— Pare che gli abitanti siano fuggiti in tempo, mia signora — osservò Ricyn.
— Sembra di sì. Guarda!
Accanto alle rovine si allargava un prato che costituiva il pascolo comune del villaggio, delimitato da una fitta macchia di pioppi; fra gli alberi era possibile scorgere donne che tenevano stretti a sé i bambini e uomini che brandivano forconi, falci, bastoni e ogni sorta di armi improvvisate che erano riusciti ad afferrare al sopraggiungere dei razziatori. Smontata di sella, Gweniver andò ad affiancarsi a Dannyn per ricevere due vecchi che si stavano dirigendo verso di loro; i due fissarono per un momento il tatuaggio azzurro della ragazza e subito s’inginocchiarono.
— Siete uomini di Cerrmor — affermò uno di essi.
— Infatti — confermò Dannyn. — Quando è accaduta la scorreria? Quanti guerrieri vi hanno assaliti?
— È successo due giorni fa, Vostra Signoria — rispose uno dei vecchi, con espressione riflessiva. — È però difficile dire quanti fossero, perché sono praticamente sbucati dal nulla. Il giovane Molyc era fuori a pascolare le vacche, capisci, e se non fosse stato per lui saremmo morti tutti. Lui però li ha visti ed è corso a dare l’allarme.
— E come ha fatto Molyc a capire che erano nemici?
— Avevano lo scudo azzurro con il disegno di un drago d’argento, e Molyc non aveva mai visto nulla del genere in tutta la sua vita… quindi ha pensato che non fosse nulla di buono.
— Ed ha avuto ragione — commentò Dannyn, lanciando un’occhiata a Gweniver. — Sapete cosa significano quegli scudi? Che quei razziatori facevano parte delle truppe personali del re, e le truppe del re sono sempre comandate da un principe di sangue reale.
— Un principe? — Il vecchio sputò per terra nel ripetere quella parola. — Doveva essere un principe molto povero, per avere tanto bisogno delle nostre vacche. Ci hanno preso tutto quello che avevamo, mio signore: le vacche, i polli e ogni dannata provvista che possiedevamo.
— Non ne dubito. In ogni caso, per un po’ mangerete bene perché vi lasceremo tutte le scorte di cui possiamo fare a meno e un paio di cavalli da soma che potrete forse barattare in cambio di sementi di grano.
Il vecchio scoppiò in pianto con singhiozzi convulsi e baciò la mano a Dannyn, mentre Gweniver dal canto suo lo fissava con espressione sorpresa, in quanto si era aspettata che si curasse dei contadini ancor meno di quanto facevano gli altri nobili, che già quasi li ignoravano. Sentendo il suo sguardo su di sé, Dannyn si girò a guardarla con un sorriso ironico.
— So cosa significa non avere nulla — disse, — e lo ricordo in ogni giorno della mia vita. Questo però è qualcosa che tu non capirai mai, vero, mia nobilissima dama?
Imbarazzata, Gweniver si allontanò a grandi passi, ma il primo ordine che impartì fu diretto ai carrettieri, perché scaricassero le provviste destinate alla gente del villaggio.
Una volta che le truppe si furono accampate per la notte e che le sentinelle furono al loro posto, Gweniver raggiunse Dannyn accanto al suo fuoco per un consiglio di guerra: nel gioco di contrasti creato dalla luce danzante delle fiamme e dalle ombre da essa generate il volto di Dannyn appariva cupo mentre lui disegnava per terra una mappa della valle del fiume.
— Presto o tardi dovranno tornare a sud per incontrarsi con le loro navi — disse, — e allora li prenderemo, se ancora non lo avremo fatto.
— Infatti. Se però riuscissimo a catturare vivo questo principe avremmo una bella preda da riportare a casa.
— Cosa? Preferirei riportare indietro la sua testa su una picca.
— Non essere stupido. Se terremo in ostaggio un principe del regno potremo far cessare le scorrerie senza menare un solo colpo di spada.
Dannyn fischiò sommessamente e sollevò lo sguardo a fissarla.
