— Il mio signore sembra onorare molto Lady Gweniver — osservò Nevyn.
— È degna di onore. Le ho dato il comando delle mie Guardie… nessuno oserà invidiare qualcuno che è toccato dagli dèi.
Era infine affiorato, il ricordo che dovevano entrambi affrontare.
— Il mio signore sente ancora la mancanza di suo fratello?
— Indubbiamente la sentirò in ogni giorno della mia vita. Oh, dèi, se soltanto non sì fosse ucciso! Di tanto in tanto ci saremmo potuti incontrare in segreto o forse un giorno avrei potuto addirittura richiamarlo a corte.
— Il suo orgoglio non gli ha concesso di aspettare.
Con un sospiro, Glyn si decise infine a sedersi.
— Tanti uomini che mi hanno servito hanno incontrato una morte dolorosa — mormorò, — e non si vede ancora la fine. Ah, per il Signore dell’Inferno, a volte penso che dovrei semplicemente lasciare che Cantrae si prenda questo dannato trono e farla finita, ma allora tutti quelli che sono morti per me sarebbero morti invano. E poi ci sono i miei fedeli amici… il Gwerbret di Cantrae potrebbe farli massacrare tutti. — Glyn s’interruppe ed esibì un sorriso stanco e distorto, aggiungendo: — Quante persone ti hanno già detto che sto impazzendo?
— Parecchie. È vero? Oppure sono loro che scambiano soltanto per follia la sanità di mente?
— Naturalmente mi piacerebbe pensare che sia così, ma da quando Danno è morto mi sento come assediato. Con lui potevo parlare, e se pensava che stessi farfugliando come uno stolto me lo diceva apertamente. Adesso invece che cosa ho? La metà di quanti mi circondano sono adulatori, uomini ambiziosi, sciacalli, e se di tanto in tanto non getto loro qualche brandello di carne mi mordono, mentre se cerco di trovare sollievo da qualche pensiero cupo pensano che stia impazzendo.
— Ecco, mio signore, dopo tutto la loro vita dipende da te.
— Lo so. Oh, dèi, lo so bene! Vorrei essere nato un semplice e umile cavaliere. Ogni uomo della corte invidia il re, ma vuoi sapere il re chi invidia? Il capitano di Gweniver, Ricyn: non ho mai visto un uomo più felice di Ricco, anche se è il figlio di un contadino. Qualsiasi cosa accada, qualsiasi cosa gli capiti, lui sostiene che è la volontà della Dea e dorme tranquillo per tutta la notte. — Glyn fece un’altra breve pausa poi chiese: — Pensi che stia impazzendo? O sono soltanto uno stupido?
— Il re non è mai stato uno stupido e se fosse pazzo sarebbe più felice.
Glyn scoppiò a ridere in un modo che improvvisamente ricordò a Nevyn il Principe Mael.
— Nevyn, ti sarei estremamente grato se volessi tornare a far parte della mia corte. Tu vedi le cose da una notevole distanza, e il re ammette umilmente di avere molto bisogno del tuo aiuto.
Dal momento che dinanzi a sé non vedeva altro che dolore, Nevyn avrebbe voluto mentire e affermare che il dweomer gli vietava di restare. Quella gente gli piaceva troppo perché potesse tenersi distaccato dalle loro future e inevitabili sofferenze, ma improvvisamente si rese conto di avere un ruolo da svolgere e che quando era fuggito per i propri motivi egoistici in effetti aveva abbandonato Glyn, Mael e Gavra.
— Sono estremamente onorato, mio signore, e resterò a servirti finché avrai bisogno di me.
E così, con estrema riluttanza, Nevyn ricevette ciò che molti uomini avrebbero ucciso per ottenere: la posizione di consigliere reale e il favore personale del re. Gli ci vollero due anni per districare la rete di invidie create dalla sua improvvisa promozione, ma alla fine di quel periodo non rimase più nessuno che mettesse in discussione il posto assegnatogli. Adesso tutti nel regno sapevano che il potere di corte era accentrato nelle mani di quel vecchio trasandato dall’eccentrico interesse per le erbe, ma naturalmente erano in pochi a conoscerne anche il perché.
E per tutti quei due anni la guerra si trascinò con uno sporadico susseguirsi di finte e di scorrerie, proseguendo anche nel terzo.
