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Nella quinta primavera, quando i boccioli dei meli cominciavano a fiorire nei frutteti, qualcosa lo indusse a ricordare Gweniver e una volta che il pensiero di lei gli fu riaffiorato nella mente la curiosità ebbe il sopravvento su di lui. Quella notte s’inginocchiò accanto al fuoco da campo e concentrò la propria mente sulle fiamme: vivida, affiorò in esse l’immagine di Gweniver e di Ricyn che stavano camminando nel cortile di Dun Cerrmor. Entrambi apparivano così immutati che per un momento Nevyn credette che ciò che vedeva fosse soltanto un ricordo particolarmente intenso, ma quando Gweniver girò il viso scorse una cicatrice che attraversava di netto il suo tatuaggio azzurro. Subito dopo Nevyn bandì l’immagine, ma adesso che aveva rivisto Gweniver non riuscì a dimenticarla: con un sospiro di commento per la follia degli uomini, il mattino successivo si mise in viaggio alla volta di Cerrmor.

In un giorno in cui il sommesso soffiare della brezza e il profumo dell’erba novella sembravano farsi beffe delle sofferenze del regno, Nevyn oltrepassò le porte cittadine; mentre stava smontando per guidare a mano il cavallo e il mulo da soma attraverso le affollate vie cittadine sentì chiamare il proprio nome e nel girarsi vide Gweniver e Ricyn che si affrettavano a venire verso di lui tirandosi dietro i cavalli.

— Nevyn! — esclamò Gweniver. — Il mio cuore è lieto di vederti!

— Ed il mio di vedere te e Ricco. Sono lusingato che vi ricordiate di me.

— Cosa? Suvvia, come potremmo mai dimenticarti? Ricco ed io stavamo per andare a fare un giro a cavallo, ma possiamo invece offrirti un boccale di birra.

Dietro insistenza di Gweniver i tre si recarono nella migliore locanda di Cerrmor, un luogo elegante dagli arredi in legno lucido e dalle pareti imbiancate; Gweniver insistette anche per comprare la birra migliore, con la disinvolta generosità di un guerriero che poco si cura del denaro che potrebbe non avere il tempo di spendere. Una volta che si furono sistemati, Nevyn prese ad osservarla mentre lei lo aggiornava sulle più recenti notizie relative alla guerra: sebbene si fosse indurita e quasi tutto il suo corpo fosse divenuto un’arma, i suoi movimenti erano al tempo stesso decisi e aggraziati in un modo che esulava da qualsiasi definizione maschile o femminile. Quanto a Ricyn, era tranquillo e solare come sempre, mentre beveva la birra e osservava timidamente la sua signora.

Di tanto in tanto, quando i loro sguardi s’incontravano, i due si sorridevano a vicenda in uno scambio che era pieno in pari misura di tensione e di amore, quasi il cuore di ciascuno fosse stato un boccale pieno fino all’orlo, con il liquido che tremava in esso senza però mai riversarsene fuori e liberarsi. Il legame che li univa era adesso tanto forte che grazie al dweomer Nevyn lo poteva scorgere come una sorta di pallida ragnatela di luce, perché tutta la loro energia sessuale era stata trasformata in un vincolo magico fra le rispettive aure; notandolo, il vecchio ebbe anche la certezza che il potere fluisse fra loro e che in qualche modo ciascuno dei due sapesse sempre dove l’altro si trovava anche nel folto della mischia, che i pensieri si trasmettessero in modo tanto istantaneo da essere quasi inconsapevole. Vedere il talento di Gweniver per il dweomer usato in modo così errato e distorto gli fece dolere il cuore.

— Avanti, buon Nevyn, ora devi venire con noi alla fortezza — propose infine Gweniver. — È stato il dweomer a riportarti fra noi?

— A dire il vero no. Perché? C’è qualcosa che non va?