— Ebbene, mia signora, qualsiasi cosa io possa aver mai pensato della tua abilità con la spada non ci sono comunque dubbi che tu comprenda a fondo l’arte della guerra. D’accordo, allora, faremo del nostro meglio per intrappolare questo principe come un coniglio.
L’indomani alcuni esploratori montati sui cavalli migliori precedettero il grosso delle truppe, aggirandosi in cerchio intorno e davanti ad esso come gabbiani intorno ad una nave prossima ad entrare in porto. Poco dopo mezzogiorno gli esploratori trovarono il punto in cui i nemici si erano accampati la sera precedente: in mezzo al tratto di erba appiattita e cosparsa dei consueti rifiuti che una grossa banda di guerra si lasciava sempre alle spalle, c’erano due buche per il fuoco e i resti di alcune ossa di manzo. Due bestie fra quelle razziate non sarebbero mai più tornate al villaggio, ma le tracce indicavano con chiarezza che i razziatori si stavano ancora trascinando dietro una cinquantina di capi di bestiame.
— E questa è la loro condanna a morte — dichiarò allegramente Dannyn. — Anche appesantiti da quei dannati carri noi possiamo comunque viaggiare più in fretta di loro che sono rallentati dal bestiame. Ecco cosa faremo una volta che saremo vicini. Ci lasceremo alle spalle i carri e c’incammineremo per tempo per sorprenderli sulla strada. Naturalmente il principe sarà alla testa dello schieramento, quindi manderemo un cuneo dei miei uomini migliori contro la linea alle sue spalle per isolarlo dagli altri, mentre il resto dei ragazzi sospingerà lo schieramento nemico contro il loro convoglio di provviste. Tu, io e una manciata di uomini scelti punteremo invece dritto verso il principe e lo assaliremo. Cercate di non farlo cadere di sella, perché se dovesse morire calpestato perderemmo il nostro ostaggio.
— Sembra un piano perfetto, e sono lieta che tu intenda includere in esso me e la mia banda.
— Abbiamo bisogno di tutti gli uomini di cui disponiamo, anche se uno di essi è una donna.
Per il resto della giornata Dannyn costrinse le truppe a procedere in fretta tenendosi in fondo alla colonna e incitando di continuo i carrettieri. Procedendo in solitario splendore alla testa delle truppe, Gweniver raccolse i rapporti degli esploratori e diresse docilmente la marcia secondo le loro indicazioni; quando infine l’esercito si accampò, circa un’ora prima del tramonto per dare ai cavalli il tempo di pascolare, gli esploratori garantirono che gli uomini di Eldidd erano ad appena sette chilometri di distanza. La cosa migliore era però il fatto che non si era scorta traccia di esploratori nemici, un atteggiamento confortantemente arrogante da parte del principe.
Mentre giocava a dadi con Ricyn, usando come posta pezzetti di legna da ardere, Gweniver lo mise al corrente delle novità.
— Bene, mia signora, a quanto pare domani avremo modo di divertirci.
— Infatti. Tu cavalcherai con me, quando attaccheremo il principe.
Sorridendo, Ricyn gettò ai sua volta i dadi, ottenendo un cinque che gli fece perdere la partita; quando lui le porse i due pezzetti di legno della posta, Gweniver ricordò improvvisamente come in passato il giovane le avesse offerto le prime viole primaverili, con timidezza e senza mai dire una parola, anche se doveva aver passato ore intere a cercarle, e si chiese come avesse potuto essere tanto cieca da non avere mai il sospetto che quel guerriero di umile nascita fosse innamorato di lei da tanto tempo.
— Ti vuoi decidere a tirare? — chiese Ricyn. — Sto perdendo troppo per permetterti di ritirarti proprio adesso dal gioco.
Mentre obbediva, lei pensò che non le importava minimamente che a volte lui si dimenticasse l’appellativo «mia signora» o che la sgridasse se faceva qualche stupidaggine, il che era strano se si considerava che i suoi fratelli avrebbero fatto frustare Ricyn per simili impertinenze. Riflettervi sopra la indusse a chiedersi se anche lei, a modo suo, lo amasse, ma ormai era troppo tardi per porsi interrogativi del genere, perché adesso apparteneva soltanto alla Dea, per sempre.