— C’è qualcosa che non va? — le chiese Ricyn.
— Non riesci a vederli? Guarda là.
Assolutamente perplesso, Ricyn sbirciò nella direzione indicatagli e gli spettri sorrisero, come se pensassero che il giovane era cambiato ben poco dall’ultima volta che lo avevano visto. Proprio in quel momento qualcuno lanciò un grido di avvertimento e lungo la strada apparve una nuvola di polvere, annunciando che i Cinghiali stavano venendo a sfidarli. Nel complesso i nemici erano duecento, ed erano convinti di avere di fronte appena centocinquanta avversari. Dannyn spinse leggermente avanti il cavallo e Burcan fece lo stesso.
— Siete uomini di Cerrmor, vero? — gridò il capo del Cinghiale. — Vedo però che avete con voi gli stendardi del Lupo.
— Li vedi perché i Lupi hanno chiesto al vero re di difendere le terre della loro famiglia.
— Hah! Il vero re di Dun Deverry mi ha assegnato queste terre in base al diritto derivante dalla faida di sangue fra noi e i Lupi.
— Tutto si riduce ad un re contro un altro re, vero? — replicò Dannyn, con un’allegra risata. — Razza di miserabile parodia di un nobile porco.
Con un ululato Burcan gli scagliò contro il giavellotto che Dannyn parò con calma con lo scudo, mandandolo a rimbalzare per terra. Urlando e gridando gli uomini del Cinghiale si lanciarono all’attacco mentre altri giavellotti solcavano sibilando l’aria. Spronando il cavallo in avanti, Gweniver estrasse la spada: voleva arrivare fino a Burcan, dannazione a lui e anche a Dannyn che stava duellando con il nobile nemico proprio nel centro della mischia. I due schieramenti si scontrarono e i guerrieri presero a dividersi in piccoli gruppi che ruotavano e vortìcavano gli uni contro gli altri in una frenetica e urlante massa di duelli singoli. La risata di Gweniver cominciò ad echeggiare mentre lei si apriva un varco a colpi di fendenti, e proprio quando arrivò accanto a Dannyn gli uomini nascosti sbucarono dagli alberi e assalirono alle spalle i guerrieri del Cinghiale, intrappolandoli.
— Gwen! — gridò allora Dannyn. — È tuo!
Proteggendosi con un movimento dello scudo, Dannyn fece spostare il cavallo in modo da permettere alla ragazza di avvicinarsi a Burcan e di impegnarlo in duello. Gweniver sentì il proprio odio aumentare a dismisura e scaturirle dalle labbra in una lunga risata mentre lei parava con lo scudo e tentava un affondo che però venne bloccato. Per un momento le loro spade s’incrociarono e lei fissò in volto l’avversario, scoppiando a ridere per poi essere assalita dalla consueta rossa furia nel vedere Burcan impallidire per il terrore. Liberandosi da quella posizione di stallo, tentò un altro affondo e di colpo si accorse che tutto si era fatto molto lento: con estrema lentezza lei sollevò la spada per tentare un fendente dal basso e altrettanto lentamente la lama di Burcan fluttuò verso di lei e deviò il suo colpo. Era come se si stessero muovendo secondo i passi di una solenne danza di corte che rendeva ogni singolo momento innaturalmente nitido.
Un rumore simile all’ululare del vento si abbatté su di loro, un cupo vento stridulo che spazzò via i suoni della battaglia. Burcan tentò un colpo goffo che lei parò con lo scudo, rendendosi contemporaneamente conto che il suo avversario era fuori tempo rispetto alla danza, come dimostrava il fatto che il suo cavallo di tanto in tanto lo ostacolava nella lotta. Incitando la propria cavalcatura con le ginocchia Gweniver si protese in avanti e si spostò in modo da trovarsi di lato rispetto all’avversario; prima che lui avesse la possibilità di girarsi a dovere lo raggiunse con un fendente di rovescio: la sua lama fluttuò verso lo scudo di Burcan con tale apparente leggerezza che a Gweniver parve impossibile quando lui imprecò, barcollò e lasciò andare lo scudo. Il vento continuò a gemere e a sibilare mentre lei eseguiva un affondo, trasformando il braccio e la spada in una singola lancia che raggiunse l’avversario al fianco. Con un soffocato grido di dolore Burcan girò il cavallo come per fuggire, ma di nuovo errò nel valutare la danza e si trovò davanti Gweniver, pronta a bloccargli il passo. Appoggiandosi pesantemente alla sella, con entrambe le mani strette intorno al pomo, Burcan rimase a fissarla con il sangue che gli colava lentamente dalla ferita.
