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Sconvolto, il doppione eterico di Alastyr fluttuò di qua e di là, cercando ora non più la vittoria ma la fuga. La Landa della Luna in cui stavano combattendo era la porta di accesso a molti altri mondi, la Landa Verde dello stesso Nevyn, quella Arancione che era il mondo della forma, la dimora lucente dei Grandi; da lì si accedeva anche alla sfera vera e propria del dweomer oscuro, al Buio dell’Oscurità, alla Terra dell’Esteriorità e dell’Apparenza. Se Alastyr fosse riuscito a fuggire lì, la sua anima avrebbe continuato a vivere, compiendo malvagità per eoni, e Nevyn poteva già vederlo mentre era impegnato a tentare di aprire una porta, agitando le mani e recitando a precipizio le parole del rito. Una lancia di luce raggiunse il maestro oscuro e lo scagliò verso l’alto proprio mentre il primo pilastro cominciava a formarsi, poi frantumò la porta in parte eretta.

Ululando, Alastyr cercò di fuggire, ma Nevyn scese in picchiata e gli riversò addosso una pioggia di luce infuocata per intrappolarlo: con una mano il Maestro dell’Aethyr scagliò una lancia di luce dopo l’altra fino a formare una sorta di gabbia dorata intorno al nemico, che si scagliò contro le sbarre lucenti e le morse in preda al panico. Reso impotente l’avversario, Nevyn procedette a costruire un’altra porta, questa volta dotata dei dorati pilastri del sole, in mezzo alla quale si allargava l’azzurro limpido di un cielo estivo.

— Non è mio il giudizio! — gridò Nevyn. — È vostro!

Attraverso i pilastri passò veloce un’enorme e mutevole lancia di luce che si abbatté su Alastyr con tanta violenza da infrangere il suo doppione eterico in un migliaio di miseri brandelli. Ci fu uno stridio, poi il pianto di un bambino piccolo. Per un momento Nevyn vide quel bambino simile alla tremolante luce di una candela, un neonato urlante che aveva gli occhi furiosi di Alastyr, poi la luce aumentò e avviluppò la minuscola forma, trascinandola oltre il portale e lungo il sentiero che portava alla Sala della Luce, dove sarebbe stata giudicata.

— È fatta! — gridò Nevyn. — È finita!

Tre possenti colpi simili a scoppi di tuono echeggiarono nella luce violetta, mentre in basso i fiori bianchissimi dondolavano le corolle, annuendo. Inginocchiandosi, Nevyn piegò il capo in un gesto che non era di adorazione ma di fedeltà, poi lasciò dissolvere il portale. In preda allo sfinimento, sentì il cordone argenteo che lo tirava verso il suo corpo, che giaceva ad una grande distanza e al tempo stesso vicinissimo.

Sarcyn estrasse la daga dal cuore di Alastyr e la pulì sul volto del maestro morto.

— Vendetta — sussurrò. — Il suo sapore è dolce come il miele.

In fretta si alzò e corse in cucina, arrivando appena in tempo per vedere il bracciante che fuggiva a precipizio dalla porta posteriore. Lo lasciò andare, perché non c’era tempo da sprecare inseguendo qualcuno che sapeva così poco su di loro. Camdel giaceva ancora sulla paglia vicino al focolare, e quando Sarcyn gli si inginocchiò accanto si ritrasse piagnucolando sommessamente alla vista del coltello.

— Non intendo ucciderti, piccolo uomo — affermò Sarcyn, riponendo l’arma. — Ti voglio liberare, perché dobbiamo andare via in fretta.

Camdel gemette e Sarcyn esitò, trattenuto da un sentimento che non riusciva del tutto a comprendere: di certo il giovane nobile sarebbe andato incontro ad una vita miserevole, indipendentemente dal piacere che avrebbe potuto trarre dai tormenti inflittigli dal suo padrone.

— Ah, dannazione! — imprecò improvvisamente. — Dopo tutto finirai per rivedere il tuo dannato padre.

Dandosi dello stolto per aver ceduto al primo impulso di compassione che avesse avvertito da anni, Sarcyn si alzò in piedi e afferrò le sacche da sella che contenevano i libri di Alastyr.

