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— Dannazione! — esclamò Dagwyn. — Devono aver visto il dannato cavallo del principe.

Girata di scatto la cavalcatura, Gweniver estrasse la spada e si lanciò alla carica verso il nemico, emettendo la sua ululante risata e vedendo la nebbia rossastra che tornava a velarle lo sguardo. I due uomini in testa al gruppo deviarono però sulla sua destra in modo da aggirarla e si diressero verso il principe: subito Gweniver accennò a voltare il cavallo per tornare indietro, ma ben presto un altro guerriero puntò dritto verso di lei. La sua risata si trasformò in un lamento mentre lei abbandonava ogni precauzione ed eseguiva un affondo, sporgendosi pericolosamente sulla sella senza neppure pensare a proteggersi. Lo scudo già incrinato si ruppe sotto il colpo dell’assalitore ma la Dea guidò il colpo di Gweniver, così violento da trapassare la cotta di maglia. L’uomo scivolò di sella morto e lei voltò immediatamente il cavallo, perché tutto ciò a cui riusciva a pensare era Ricyn, in pericolo alle sue spalle.

Ormai gli uomini di Cerrmor avevano raggiunto gli avversari e si lanciarono verso il principe in una carica ululante, attraverso la quale Gweniver poté vedere il cavallo bianco che sgroppava e indietreggiava sotto il proprio impotente cavaliere. Le spade brillarono nell’aria e il grido di guerra di Ricyn giunse fino a lei mentre si scagliava nel fitto della mischia.

— Ricco! Dagwyn! — urlò. — Sono qui!

Forse era ridicolo, ma Dagwyn rispose al suo urlo con un grido di guerra e prese a difendersi come un demonio. Fianco a fianco, lui e Ricyn stavano soprattutto parando gli attacchi nel disperato sforzo di rimanere in sella in mezzo alla selva di spade nemiche. Altrettanto disperata, Gweniver calò la spada sulla schiena di un avversario, ruotò sulla sella e parò a stento un attacco laterale. Adesso poteva udire dietro e intorno a sé voci di Cerrmor, ma continuò ad attaccare senza cessare di ridere, sentendo i colpi avversari che rimbalzavano sulla sua cotta di maglia e rispondendo senza posa ad essi fino a quando riuscì ad aprirsi un varco e ad arrivare accanto a Ricyn: il cavallo del giovane si stava accasciando, morente, e il suo volto era rigato di sangue.

— Sali dietro di me! — gridò Gweniver.

Ricyn si gettò di sella nel momento in cui la sua cavalcatura crollava, e nonostante le difficoltà causate dai movimenti nervosi del cavallo si affrettò a montare dietro Gweniver, che continuava intanto a parare e a colpire quasi alla cieca. Un uomo di Eldìdd si scagliò contro di loro ma subito lanciò un urlo e si contorse quando un guerriero di Cerrmor lo colpì alle spalle. Imprecando con quanto fiato aveva, Dannyn si fece quindi largo in mezzo alla confusione e afferrò le redini del cavallo bianco del principe mentre intorno a loro la marea di morte si placava lentamente e gli ultimi razziatori venivano inseguiti lungo la strada. All’improvviso Gweniver sentì la Dea abbandonarla e scoppiò in pianto come una bambina che si fosse addormentata fra le braccia della madre e al risveglio di fosse ritrovata sola in un letto sconosciuto.

— Per tutti gli inferni! — scattò Dannyn. — Sei ferita?

— No. Un momento fa la Dea aveva le sue mani su di me, ma adesso è scomparsa.

— Io l’ho vista — affermò Ricyn, con voce debole. — Quando vai in battaglia, Gwen, tu sei la Dea.

Gweniver si girò a guardarlo: il giovane aveva una mano premuta contro un taglio sanguinante che gli solcava il volto e i suoi occhi erano socchiusi per il dolore, ma la tranquilla convinzione che gli permeava la voce faceva paura.

— Dico sul serio — insistette Ricyn. — Tu sei la Dea, per me.