La pioggia li sorprese ad una sessantina di chilometri dal campo principale: sospinta in tralice da un vento freddo che trapassava il mantello, essa trasformò ben presto i sentieri in fanghiglia impedendo ai cavalli di procedere più che al passo sebbene la situazione fosse ormai disperata. La sola cosa buona di quel diluvio era che stava rallentando anche i progressi del nemico, rifletté amaramente Ricyn, badando a sottolineare la cosa con i trentaquattro uomini superstiti del gruppo di centocinquanta che era originariamente partito con loro. Nessuno gli rispose con qualcosa di più di un grugnito e Ricyn prese a spostarsi avanti e indietro lungo lo schieramento, parlando a ciascuno, pungolando i ritardatari e lodando quelli che avevano ancora un po’ di spirito, anche se dentro di sé dubitava che questo servisse a qualcosa. Quando le espresse le proprie perplessità al riguardo, Gweniver si disse d’accordo con lui.
— I cavalli sono in condizioni peggiori degli uomini — osservò poi, — e presto saremo costretti a fermarci.
— E se ci dovessero raggiungere?
Gweniver si limitò a scrollare le spalle. Nessuno dei due aveva la minima idea di quanto distacco avessero dalla banda di guerra di Cantrae, la sola cosa di cui potevano essere certi era di essere inseguiti, perché la vittoria conquistata a duro prezzo che aveva ridotto la loro banda di guerra a quel piccolo frammento era proprio il tipo di battaglia che gli uomini di Cantrae si sarebbero sentiti obbligati a vendicare in nome dell’onore.
Il tramonto era ormai prossimo quando la colonna s’imbatté in un paio di contadini alle prese con un carro tirato da una recalcitrante mucca da latte in mancanza di un cavallo; nella luce sempre meno intensa Ricyn riuscì comunque a vedere che il carro era carico di mobilio, di attrezzi e di botti. Quando la banda di guerra li circondò i due contadini sollevarono lo sguardo con espressione vacua per lo sfinimento, come se non importasse loro neppure di essere massacrati lì sulla strada.
— Da dove state fuggendo? — chiese Gweniver.
— Da Rhoscarn, mia signora. La fortezza è caduta ieri e noi stiamo cercando di andare a sud.
— Chi l’ha distrutta?
— Quegli uomini con una specie di grande bestia dipinta sullo scudo.
Ricyn imprecò sotto voce: la descrizione corrispondeva al grifone di Cantrae.
— Non hanno distrutto la fortezza, idiota — intervenne il secondo contadino. — Non abbiamo visto il fumo, giusto?
— È vero — convenne il primo, — ma per me è lo stesso. Abbiamo scorto molti di quegli uomini sulle strade, mia signora.
Gweniver ordinò alla banda di guerra di trarsi di lato per permettere ai due stanchi contadini di procedere oltre.
— Che ne dici, Ricco? Potremmo andare a Rhoscarn e avere un tetto sulla testa. Se sono già passati di là certo non torneranno indietro.
E così entrarono nella trappola. In seguito, Ricyn si trovò a pensare a come essa fosse stata predisposta bene, all’abilità con cui gli uomini di Cantrae avevano recitato la parte di due contadini e alla precisione con cui era stata prevista la loro reazione. In quel momento però fu soltanto contento di trovare un riparo per i cavalli. Quando arrivarono alla fortezza videro che nelle mura di pietra erano stati aperti tre varchi: il cadavere decapitato del Tieryn Gwardon giaceva fra le macerie e intorno c’erano molti altri corpi, anche se il buio rendeva impossibile contarli. Dal momento che la fortezza era stata presa e bruciata parecchie volte, non esisteva più una torre di pietra e al suo posto era stata eretta nel centro del cortile fangoso una rotonda casa di legno.
Per quanto primitiva, al suo interno la casa era asciutta; gli uomini sistemarono i cavalli da un lato e scaricarono i loro bagagli dall’altro prima di cominciare a fare a pezzi il mobilio per accendere il fuoco nei camini. Dopo aver dato da mangiare alle cavalcature, i guerrieri divisero fra loro quanto restava delle razioni, e Ricyn era sul punto di dire a Gweniver che l’indomani avrebbero dovuto andare in cerca di viveri quando avvertì un preavviso di pericolo, simile a un gelido tocco lungo la schiena. Dal modo in cui Gweniver rabbrividì comprese che l’aveva avvertito anche lei, e di tacito e comune accordo entrambi corsero fuori della casa, nel cortile.