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Subito Ricyn richiuse la porta e accennò a gridare un ordine, ma poi il suo sguardo si posò su Gweniver e la voce gli s’incrinò in gola.

Gweniver si era ritirata barcollando in un angolo in cui non era d’impaccio ed era morta a ridosso di una curva della parete: in preda alla furia della battaglia, lui non si era neppure accorto che era stata colpita. Immediatamente corse da lei e le si inginocchiò accanto, vedendo che era stata ferita alla schiena attraverso una giuntura della cotta di maglia. Quando la girò supina, il suo volto parve stranamente calmo, con gli occhi azzurri spalancati, mentre il sangue continuava ad allargarsi per terra intorno a lei. Soltanto allora Ricyn si rese veramente conto che non sarebbe vissuto fino a mezzogiorno. Lasciata cadere la propria spada afferrò quella di lei come se fosse stata un talismano e corse verso la porta: all’esterno il fumo si avvolgeva in fitte nubi intorno ai nemici che stavano riformando lo schieramento.

— Usciamo e carichiamo, ragazzi! — esclamò Ricyn. — Perché morire come topi in trappola?

Invocando un’ultima volta il nome di Glyn, gli altri gli si raggrupparono intorno e Camlwn gli indirizzò un rapido sorriso d’addio, poi Ricyn sollevò la spada che un giorno era stata benedetta dalla Dea e guidò una carica proprio verso il folto dei nemici. Per la prima volta, cominciò a ridere della stessa fredda risata di Gweniver, come se la Dea gli avesse concesso per quel breve momento di prendere il posto della sua sacerdotessa.

Incespicando sul cadavere di un cavallo morto, Ricyn si scagliò contro il primo uomo di Cantrae che gli si parò davanti e lo uccise con un solo fendente, ruotando su se stesso per fare fronte ai numerosi scudi con lo stemma del grifone che stavano convergendo su di lui. Assestato un debole colpo di rovescio ad un avversario girò ancora su se stesso ed eseguì un affondo contro un altro, poi avvertì sul volto il morso del metallo, così acuto che per un momento pensò che gli fosse caduto addosso un po’ di paglia incendiata, finché il sangue caldo e salato non gli riempì la bocca.

Quando barcollò un’altra spada lo raggiunse al fianco: gettando via lo scudo ormai inutile, si volse e vibrò un colpo violento che uccise l’uomo che lo aveva ferito. Intorno a lui il fuoco ruggiva e il fumo era denso come nebbia. Barcollando, Ricyn sollevò ancora la spada ma si soffocò quasi con il suo stesso sangue e cadde al suolo tossendo nel tentativo di sputarlo: credendolo morto i nemici proseguirono oltre.

Di lì a poco Ricyn però si risollevò in piedi e mosse qualche passo incerto, rendendosi conto di aver invertito la propria direzione soltanto quando urtò contro lo stipite della porta, cadendo di nuovo a terra. All’interno il fuoco stava già avanzando lungo le pareti ma lui lo ignorò e lottò per rialzarsi, dirigendosi verso Gweniver con andatura barcollante: anche se ogni passo era un’agonia alla fine la raggiunse e si lasciò cadere in ginocchio accanto a lei, ma poi esitò per un momento, chiedendosi se la Dea lo avrebbe condannato per ciò che intendeva fare… dubitava però che le importasse ancora di loro. Accasciandosi in avanti, si protese e trasse a sé Gweniver fino a poterla tenere fra le braccia e a posare la testa sul suo petto. Il suo ultimo pensiero fu una preghiera alla Dea, in cui chiese perdono se stava facendo una cosa sbagliata.

La Dea fu misericordiosa, perché gli permise di morire dissanguato prima che le fiamme lo raggiungessero.

Nevyn si trovava nella tenda del re, all’accampamento, quando sentì le grida e il battito di zoccoli che annunciavano il ritorno dell’esercito. Afferrato il mantello uscì di corsa sotto la pioggia sottile che cadeva sul prato, ora in preda alla confusione per la massa di uomini che smontavano di sella. Facendosi largo fra la ressa, Nevyn rintracciò il re, che stava porgendo le redini del suo cavallo ad un attendente: sporco, con la barba lunga, Glyn aveva una guancia macchiata del sangue di un altro uomo e i capelli chiari e rigidi chiazzati di cenere.