DUE

Circa quattro settimane dopo esserne partita per intraprendere la sua prima campagna, Gweniver tornò a Dun Cerrmor come guerriera ormai provata. Dal momento che voleva tenere la maggior parte delle sue truppe lungo il confine di Eldidd ancora per qualche tempo, Dannyn aveva incaricato lei e la sua banda di guerra di scortare a Cerrmor la loro preda, che era risultata essere il Principe Mael di Aberwyn, il figlio più giovane della casata di Eldidd. Nell’entrare nel cortile, Gweniver sollevò lo sguardo verso l’incombente complesso della rocca e si rese conto di appartenere adesso a quel luogo che ormai non la intimidiva più con il suo splendore, in quanto costituiva soltanto un posto dove vivere fra una campagna e la successiva.

Indirizzando appena un cenno del capo allo sciame di servi e di paggi venuto ad accoglierli, Gweniver smontò di sella e aiutò Ricyn a tagliare i legami che assicuravano alle staffe i piedi del loro prigioniero. Il Consigliere Saddar uscì a precipizio dalla rocca proprio mentre Mael scendeva di sella, e il principe degnò tanto la fortezza quanto il dignitario che s’inchinava di un tenue sorriso pieno di disprezzo.

— Il nostro signore è nella camera delle udienze, Vostra Santità — avvertì Saddar. — Abbiamo ricevuto i tuoi messaggi e Sua Altezza è estremamente ansioso di vedere il principe.

— Bene. Ti garantisco che sarò dannatamente lieta di liberarmi di lui, perché è stato una compagnia davvero noiosa per tutto il viaggio.

Quattro uomini della guardia personale di Glyn li accompagnarono nella camera delle udienze, all’interno dell’edificio principale della rocca. Ad un’estremità della camera c’era una piccola piattaforma coperta di tappeti, alle cui spalle erano appesi due enormi arazzi, il primo raffigurante Re Bran nell’atto di fondare la Città Santa e il secondo rappresentante quello stesso sovrano mentre guidava una carica. Re Glyn era in attesa su un seggio dall’alto schienale, abbigliato con gli abiti da cerimonia: una tunica candida riccamente decorata, una spada d’oro al fianco e il plaid reale fissato su una spalla con l’enorme spilla regale che indicava in lui il sovrano. Schiariti da poco, i capelli biondi gli si allargavano rigidi intorno al volto come se un vento personale stesse soffiando su di esso. Il sovrano accolse l’ingresso di Mael e di Gweniver, entrambi laceri e sporchi per il viaggio, con un piccolo cenno della mano adorna di anelli, in risposta al quale Gweniver si inginocchiò. Mael rimase invece in piedi, fissando con espressione tranquilla Glyn, che in fin dei conti era un suo pari per rango.

— Salute a te — esordì il re. — Pur non riconoscendo e contestando i diritti che il tuo clan avanza sul mio trono, sono perfettamente consapevole dei diritti che tu hai verso il tuo e ti garantisco che durante la tua permanenza qui sarai trattato con ogni cortesia.

— Davvero? — scattò Mael. — In ogni caso si tratterà delle cortesie che una corte grezza come questa può offrire.

— Vedo che il principe ha uno spirito forte — ribatté Glyn, concedendosi un piccolo sorriso. — Presto invierò alcuni araldi presso la corte di tuo padre per annunciare formalmente la tua cattura. Desideri mandare qualche messaggio insieme al mio?

— Sì, una lettera per mia moglie.

Gweniver rimase onestamente sorpresa, perché sebbene fosse pratica comune da parte delle casate reali far sposare molto presto i loro eredi, Mael sembrava così giovane lì in piedi nei suoi abiti sporchi da rendere difficile credere che fosse sposato.

— Mia moglie era prossima al parto quando sono partito, Vostra Santità — spiegò Mael, indirizzandole un leggero inchino. — Forse cose del genere sono per te prive d’interesse, ma il suo benessere costituisce per me una notevole preoccupazione.