Mentre si allontanava, Gweniver si sentì lusingata che un uomo tanto potente si preoccupasse per lei.
Alla luce delle torce affisse alle pareti, l’esercito si stava radunando nel cortile. Sbadigliando a causa delle poche ore di sonno, Ricyn si aggirò fra gli uomini, gridando ordini perché si affrettassero, mentre carri carichi di provviste passavano fragorosi poco lontano, con i carrettieri assonnati che facevano schioccare le lunghe fruste. Guardandosi intorno, Ricyn sorrise: era giunto il giorno che aveva sempre sognato, quello in cui sarebbe andato in guerra come capitano e non come un semplice guerriero. Uno alla volta, i guerrieri condussero i cavalli all’abbeveratoio, e Ricyn si diresse verso Camlwn, che teneva per le redini anche il cavallo di Dagwyn.
— Dov’è Dagwyn? — gli chiese.
Per tutta risposta Camlwn accennò con un pollice in direzione delle vicine stalle, dove Dagwyn e una serva delle cucine si stavano abbracciando appassionatamente nell’ombra proiettata da una parete.
— Un ultimo dolce addio — commentò Camlwn, sogghignando. — Non so proprio come faccia, ma sono pronto a giurare che ha stregato una ragazza in ogni fortezza dove siamo stati.
— Se non addirittura due. Daggo, vieni! Risparmia il resto per quando torneremo a casa!
Le sommesse note argentee del corno di Lord Dannyn si diffusero per la fortezza, e Dagwyn si staccò dalla ragazza fra le beffe e i fischi dei compagni. Scandendo alcuni ordini, Ricyn montò in sella e al suo orecchio il familiare tintinnio che la banda di guerra produsse nel seguire il suo esempio suonò più dolce del canto di qualsiasi bardo; il giovane condusse quindi i suoi uomini sul davanti della fortezza dove il resto dell’esercito, che ammontava complessivamente a trecento uomini, era in attesa davanti alle porte insieme ai carri, ai cavalli da soma e ai servi che erano raccolti da un lato. Liberando il proprio cavallo dalla confusione, Gweniver andò a prendere posto accanto a Ricyn.
— Buon giorno, mia signora — salutò questi, accennando un inchino sulla sella.
— Buon giorno. Tutto questo è splendido, Ricco: non sono mai stata così eccitata in tutta la mia vita.
Ricyn sorrise, pensando che Gweniver era come un ragazzo alla sua prima esperienza di guerra: sembrava quasi impossibile che lei fosse là con loro, indossando la cotta di maglia come tutti quanti, con il cappuccio gettato all’indietro a rivelare i corti capelli dorati e il tatuaggio azzurro sulla guancia. In alto il cielo si tinse di grigio e schiarì sempre più fino a offuscare il bagliore delle torce; sulle porte, i servi agganciarono le catene agli argani mentre Lord Dannyn faceva spostare il suo massiccio cavallo nero lungo lo schieramento, soffermandosi qua e là a parlare con qualcuno per poi raggiungere infine Gweniver.
— Vostra Santità cavalcherà con me in testa allo schieramento — annunciò.
— Ma davvero? E a cosa devo questo onore?
— Alla tua nobile nascita — ribatté Dannyn, con un sottile sorriso, — che è dannatamente migliore della mia. Giusto?
Mentre si incamminavano, Ricyn fissò lo sguardo sulla schiena di Dannyn con un sentimento di odio crescente.
Per tutto il mattino l’esercito procedette verso occidente sulla strada costiera che si snodava lungo le alture che affiancavano il mare. Da dove si trovavano, Ricyn poteva vedere l’oceano che scintillava azzurro e punteggiato di bianco nel riversare le sue lente onde sulla spiaggia sottostante, mentre sulla destra si allargavano i campi ben coltivati delle tenute personali del re, distese di stoppie dorate dove era possibile di tanto in tanto vedere un contadino che camminava piegato per raccogliere le ultime spighe del primo raccolto. In condizioni normali, Ricyn si sarebbe messo a fischiettare mentre cavalcava, perché quella era una splendida mattina ed erano diretti incontro alla gloria, ma quel giorno cavalcò invece avvolto nei suoi pensieri, solo in testa alla banda di guerra invece che al fianco della consueta compagna di viaggio. Di tanto in tanto, quando la strada descriveva una curva, poteva vedere Gweniver molto più avanti, e ogni volta desiderava averla invece accanto.
