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Con un inchino, Yvyr si alzò per parlare.

— Estremamente saggio, mio signore — affermò. — Dubito che anche uno soltanto dei tuoi vassalli troverà da protestare, perché tutti conoscono l’estrema importanza delle terre del Lupo.

— Bene — approvò Glyn, poi si girò verso Gweniver. — Come vede Vostra Santità, la questione è stata risolta secondo i suoi desideri.

— I miei più umili ringraziamenti, mio signore. Sei estremamente generoso e i tuoi consiglieri sono molto saggi.

Con un cenno generale del capo, Glyn pose quindi fine al consiglio. Nel lasciare la stanza, Gweniver si accorse che Dannyn la stava seguendo, anche se a distanza, e cercò di affrettarsi a percorrere il corridoio e le scale che portavano alla grande sala. Lui però la raggiunse prima che potesse arrivare alla piattaforma: l’ira appena contenuta che gli ardeva nello sguardo era spaventosa.

— Vorrei scambiare qualche parola con te — sibilò. — All’esterno.

— Non c’è nulla che tu debba dirmi che non possa essere detto anche qui.

— Davvero? Io la penso diversamente, mia signora.

All’improvviso Gweniver avvertì il consueto gelido avvertimento, che le consigliò di permettergli di avere la tanto desiderata conversazione prima che lui scatenasse una scenata nel centro della sala. Con riluttanza, lo seguì quindi sotto la scarsa protezione fornita dal tetto sporgente di un magazzino.

— Ho riflettuto per tre giorni su cosa dire — ringhiò Dannyn, — ma adesso non riesco ad aspettare oltre. Ho saputo che hai pronunciato con Ricyn un giuramento di sangue.

— Infatti, ma a te che importa? Abbiamo giurato di condividere una tomba, non un letto.

— Non sono sicuro di crederci.

— È meglio che tu ci creda, perché è vero.

Per un momento lui esitò, quasi sul punto di crederle, poi sulle labbra gli affiorò un sorriso distorto e per la prima volta Gweniver si rese conto che nel suo modo aspro Dannyn nutriva per lei un vero affetto e non semplice desiderio.

— Danno, senti — aggiunse, addolcendo il tono di voce, — se mai dovessi infrangere il voto che ho pronunciato davanti alla Dea morirei il giorno successivo, ne sono certa, perché lei troverebbe il modo di abbattermi.

— Davvero? E allora cosa sei, uno spettro tornato dall’Aldilà?

— Non ho infranto il mio voto. Se tu però sei tanto sicuro che io lo abbia fatto, perché non denunci pubblicamente il mio supposto sacrilegio?

— Sarebbe una cosa dannatamente ovvia.

Il modo in cui lui sorrise nel parlare la indusse a indietreggiare di un passo, ma Dannyn non accennò nessun movimento verso di lei.

— Dover confessare una cosa del genere mi lacera l’anima — aggiunse invece, — ma io ti amo.

— Allora il mio cuore duole per te, perché questo è un fardello che dovrai portare da solo.

— Lascia che ti dica una cosa: non ho mai rifiutato una sfida che mi fosse stata lanciata.

— Questa non è una sfida, ma la pura e semplice verità.

— Davvero? Lo vedremo.

Nei giorni che seguirono Gweniver ebbe l’impressione di essere impegnata in una sorta di danza letale per tenersi alla larga da Dannyn. Ogni volta che scendeva nella grande sala lui veniva a sederle accanto come se ne avesse avuto il pieno diritto, quando usciva per andare alle stalle la seguiva, quando si recava nella propria camera lo incontrava nel corridoio. Era evidente che Dannyn stava cercando di essere gentile ed era doloroso vedere un uomo tanto orgoglioso che si sforzava di essere cortese e affascinante. Durante la giornata Gweniver prese l’abitudine di passare quanto più tempo possibile con Ricyn e di sera andò a trovare Nevyn nella sua camera o si rinchiuse nella propria con la sola compagnia della sua cameriera.

