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— È una cosa che hai imparato nella fattoria di tuo padre? — chiese, secco.

— Infatti, mio signore — replicò Ricyn. — Ad essere il figlio di un contadino si imparano un sacco di cose, come per esempio a distinguere un cavallo purosangue da un ronzino.

— E questo cosa vorrebbe dire? — domandò Dannyn, posando la mano sull’elsa della spada.

— Esattamente ciò che ho detto… mio signore — ritorse Ricyn, imitando il suo gesto.

Con un’esclamazione Dannyn estrasse l’arma, ma nel momento stesso in cui lo faceva intravide un bagliore metallico e subito dopo sentì un bruciore al polso che gli fece volare l’arma di mano. Imprecando, si ritrasse di un passo proprio mentre Gweniver colpiva di piatto il braccio di Ricyn con la spada, in modo da costringerlo ad abbassarlo: la ragazza era stata più rapida di entrambi nell’estrarre l’arma.

— Basta così, tutti e due — ringhiò Gweniver. — Cosa credete che sia, una cagna in calore?

Ricyn ripose la spada e indietreggiò.

— Per tutti gli dèi — continuò intanto Gweniver, — giuro che ucciderò il primo di voi due che ricomincerà questa storia, anche a costo di finire impiccata. Mi avete capita?

Ricyn le volse le spalle e fuggì di corsa verso le baracche mentre Dannyn si massaggiava il polso indolenzito e lo seguiva con lo sguardo, accigliato il volto, spostando poi la sua attenzione su Gweniver quando lei gli batté un colpetto contro il petto con la punta della spada.

— Se dovessi pressarlo troppo in battaglia fino a provocare la sua morte, io ti ucciderò — scandì la ragazza.

Non c’era dubbio che stesse parlando sul serio. Rifiutandosi di rispondere, Dannyn raccolse da terra la spada, e soltanto allora si accorse della piccola ressa di spettatori che stavano osservando la scena con un sogghigno, pensando senza dubbio che si era meritato la figura fatta, da quel bastardo che era. In preda ad una cieca rabbia, tornò a grandi passi verso la fortezza e salì di corsa nella propria stanza, dove si gettò sul letto tremando per la rabbia. A poco a poco, però, la sua furia si placò fino ad essere sostituita da un gelido senso di disperazione: benissimo, allora, se quella cagna preferiva un puzzolente contadino che se lo tenesse. Se davvero dividevano lo stesso letto, ben presto la Dea avrebbe punito entrambi. Con un sospiro, Dannyn si sollevò a sedere, consapevole che probabilmente i due non stavano facendo nulla di simile, e decise che da quel momento avrebbe dovuto tenere sotto stretto controllo la propria gelosia, per evitare di cedere ad un’ira ancora più intensa del suo desiderio.

Per il resto della giornata Ricyn evitò Gweniver, ma durante il pasto serale nella grande sala si trovò ad osservarla mentre lei sedeva sulla piattaforma insieme al resto dei nobili e fu per lui un vero tormento ricordare come si era coperto di vergogna al suo cospetto. Si era dimenticato della Dea… questa era la pura e semplice verità. Per un momento aveva pensato a lei soltanto come a una donna e non alla sacra sacerdotessa che in effetti era, e il fatto che anche Dannyn avesse commesso lo stesso errore non costituiva una scusante: la Dea aveva accettato e segnato Gweniver come propria e non c’era altro da aggiungere. Quando ebbe finito di mangiare Ricyn si versò un secondo boccale di birra e la bevve lentamente, riflettendo sul modo in cui doveva fare ammenda, non nei confronti di Gweniver ma della Dea, in quanto non aveva il desiderio di morire nella prossima battaglia soltanto perché la Dea voleva vendetta.

— Torni con noi agli alloggiamenti? — gli chiese Dagwyn. — Potremmo fare una partita a dadi.

— Ti seguirò fra un momento. Avevo in mente di scambiare due parole con quel vecchio erborista.

— Perché?

— Nulla che ti riguardi.