Quando quella notte le truppe si accamparono sui vasti prati che si allargavano a ridosso delle alture, Gweniver raggiunse però il suo fuoco da campo con le braccia piene del proprio equipaggiamento e Ricyn si affrettò a scattare in piedi per liberarla di quel carico.
— Avresti dovuto permettermi di occuparmi del tuo cavallo, mia signora — protestò.
— Oh, se è necessario sono capace di picchettare un cavallo. Intendo dividere il tuo fuoco.
— Questo mi rallegra. Mi cominciavo a chiedere per quanto tempo ancora Lord Dannyn ti avrebbe tenuta accanto a sé.
— E questo cosa vorrebbe dire, esattamente?
— Nulla più di ciò che ho detto, mia signora. Ora vado ai carri a prenderti qualcosa per cena.
Gweniver lo seguì con lo sguardo, con le mani piantate sui fianchi, mentre lui si affrettava ad allontanarsi, e nel camminare Ricyn imprecò contro la propria bocca troppo larga. Al suo ritorno, la trovò seduta accanto al fuoco e intenta a cercare qualcosa nelle sacche della sella, che però accantonò subito per prendere il pane e la carne secca che lui le porgeva. Mangiarono in silenzio, e per tutto il tempo Ricyn fu consapevole che Gweniver lo stava fissando di sottecchi.
— Perché hai avanzato quel commento a proposito del nostro bastardo? — chiese infine la ragazza. — Voglio la verità.
— Ecco, noi e tutto il dannato esercito onoriamo il tuo voto. Lo onora anche lui?
— Non ha altra scelta. Cosa ti induce a pensare che possa essere altrimenti?
— Nulla, mia signora. Ti chiedo scusa.
Gweniver esitò, scrutandolo con sospetto, poi si girò e prelevò un paio di dadi dalle sacche della sella, passandolo da una mano all’altra come un cavaliere incallito.
— Hai voglia di giocare? — propose. — Possiamo usare le schegge di legno come posta.
— Certo, mia signora. Tira tu per prima.
Con un gesto deciso, Gweniver scagliò a terra i dadi alla luce del fuoco.
— Cinque, per gli dèi! — gemette — Allora tocca a te, ma spero che questo sia l’ultimo cinque che vedrò d’ora in poi.
Giocarono a dadi per tutta la sera senza che Gweniver menzionasse più il nome di Lord Dannyn; il mattino successivo, però, andò a parlare con il capitano del re e di lì a poco tornò con la notizia che da quel momento avrebbe cavalcato con i suoi uomini.
L’aria era pervasa da una fitta nebbia di mare, che la rendeva gelida come in inverno e che intrise di umidità il mantello dei guerrieri quando si rimisero in cammino in mezzo allo strano silenzio causato dalla foschia. Anche se Gweniver borbottò e imprecò come tutti gli altri contro quella nebbia, essa risultò alla fine una benedizione; verso mezzogiorno arrivarono infatti a Morlyr, un piccolo porto a circa cinquanta chilometri dal confine con Eldidd, e trovarono le porte sprangate. Non appena Dannyn gridò di aprire in nome di Glyn, alcune guardie si affacciarono dai bastioni sulla sommità delle mura di pietra.
— Sono uomini di Cerrmor, per gli dèi! — urlò una di esse. — Aprite le porte, ragazzi! Siamo davvero lieti di vederti, Lord Dannyn.
— Perché? Ci sono stati problemi?
— Ce ne sono stati fin troppi. Le navi di Eldidd incrociano all’esterno del porto e i razziatori di Eldidd depredano e incendiano le fattorie che sorgono lungo la strada, verso nord.
D’un tratto, Ricyn si trovò ad apprezzare profondamente la nebbia, la cui bonaccia teneva le navi da guerra nemiche bloccate al largo, dove non potevano effettuare scorrerie o bruciare il porto. Una volta oltrepassate le porte, si vennero a trovare in una città che sembrava una fiera: da un raggio di parecchi chilometri tutt’intorno, infatti, i contadini avevano cercato la protezione delle sue mura portando con loro le famiglie, il bestiame e i maiali. Ogni strada era adesso trasformata in un accampamento dove le donne si adattavano a vivere in rozze tende e i bambini correvano di qua e di là fra i fuochi inseguiti dai cani. Dapprima Dannyn tentò di trovare un luogo dove far fermare i suoi uomini, poi si accontentò di lasciare che si sparpagliassero lungo le vie ingombre di bestiame. Gweniver e Ricyn si fecero largo in mezzo a quella confusione fino ad arrivare accanto a lui.