Nevyn si levò di circa tre metri al di sopra del proprio corpo, con il cordone argenteo che gli si snodava alle spalle come una lenza, e si guardò intorno, decidendo che il ruscello che solcava la valle gli sarebbe potuto tornare utile, in quanto attraversare l’acqua corrente con il corpo di luce era una cosa molto pericolosa. Nel chiarore azzurrino, il ruscello scorreva argenteo e sopra di esso fluiva la sua corrente elementare, visibile come un agitato e mutevole muro di una sostanza fumosa che sarebbe diventata un’ottima trappola se soltanto lui fosse riuscito a spingere in essa quella donnola del suo avversario. Salendo ancora più in alto, fluttuò verso la cresta della collina, perché era venuto il momento di lanciare la sua sfida.
Dall’altro lato della collina si stendeva un pascolo erboso su cui sorgeva la fattoria, una fatiscente casa rotonda cinta da un muro di terra che abbracciava anche alcune baracche e alberi da frutta così vecchi che il loro bagliore vitale tendeva più al marrone che al rosso. Notando che i sigilli erano svaniti, Nevyn sorrise fra sé. Alastyr doveva averli lasciati cadere in preda al panico non appena aveva individuato l’avvicinarsi della banda di guerra. Vedendo un uomo lasciare a precipizio la casa e dirigersi verso una baracca con le braccia cariche di sacche da sella, Nevyn decise che avrebbe fatto meglio a tenere impegnati i suoi nemici per evitare che pensassero ad uccidere Camdel.
Nel bagliore azzurro della notte, modellò quindi con la mente una lancia di luce e la scagliò con forza contro l’aura striata di nero dell’uomo che correva. Quando essa colpì il bersaglio l’uomo lasciò cadere le sacche da sella e lanciò un urlo: anche se il suo corpo fisico non aveva avvertito dolore, per la sua mente addestrata quel contatto doveva essere stato paragonabile a quello con un ferro rovente. Simile ad un falco in picchiata, Nevyn calò quindi sulla fattoria mentre l’uomo rientrava di corsa in essa.
— Alastyr! — chiamò, con un pensiero intenso e prolungato. — Alastyr, sono venuto per te!
Attraverso la luce azzurra gli giunse l’eco ululante di una risposta e Alastyr gli venne incontro a precipizio come un serpente che attaccasse sollevandosi dal suolo. Il suo simulacro era un’immensa figura avvolta in una tunica nera decorata con ricche gemme e con sigilli ricamati, e dal cordone argenteo avvolto tre volte intorno alla vita come un gonnellino pendevano parecchie teste recise. Il volto che sbirciava dalle profondità del cappuccio era pallido e crudele, gli occhi erano un brillio scuro in mezzo ai lineamenti spettrali. Nevyn invocò la Luce e sentì subito nel proprio corpo un leggero pulsare e il risplendere del potere; per tutta risposta, Alastyr divenne ancora più scuro e immenso, quasi potesse risucchiare e spegnere ogni luce dell’universo… poi la battaglia ebbe inizio, il suo scopo quello di vedere chi dei due sarebbe riuscito a infrangere il corpo di luce dell’altro e a sospingere l’anima racchiusa in esso, nuda e impotente, nella morsa del potere delle grandi forze schierate dietro ciascun opponente. Nevyn colpì per primo con un’onda di luce che fece ondeggiare Alastyr come un relitto sulle onde, e sferrò subito un secondo attacco che fece precipitare il nemico verso il basso, ma mentre lo inseguiva avvertì su di sé l’opera delle forze comandate da Alastyr… un senso di decadimento, come se un migliaio di piccoli artigli stessero cercando di lacerarlo, e questo lo costrinse a distogliere una parte notevole della sua volontà per mantenere compatto il simulacro, attingendo una quantità sempre maggiore di luce e ricostruendolo più in fretta di come Alastyr lo distruggesse. Il resto del suo potere fu dedicato all’attacco, una pioggia di frecce dorate e di lunghe lance che sospinse Alastyr di qua e di là mentre Nevyn gli girava intorno, pressandolo con la luce che percuoteva la sua oscurità e la faceva recedere.