Con una scrollata di spalle Dagwyn si alzò e si allontanò. Ricyn non avrebbe saputo dire con certezza perché pensasse che Nevyn possedesse delle cognizioni in merito alla Dea Oscura, ma quel vecchio sembrava così saggio che valeva la pena di tentare. Dall’altro lato della sala Nevyn era prossimo a finire la propria cena ed era immerso in una conversazione con il mastro dell’armeria, quindi Ricyn decise di attendere che avesse finito di parlare e di seguirlo poi all’esterno. A gruppetti, gli altri cavalieri del Lupo lasciarono il tavolo fino a quando lui rimase solo in una piccola isola di silenzio all’interno della sala rumorosa. Procuratosi un terzo boccale di birra, si appoggiò allo schienale della sedia e imprecò fra sé contro il mastro dell’armeria per la sua lingua troppo lunga.

— Capitano? — chiamò qualcuno alle sue spalle.

Era Lord Oldac, con i pollici infilati nella cintura della spada. Anche se non gli aveva mai perdonato il fatto di aver definito Gweniver una smorfiosetta, Ricyn si alzò e s’inchinò, come il rango di Oldac lo costringeva a fare.

— Mi piacerebbe scambiare qualche parola con te — disse Oldac. — Usciamo di qui.

Ricyn lo seguì fuori della porta posteriore e nel fresco del cortile, dove si arrestarono nel fascio di luce che scaturiva da una finestra, mentre Oldac attendeva che un paio di cameriere si allontanassero abbastanza da non poter sentire la loro conversazione.

— Cos’è stato quel piccolo diverbio che hai avuto oggi con Lord Dannyn? — domandò quindi il nobile.

— Chiedo scusa a vostra signoria, ma non vedo in che modo questo ti possa riguardare.

— Oh, senza dubbio non mi riguarda, ma sono soltanto dannatamente curioso. Uno dei paggi ha detto che Lord Dannyn ha insultato Sua Santità e che tu hai preso le sue difese.

Per Ricyn fu una tentazione mentire e lasciare che quella storia per lui meno vergognosa continuasse a circolare.

— Ecco, mio signore, non è vero — rispose invece. — Ho detto qualcosa che Lord Dannyn ha interpretato in senso offensivo e la mia signora è intervenuta.

— Il nostro bastardo è di certo un po’ troppo suscettibile, vero? — Stranamente, Oldac sembrava deluso. — Bene, ero soltanto curioso.

Quando tornò nella sala, Ricyn scoprì che Nevyn se ne era già andato. Imprecando mentalmente contro Oldac, chiese informazioni ad un paggio e apprese che il vecchio si era ritirato nella sua stanza. Per un momento Ricyn esitò, timoroso di disturbare un uomo che a detta di tutti possedeva il dweomer, ma alla fine rifletté che se non avesse placato la Dea ne sarebbe andato della sua vita e si recò nella camera di Nevyn, dove trovò il vecchio intento a suddividere le sue erbe alla luce di una lanterna.

— Buon signore — esordì, — potrei scambiare qualche parola con te?

— Ma certo, ragazzo. Entra e chiudi la porta.

Dal momento che nell’alloggio di Nevyn c’era soltanto una sedia, Ricyn rimase in piedi vicino al letto, a disagio, e abbassò lo sguardo sulle erbe dall’aroma dolce.

— Non ti senti bene o qualcosa del genere? — gli chiese Nevyn.

— Oh, non sono venuto per le tue erbe. Senti, tu mi sembri un uomo veramente saggio… sai se la Dea Oscura sia disposta ad accettare anche le preghiere di un uomo?

— Non vedo perché non dovrebbe. Dopo tutto, Bel ascolta anche le preghiere delle donne, giusto?

— Bene. Sai, non potevo chiederlo alla mia signora perché sono dannatamente certo di averla offesa e temo di aver offeso anche la Dea. Così ho pensato che forse avrei potuto fare ammenda alla Dea per conto mio, perché non voglio morire nella prossima scorreria a cui parteciperò. Fare ammenda è però dannatamente difficile, considerato che la Dea non ha neppure un tempio adeguato in cui potersi recare.

Nevyn lo fissò con un’espressione sconcertante che esprimeva al tempo stesso esasperazione e ammirazione.

— Ecco, senza dubbio la Dea lo capisce — rispose infine. — In un certo senso, non ha bisogno di un tempio, perché la notte è la sua casa e l’oscurità il suo altare.