— Pietà — sussurrò. — Riconoscerò le tue rivendicazioni.
Gweniver esitò, ma poi vide suo padre che le cavalcava al fianco e che la guardava con occhi pieni di dolore e reagì con un fendente che colse il capo del Cinghiale di traverso sugli occhi. Allorché lo sentì urlare calò un secondo fendente dal lato opposto e lo vide cadere di sella, colpendo il terreno con violenza fra i cavalli che si impennavano e sgroppavano nel tentativo di evitare di calpestarlo. Intanto suo padre la salutò con una spada fatta d’ombra e scomparve. Nello stesso momento il mondo tornò ad assumere il suo ritmo e il vento si trasformò nel fragore della battaglia.
— Gweniver! — stava gridando la voce di Ricyn. — Da Gweniver!
D’un tratto i suoi uomini la circondarono, combattendo duramente fino a sospingere indietro i guerrieri del Cinghiale che stavano per sopraffarla. Poco dopo il nemico ruppe lo schieramento, fuggendo, e lo squillo dei corni d’argento accompagnò il loro inseguimento da parte della maggior parte degli uomini di Dannyn.
— Ben fatto, mia signora! — gongolò Ricyn. — Davvero ben fatto.
E così era finita: l’odio che l’aveva divorata per quella lunga estate giaceva adesso calpestato insieme a Burcan sul campo insanguinato. Stordita come se avesse ricevuto un colpo alla testa, Gweniver abbassò la spada e si chiese perché non stesse piangendo di gioia; all’improvviso seppe che non avrebbe pianto mai più, che la Dea l’aveva adesso reclamata del tutto per sé.
Dopo che le truppe ebbero avuto modo di riposarsi dalla battaglia, Dannyn lasciò cinquanta uomini di rinforzo a Gwetmar e tornò quindi a Cerrmor con gli altri. Mentre percorreva le strade grigie e piovose della città, Dannyn si sentì avvolgere dalla malinconia come da un mantello umido… a meno che il nuovo capo del Cinghiale avesse fatto qualcosa di insolitamente stupido, per quell’anno le campagne estive si erano ormai concluse. Raggiunta la fortezza, si recò a presentare il proprio rapporto al re, poi si ritirò nella sua camera e fece un bagno; si stava rivestendo quando il Consigliere Saddar si presentò alla sua porta chiedendo di poter conferire con lui.
— Fallo entrare — ordinò Dannyn al paggio. — Vediamo cos’ha da dire quel vecchio noioso.
Sogghignando, il paggio obbedì all’ordine, ma Saddar gli chiese di rimanere nel corridoio mentre lui e Dannyn parlavano.
— Si può sapere perché hai ordinato al mio paggio di andarsene — scattò subito Dannyn.
— Perché ciò di cui ti devo parlare è una cosa troppo grave per essere affidata ad orecchi giovani — replicò il consigliere, sedendosi senza attendere un invito e assestandosi la tunica nera. — Naturalmente, Lord Dannyn, so di poter contare invece sulla tua discrezione, e in effetti sono venuto da te nella speranza che tu possa placare i miei sospetti e dirmi che è del tutto errato da parte mia nutrirne.
Se è vero, pensò fra sé Dannyn, è la prima volta nella sua inutile vita che questo idiota desidera sentire di essersi sbagliato.
— Di quali sospetti si tratta? — domandò ad alta voce.
— Ah, è una cosa tanto ignobile che non riesco quasi a tollerare di proferirla — replicò Saddar, che appariva in effetti alquanto angosciato. — È una questione di sacrilegio, o forse dovrei dire di possibile sacrilegio. Lungi da me insultare una dama che potrebbe non avere invece nessuna colpa.