— Più o meno — replicò Ricyn, poi abbassò la voce e aggiunse: — Si tratta del nostro signore, capisci. È preda di crisi di umore cupo che nessuno riesce a dissipare.

— Rimugina su tutto — rincarò Gweniver, sempre in un sussurro, — e dice cose assurde, come per esempio che lui non può essere il vero re, dopo tutto. La regina comincia a temere che sia prossimo a impazzire.

Entrambi fissarono Nevyn pieni di aspettativa e di fiducia, certi che lui avrebbe risolto ogni cosa, mentre il vecchio si sentiva invece tanto impotente che per poco non scoppiò a piangere di fronte alla loro espressione fiduciosa.

— Cosa ti succede — domandò Gweniver.

— Ah, ecco, è soltanto che ultimamente sono così stanco di vedere la nazione in subbuglio senza che io possa fare nulla per arrestarne le sofferenze.

— Per gli dèi, non spetta a te fermarle, quindi non ti tormentare troppo. Non ricordi più ciò che hai detto al re quando era tanto affranto per la morte di Dannyn? Allora gli hai detto che è soltanto la vanità a indurre qualcuno a pensare di poter modificare il Wyrd di un altro uomo.

— La vanità? Sì, certo, è così.

Senza volere, Gweniver gli aveva fornito proprio la parola che aveva bisogno di sentire.

La mia è una vanità molto simile a quella di Glyn, pensò. Nel mio cuore io sono ancora il principe che pensa che tutto il regno ruoti intorno a lui e alle sue azioni.

Nel ricordare a se stesso che adesso era soltanto un servo in attesa di ordini, avverti di colpo la certezza che quegli ordini sarebbero giunti e che un giorno avrebbe visto splendere di nuovo la Luce.

Quando arrivarono la fortezza i servi vennero loro incontro di corsa e si raccolsero intorno al vecchio come se fosse stato realmente un principe. Orivaen insistette per assegnargli una camera elegante nella torre principale e lo accompagnò di persona al suo alloggio, soffermandosi poi mentre il vecchio disfava i bagagli per metterlo al corrente di svariati pettegolezzi. Adesso Lord Gwetmar e Lady Macla avevano due figli, il Principe Mael era ancora rinchiuso nella torre, la sua antica apprendista, Gavra, era diventata un’erborista, giù in città.

— E cosa mi dici del nostro signore? — chiese infine Nevyn.

A quella domanda lo sguardo di Orivaen si oscurò.

— Ti organizzerò un’udienza privata per questa sera — replicò. — Dopo che lo avrai visto ne potremo parlare.

— Capisco. E che ne è di Saddar? È ancora a corte oppure ha finalmente imparato qualcosa dalla sua umiliazione e se ne è andato?

— È morto, e in modo strano. È successo d’estate, subito dopo la tua partenza, a causa di una strana congestione di stomaco.

Quando Nevyn imprecò, Orivaen assunse un’espressione così assolutamente neutra da indurre il vecchio a chiedersi se fosse stato il re stesso a ordinare l’avvelenamento del consigliere o se qualche fedele cortigiano si fosse personalmente addossato quel piccolo incarico, una volta che il solo erborista che avrebbe forse potuto salvare Saddar era partito.

Nel pomeriggio Nevyn scese in città e andò a cercare Gavra, che viveva insieme alla famiglia di suo fratello, nella locanda gestita da quest’ultimo. La ragazza lo abbracciò ridendo, gli versò un po’ di birra e lo accompagnò nella propria camera per fare due chiacchiere. Adesso Gavra era diventata un’imponente giovane donna, ancora snella e graziosa ma con una notevole astuzia e profondità di sentimenti negli occhi scuri. La camera era ingombra di mucchi di erbe, di vasi di balsami e degli altri strumenti del suo mestiere, il tutto disposto con ordine sul mobilio composto da un letto, da una cassapanca di legno e da una culla posta vicino al camino, nella quale dormiva una graziosa bambinetta di circa dieci mesi.