Tutta la sua strategia era basata sulla necessità di costringere Alastyr ad uscire dalla luce azzurra e a portarsi nella sfera vera e propria delle Terre Interiori, dove Nevyn avrebbe avuto a sua disposizione forze più potenti; per il momento l’avversario era però ancora troppo forte e Nevyn continuò quindi a tempestarlo con le lance di luce mentre in risposta Alastyr inviava un’ondata di oscurità dopo l’altra ad artigliarlo. Gli occhi scuri all’interno del cappuccio bruciavano d’ira, ma quando Nevyn colpì abbastanza violentemente da staccare qualcuno dei pomposi sigilli apposti sulla tunica nera, Alastyr ululò come un animale ferito e si ritrasse. A quel punto Nevyn corse il rischio di tentare di costruire una porta dietro di lui, usando parte della sua volontà per inchiodare sul posto l’avversario e un’altra parte per aprire un sentiero verso le Terre Interiori, ma era troppo presto… Alastyr gli sgusciò di mano e riversò su di lui un flusso di oscurità simile ad un mare in tempesta.
Per un momento Nevyn precipitò verso il basso, sentendo il proprio simulacro allentarsi intorno a lui come un mantello che stesse scivolando via, e invocò la Luce con disperazione, non potendo per il momento fare altro che lottare per risanarsi e per parare gli attacchi più violenti di Alastyr, che lo stava pressando sempre più da vicino con colpi simili a macigni nella palpabile oscurità. D’un tratto vide il velo caliginoso al di sopra del ruscello farsi vicino, troppo vicino! Con violenza si girò su se stesso e saettò verso l’alto, schivando e oltrepassando lo sconcertato Alastyr prima che questi potesse reagire. Aveva però fatto appena in tempo a riparare il suo devastato corpo di luce quando il nemico gli si scagliò dietro assalendolo con fiotti di velenosa oscurità.
Nevyn gli lanciò contro un muro di luce che lacerò e dissolse le teste recise appese al cordone argenteo, ma al tempo stesso poté sentire la propria debolezza che cresceva a mano a mano che l’avversario lo incalzava e lo martellava con l’oscurità generata dalle sue mani distorte. All’improvviso però Alastyr urlò, un suono mentale che echeggiò nella luce azzurra, e prese a volare di qua e di là come una rondine a caccia di insetti su un campo: sotto di lui, il cordone argenteo pendeva tronco. Qualcuno aveva ucciso il corpo fisico di Alastyr, e Nevyn poteva supporre soltanto che fosse stata Jill, o forse addirittura Blaen.
Non c’era però il tempo di indulgere nello shock di quell’inatteso aiuto. Il simulacro di Alastyr si stava infrangendo, rivelando il doppione eterico azzurro racchiuso in esso. Mentre il maestro oscuro lottava contro l’inevitabile disgregamento, Nevyn costruì una porta di accesso alle Terre Interiori costituita da due pilastri, uno bianco e uno nero, che racchiudevano un vuoto color indaco. Non appena la struttura fu stabile lanciò una scarica di luce che sospinse Alastyr al di là di essa, affrettandosi poi a seguirlo. Anche se aveva perso la prima battaglia il nemico era tutt’altro che sconfitto, e Nevyn lo sapeva.
Si gettò quindi oltre la porta all’inseguimento del maestro oscuro in fuga ed entrambi saettarono, si librarono e precipitarono lungo il sentiero, sospinti come brandelli di pergamena da un livido vento indaco; intorno a loro echeggiavano voci… risa, urla e frammenti di parole trascinati via dalla marea indaco… e immagini di volti, di bestie e di stelle, che vorticavano e li percuotevano come uno stormo di uccelli impazziti. Nevyn scagliò davanti a sé ondate di luce, percuotendo e trapassando Alastyr fino a quando gli ultimi frammenti della tunica nera si strapparono e fluttuarono via, lacerati da buchi che si aprivano nel vuoto. Intanto il vento continuò a sospingerli in avanti e alla fine li proiettò in un bagliore di luce violetta, dove un fiume scorreva molto più in basso, pieno di un’acqua inconsistente e mutevole che non era mai stata conosciuta da nessun fiume terrestre e che nessun uomo aveva mai assaggiato. Lì regnava il silenzio, il vento non esisteva e intorno di stendevano campi di fiori… o almeno di forme simili a fiori… inconsistenti, bianchi e letali.