— Non c’era più nessuno vivo — disse. — Abbiamo seppellito tutti quelli che abbiamo trovato, ma non c’era traccia né di Gweniver né di Ricyn. Quei bastardi di Cantrae avevano incendiato la fortezza, quindi è probabile che loro fossero all’interno della casa. Se non altro hanno avuto un rogo funebre, come si usava nell’Alba dei Tempi.

— La cosa gli avrebbe fatto piacere.

— Sulla via del ritorno abbiamo però sorpreso la banda di guerra di Cantrae… o almeno quel che ne restava, e li abbiamo annientati.

Non fidandosi di parlare, Nevyn si limitò ad annuire, pensando che Gweniver avrebbe apprezzato quella vendetta più di qualsiasi altra cosa. Intanto il re si era girato e stava chiedendo a qualcuno di accompagnare Alban da lui; quando arrivò il ragazzo era talmente pallido e sfinito che barcollava.

— Puoi fare qualcosa per lui, Nevyn? — chiese Glyn. — Non vorrei che gli venisse la febbre o qualcosa del genere, dopo il modo splendido in cui ha saputo portarci il messaggio.

Quella lode proveniente addirittura dal re ebbe infine la meglio sulla resistenza di Alban, che scosse il capo e scoppiò in pianto da quel ragazzo ancora giovanissimo che era. Mentre lo accompagnava dal medico, Nevyn ebbe difficoltà a contenere a sua volta le lacrime, e si ripeté invano che più e più volte ancora qualcuno che amava sarebbe morto prima di lui. Gli sarebbe piaciuto poter imprecare contro il suo aspro Wyrd, ma la cosa più aspra di tutte era la consapevolezza di essere lui stesso il solo da biasimare per esso.

INTERLUDIO

PRIMAVERA, 1063

Un cacciatore che pone trappole farà bene a guardare dove mette i piedi.

Antico proverbio di Deverry

In tutto il vasto regno di Deverry c’erano soltanto due città che gli Elcyion Lacar visitassero di tanto in tanto, Cernmetyn e Dun Gwerbyn, e quelle visite erano molto rare. La gente di entrambi i posti aveva una strana reazione ogni volta che qualcuno del Popolo le passava davanti: con una sorta di inconsapevole cospirazione si rifiutava semplicemente di ammettere quanto gli elfi fossero diversi dagli umani. Qualsiasi bambino che chiedeva il perché della forma dei loro orecchi si sentiva rispondere che quella selvaggia tribù modellava, tagliandoli, gli orecchi dei neonati, e se il bambino si mostrava troppo curioso, indicando gli strani occhi da gatto degli elfi, gli veniva invariabilmente detto di tenere a freno la lingua se non voleva che anche i suoi orecchi venissero tagliati. Gli adulti, però, trovavano difficile guardare un elfo negli occhi, ed era per questo motivo che il Popolo considerava gli umani creature infide e indegne di fiducia.

Di conseguenza, Devaberiel non rimase sorpreso quando le guardie di stanza alle porte di Dun Gwerbyn dapprima lo fissarono in volto e poi si affrettarono a spostare lo sguardo sul gruppetto che si snodava dietro di lui, costituito da Jennantar, da Calonderiel, da due cavalli da soma che trascinavano dei travois e infine da una fila di dodici cavalli senza sella.

— Sei venuto per venderli? — domandò una delle guardie. — Se è così ci sono delle tasse da pagare.

— Non devo venderli. Li sto portando come tributo alla tieryn.

La guardia annuì solennemente, perché era risaputo che di tanto in tanto il Popolo dell’Ovest, come gli elfi erano abitualmente chiamati dalla gente di Eldidd, rinunciava a qualcuno dei suoi splendidi cavalli per garantirsi l’amicizia dei tieryn di Dun Gwerbyn e di Cernmetyn.