— Addio, piccolo uomo — disse.

Camdel diede sfogo all’agonia del sollievo con due sottili rivoli di lacrime che gli scivolarono lungo le guance, mentre Sarcyn correva fuori della stanza ed usciva nel cortile, dove il suo cavallo era in attesa, sellato e pronto. Dopo aver riposto i preziosi libri nelle sacche della sella, montò e si allontanò in fretta, abbandonando la strada principale e addentrandosi fra le colline… fin da quando si erano trasferiti alla fattoria aveva cominciato a progettare vie di fuga. Aveva percorso appena mezzo chilometro allorché sentì un tintinnare di finimenti che segnalava l’arrivo degli uomini del gwerbret: in fretta, scese di sella e tenne chiusa la bocca del cavallo a mano a mano che il tintinnio si faceva più forte per poi oltrepassarlo e svanire lentamente in lontananza.

— Ecco sistemato quell’idiota — sussurrò, risalendo a cavallo.

Sapeva però che il pericolo era tutt’altro che cessato. Una volta che avesse saputo del fato di Alastyr la Confraternita avrebbe mandato degli assassini a cercarlo e lui avrebbe dovuto fuggire di continuo, nascondendosi sempre e spostandosi senza sosta mentre studiava i libri e cresceva sempre più nel potere. Forse sarebbe riuscito a sfuggire ai Falchi abbastanza lungo da acquisire il potere necessario a salvargli la vita. Forse. Quella era la sola speranza che aveva.

Non appena Nevyn entrò in trance, Jill si allontanò un poco fra gli alberi, mentre Rhodry rimaneva accanto al corpo del vecchio. Intorno, la luce della luna splendeva pallida sul ruscello e trasformava le bianche betulle in alberi spettrali; nel silenzio pervaso di dweomer Jill era acutamente conscia del rumore del proprio respiro nel tenere lo sguardo fisso su Nevyn, talmente immobile da destare in lei l’impulso costante di inginocchiarglisi accanto per vedere se era ancora vivo. All’improvviso ci fu un suono alle sue spalle e lei si girò di scatto, sollevando la spada.

— È soltanto un coniglio — la tranquillizzò Rhodry.

Sapendo che lui era capace di vedere al buio, Jill tornò a girarsi e fissò lo sguardo sulla cresta della collina alla ricerca delle tracce di movimento che avrebbero indicato la presenza di nemici che avanzavano nel buio. All’improvviso Nevyn gemette e Jill si mosse verso di lui nel momento stesso in cui il vecchio si rovesciava bruscamente su un fianco. Con il vago e confuso timore che fosse stato avvelenato, Jill gli si inginocchiò vicino mentre lui si sollevava a sedere per poi buttarsi da un lato… ma sempre con gli occhi serrati e il respiro lento e calmo. Il vecchio sferrò poi un calcio che mancò di poco Rhodry e assunse una posizione prona, strisciando sul terreno con movimenti simili a quelli di un granchio che lo portarono a mezzo metro di distanza. Allorché la sua testa rischiò di sbattere contro un sasso, Jill si decise ad afferrarlo per le spalle nel tentativo di immobilizzarlo, ma la forza indotta dalla trance nel corpo del vecchio risultò essere eccessiva per lei e Nevyn si liberò facilmente dalla sua stretta tornando poi a buttarsi da un lato. Imprecando, Rhodry si gettò in avanti per dare una mano a Jill.

Per quella che parve una grottesca eternità i due lottarono con il corpo di Nevyn, che continuava a contorcersi, a sussultare e ad agitare le braccia; una volta, un pugno raggiunse in pieno Rhodry alla mascella, ma pur imprecando con maggior vigore il giovane non allentò la stretta. Entrambi erano così impegnati nello sforzo di trattenere il vecchio che Jill poté soltanto pregare la Dea che tenesse lontano gli eventuali nemici che potevano esserci nelle vicinanze. Finalmente, Nevyn si accasciò, e la ragazza lo vide sorridere alla luce della luna; la sua bocca si mosse come se lui stesse parlando, poi il vecchio giacque del tutto immobile.