emozioni si tradussero in un intenso dolore fisico e Sarcyn lasciò andare il coltello, cadendo in ginocchio con il volto contorto dal tentativo di evitare che la sua sofferenza trasparisse da esso. Con un ringhio Alastyr lo liberò dal dolore e lui si accasciò tremando.

— Ora tieni a freno la lingua finché non sarai interpellato — scattò il maestro. — Io devo riflettere.

Accostatosi alla finestra, lasciò vagare lo sguardo all’esterno, sentendo la paura serrarlo in una morsa e pulsare dentro di lui; quando infine si lanciò un’occhiata alle spalle vide che Sarcyn e Camdel erano stretti uno nelle braccia dell’altro.

Stolti, pensò. Forse li ucciderò entrambi.

Allorché giunse l’ora del pasto serale, Jill lo consumò nella camera di Nevyn insieme al vecchio e a Rhodry. Anche se lei non aveva fame, Rhodry stava consumando carne arrosto e cipolle fritte con voracità, come si conveniva ad un guerriero che mangiava sempre con abbondanza prima di una battaglia perché sapeva che avrebbe potuto non godere più di un altro pasto.

Se lui è un guerriero, io cosa sono? si chiese Jill. Di certo una codarda.

Per quanto detestasse quella parola, doveva ammettere di essere terrorizzata al pensiero che il dweomer oscuro volesse catturarla per motivi a lei ignoti. Alla fine non riuscì più a sopportare di guardare gli altri due che mangiavano e si avvicinò alla finestra.

La luce dorata della sera estiva le ricordò che il mondo reale e concreto era ancora là, libero dal dweomer, ma dentro di sé sapeva che non lo avrebbe mai più visto nella stessa maniera. Un interrogativo la tormentava, spaventandola quasi quanto il dweomer oscuro: come poteva sapere tante cose riguardo al dweomer? Pur essendosi trovata coinvolta in situazioni che avrebbero lasciato sconcertata la maggior parte della gente, lei aveva capito subito molte cose per puro istinto, come il fatto che la gemma potesse mutare forma, che l’apprendista possedeva il dweomer oscuro ed era in grado di capire se lei diceva o meno la verità, che poteva comunicare con Nevyn attraverso il fuoco. Con riluttanza, lentamente, lottando ad ogni passo, cominciava ad essere costretta a convincersi di possedere non soltanto il talento per il dweomer, ma anche di possederlo in quantità notevole.

Serrando le mani intorno al davanzale si affacciò alla finestra, cercando di rassicurarsi osservando il consueto e comune trambusto di servitori nel cortile sottostante, ma un momento più tardi vide l’Airone, che era fermo in un angolo nascosto vicino alle porte della fortezza e si stava sbirciando intorno.

Deve essere qui perché vuole parlare con me, pensò, e subito si chiese perché fosse andata alla finestra proprio nel momento giusto per riuscire a vederlo.

— C’è qualcosa che non va, bambina? — domandò Nevyn. — Sei impallidita.

— Oh, non è nulla. L’Airone è fermo vicino alle porte e credo che sia meglio parlare con lui.

Invece di scendere nel cortile, Nevyn insistette per mandare un servitore a chiamare l’Airone e ad accompagnarlo da loro; il pover’uomo si mostrò talmente nervoso all’idea di trovarsi all’interno della fortezza del gwerbret che non riuscì a stare seduto e prese a camminare con irrequietezza avanti e indietro, serrando fra le mani il boccale di birra che Jill gli aveva offerto.

— Dimmi, buon erborista — esordì infine. — Sei davvero certo che non ci possano sentire?

— Lo giuro. Se necessario mentirò anche in faccia al gwerbret per proteggerti.

— Benissimo, allora. — L’Airone s’interruppe per trangugiare un sorso di birra. — Penso che abbiamo trovato gli uomini che hanno tentato di avvelenare Ogwern.

Jill impiegò qualche istante a ricordare la storiella che Nevya aveva imbastito a beneficio dei ladri, ma il vecchio si eresse di scatto sulla persona e sorrise.

— Davvero? Avanti, dimmi tutto.

— Vedi, dopo che tu ci hai avvertiti, abbiamo riflettuto seriamente sulla cosa. Doveva per forza essere stato uno straniero a mettere quell’oleofur… quello che era… nel boccale di Ogwern, perché lui è di un’onestà scrupolosa quando si tratta di riscuotere percentuali e tasse e nessuno dei ragazzi vorrebbe vederlo eliminare. Così, abbiamo pensato che un’altra corporazione stesse cercando di prendere il nostro posto e ci siamo messi in movimento, badando a tutti gli stranieri che vedevamo e seguendoli con cura. Inoltre abbiamo sparso in giro un bel po’ di monete in cambio di informazioni. Oggi, poco prima di mezzogiorno, ho avuto la fortuna di essere presente quando quel tizio è venuto a fare acquisti al mercato; qualcuno mi ha detto che si trattava del bracciante di una fattoria, ma stava comprando una gabbia piena di conigli… ora io vi chiedo, perché un contadino dovrebbe spendere soldi in conigli quando ne può catturare gratuitamente quanti ne vuole sui suoi campi?

— Una domanda più valida di quanto tu possa immaginare, amico mio.

— Così, ho preso uno dei cavalli della corporazione e ho seguito quell’uomo quando ha lasciato la città. All’inizio sono stato molto guardingo, ma lui non si è mai guardato indietro neppure una volta e dal modo in cui sedeva accasciato sulla sella sembrava che stesse male o qualcosa del genere. Ho potuto quindi seguirlo da vicino e quando ho visto che stava effettivamente andando verso una fattoria ho creduto di essere su una falsa pista. Ormai però ero là, così ho sparso qualche moneta di rame nel villaggio vicino ed ho scoperto una storia davvero strana. Quella fattoria pare appartenga ad un vecchio vedovo che con gli anni è diventato un po’ strano… al villaggio tutti pensavano che lui non avesse un parente o un amico al mondo, ma d’un tratto sono arrivati da lui degli ospiti. Uno dei ragazzi del villaggio, che aveva inseguito una vacca fino nelle vicinanze, mi ha detto di aver visto un tizio nel cortile della fattoria intento a sellare un cavallo costoso. Per fortuna il ragazzo aveva dovuto continuare a correre dietro alla sua mucca, così non era potuto andare a fare domande.