Una sera in cui il vento gemeva lungo i corridoi di pietra, Gweniver salì nella camera di Nevyn soltanto per scoprire che lui si era procurato un paio di sedie in più e che aveva disposto sul tavolo coperto da una tovaglia una caraffa di sidro e tre boccali.

— Buona sera, mia signora — la salutò il vecchio. — Ti inviterei a fermarti ma sto aspettando un paio di ospiti perché mi sono deciso a badare alle convenienze e sto cercando di fare amicizia con Saddar e con Yvyr.

— È senza dubbio una cosa saggia, perché di certo se non lo facessi essi comincerebbero a risentirsi dell’influenza che tu hai presso il re.

— È quanto ho pensato anch’io.

Lasciato il vecchio, Gweniver mosse appena cinque passi nel corridoio che vide più avanti Dannyn che l’aspettava appoggiato al muro; con un sospiro, si costrinse ad avvicinarsi.

— Vuoi lasciarmi in pace? — disse. — È dannatamente noioso essere seguita da te dovunque.

— Ah, Gwen, per favore. L’amore che ho per te mi fa stare male.

— Allora va’ da Nevyn e fatti dare un medicinale.

Con quelle parole Gweniver cercò di proseguire, ma lui l’afferrò per una spalla.

— Toglimi le mani di dosso! Lasciami in pace!

La voce di lei era così alta che risuonò echeggiante in tutto il corridoio vuoto. Scarlatto in volto per l’ira Dannyn accennò a parlare ma esitò nel vedere qualcuno che stava venendo verso di loro e Gweniver ne approfittò per liberarsi dalla sua stretta e fuggire via, urtando contro Saddar nel passargli accanto. Con qualche rapida parola di scusa continuò in fretta la fuga lungo le scale e fece irruzione nella grande sala, dove avrebbe potuto sedere con la sua banda di guerra ed essere al sicuro. Quella sera prese in considerazione l’idea di presentare una formale accusa contro Dannyn, ma lui era semplicemente troppo importante per il benessere del regno perché le sue parole venissero credute.

Per tutto il giorno successivo Dannyn parve fare di tutto per evitarla, cosa che lasciò Gweniver al tempo stesso perplessa e sollevata fino a quando Nevyn non le spiegò che aveva scambiato qualche parola con il capitano e lo aveva avvertito di lasciarla in pace. Ben presto l’avvertimento parve però cadere nel dimenticatoio: una mattina piovosa, Gweniver stava tornando dalle stalle quando Dannyn la sorprese alle spalle della fortezza, dove non c’era nessuno che potesse vederli.

— Che cosa vuoi? — domandò lei, secca.

— Soltanto scambiare qualche onesta parola con te.

— È presto detto: non dividerai mai il mio letto.

— Allora con un semplice ragazzo di fattoria di umile nascita è diverso, vero?

— Ti ho già detto la verità al riguardo, e comunque non spetta a quelli come te mettere in dubbio i voti di una sacerdotessa.

Dannyn cercò di afferrarla per un polso ma lei lo schivò e tornò alla fortezza correndo più veloce che poteva.

La cameriera di Gweniver era una ragazza pallida e scialba di nome Ocladda, che amava sinceramente lavorare a corte soprattutto perché il lavoro era molto più semplice e leggero di quello che avrebbe dovuto fare nella fattoria di suo padre; la ragazza era orgogliosa della sua eccentrica padrona e provvedeva a tenere le sue camere dall’arredo spartano scrupolosamente pulite. Dal momento che Gweniver non aveva capelli lunghi che lei potesse pettinare e acconciare o abiti eleganti da curare, Ocladda cercava di rendersi utile lucidando senza posa le armi della padrona e i finimenti del suo cavallo. Mentre lavorava, chiacchierava dei pettegolezzi raccolti negli alloggi della servitù e nelle camere della regina, senza badare al fatto che la sua signora l’ascoltava ben poco. Un freddo pomeriggio d’inverno Gweniver interpretò quindi come un sinistro presagio il fatto che Ocladda stesse lavorando in silenzio, disponendo la legna per il fuoco senza pronunciare una sola parola.