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Anche se erano già venuti altre volte in Eldidd, Jennantar e Calonderiel non erano mai stati all’interno della città, e Devaberiel notò l’espressione di disprezzo con cui entrambi guardavano le case ravvicinate e i vicoli sporchi lungo i quali stavano sospingendo i cavalli; lo stesso Devaberiel avvertiva un vago disagio per il modo in cui le costruzioni erano addossate le une alle altre… in una città di umani era impossibile avere una visuale sgombra, da qualsiasi parte si guardasse.

— Non ci fermeremo qui a lungo, vero? — borbottò Calonderiel.

— Non molto, e se preferite voi due potrete comunque partire subito dopo che avremo lasciato i cavalli alla fortezza.

— Oh, no. Voglio rivedere Rhodry, ed anche Cullyn.

Il caso volle che Cullyn fosse proprio la prima persona che incontrarono, perché si trovava davanti alle porte spalancate della fortezza quando loro risalirono ansando la collina su cui essa sorgeva, e venne loro incontro con un grido di saluto.

Pur avendo sentito parlare parecchio dell’uomo che era considerato il miglior spadaccino di tutto Deverry, Devaberiel non era però preparato all’impatto visivo che la sua figura offriva: alto più di un metro e ottanta, Cullyn era ampio di spalle e muscoloso, con la guancia sinistra segnata da una vecchia cicatrice ed occhi azzurri che non facevano nulla per dissolvere la cupa impressione generale, perché erano duri e freddi quanto una tempesta invernale, anche adesso che lui stava sorridendo nello stringere la mano a Calonderiel.

— Questo è davvero un dono degli dèi — osservò Cullyn. — Mi rallegra vedervi di nuovo.

— E a me fa piacere rivedere te — replicò il capo guerriero. — Abbiamo portato un tributo a Lady Lovyan e al giovane Rhodry.

— Ecco… la mia signora sarà lieta di riceverlo — replicò Cullyn, i cui occhi si erano fatti ancora più cupi. — Rhodry però non è qui, perché il Gwerbret Rhys di Aberwyn lo ha mandato in esilio Io scorso autunno.

— Cosa? — esclamarono all’unisono i tre elfi.

— Proprio così. Ma ora venite con me, vi racconterò tutto mentre beviamo un boccale offerto dall’ospitalità della tieryn.

Mentre i quattro sospingevano i cavalli su per la collina, Devaberiel ebbe la sensazione di aver appena incassato un calcio nello stomaco.

— Cullyn? — chiamò. — Dov’è Rhodry, adesso?

— Sulla lunga strada, come daga d’argento. Sai cosa questo significhi, vero?

— Sì. Oh, dèi, significa che potrebbe essere dovunque in tutto questo dannato regno!

Quando entrarono nel cortile servi e stallieri sopraggiunsero di corsa, con esclamazioni di apprezzamento per i cavalli: quelli allevati dagli elfi, che in Deverry venivano chiamati corsieri occidentali, erano alti da sedici a diciotto palmi, con il torace ampio e la testa ben modellata. Anche se di solito erano grigi, pezzati o roani, alcuni di essi avevano un intenso colore dorato ed erano fra i più pregiati. Devaberiel aveva portato con sé una giumenta dorata perché suo figlio potesse usarla per la riproduzione ma adesso era tentato di riportarla a casa.

Suvvia, disse però a se stesso, in fin dei conti devo qualcosa a Lovva per avermi dato un figlio.

A quanto pareva, le grida e la confusione che regnavano nel cortile avevano destato la curiosità di Lovyan, perché in quel momento la dama uscì dalla rocca interna e si avvicinò con passo tranquillo. Abbigliata con un vestito di rossa seta del Bardek, intorno al quale era avvolto in vita il plaid bianco, rosso e marrone del suo clan, Lovyan aveva ancora il passo leggero di una ragazza, ma quando poté vederla meglio Devaberiel sentì il cuore che gli si stringeva per la seconda volta in quella giornata, perché Lovyan stava invecchiando e adesso il suo volto era segnato di rughe, i suoi capelli neri erano striati di grigio.

Lovyan lanciò un’occhiata nella sua direzione, s’irrigidì e subito dopo tornò a guardarlo con assoluta indifferenza, come se non si fossero mai conosciuti. Devaberiel avvertì un profondo dolore per lei, e imprecò contro la propria stupidità che lo aveva indotto a recarsi là: Lovyan era invecchiata, mentre lui aveva ancora l’aspetto di un ragazzo di vent’anni. Quella fu una delle rare volte della sua vita in cui il bardo si venne a trovare a corto di parole.

— Mia signora Lovyan, tieryn di Dun Gwerbyn — disse invece Calonderiel, con un inchino, — siamo venuti a portare un tributo al tuo potere e al tuo dominio.

— Vi ringrazio, buoni signori. Sono davvero compiaciuta di ricevere un dono tanto splendido. Venite a godere dell’ospitalità della mia sala.

Dal momento che non aveva vie d’uscita, Devaberiel seguì gli altri. Come favore personale nei suoi confronti, Lovyan permise a Cullyn di sedere al tavolo d’onore insieme agli ospiti, e una volta che i servi ebbero portato il sidro il capitano raccontò nei dettagli la storia dell’esilio di Rhodry. Jennantar e Calonderiel lo interruppero di continuo per porre domande, ma Devaberiel trovò addirittura difficile seguire il filo della vicenda, perché continuava a imprecare interiormente contro se stesso per essere venuto lì e aver causato tanto dolore a se stesso e alla donna che un tempo aveva amato. Quando il racconto di Cullyn si concluse seguì un momento di silenzio, e mentre gli altri bevevano Devaberiel si arrischiò a lanciare un’altra occhiata in direzione di Lovyan, soltanto per scoprire che lei lo stava fissando. Quando i loro sguardi s’incontrarono il controllo di lei venne meno per un momento e i suoi occhi apparvero così tormentati, la sua bocca così tesa, che Devaberiel temette una crisi di pianto. Poi Lovyan distolse lo sguardo e il momento passò.

— Buoni signori del Popolo dell’Ovest — disse la tieryn, — desiderate fermarvi per qualche tempo nella mia fortezza?

— Ringrazio umilmente Vostra Grazia per l’onore che ci fa — rispose Devaberiel, — ma il mio popolo è abituato a vagare attraverso praterie e foreste e ci mette a disagio trovarci all’interno di mura di pietra. Vostra Grazia sarebbe molto contrariata se per questa notte ci accampassimo all’esterno della città, per poi rimetterci in viaggio domani?

— Come potrei rifiutare un favore a uomini che mi hanno appena portato un dono così splendido? Appena tre chilometri a nord di qui ho una riserva di caccia: vi darò un messaggio per il mio guardaboschi e vi potrete accampare li per tutto il tempo che vorrete.

Il suo sguardo lo ringraziò tacitamente per il fatto che aveva deciso di andarsene.

Mentre i servi portavano i cavalli da soma e le cavalcature degli elfi, Devaberiel e Lovyan ebbero però l’occasione di scambiare qualche parola in privato. Allorché Cullyn e gli altri due elfi si soffermarono sui gradini della fortezza per conversare fra loro nei toni gravi degli antichi compagni d’armi, Lovyan segnalò infatti al bardo di seguirla a qualche passo di distanza.

— Sei venuto qui soltanto per portarmi quei cavalli? — gli chiese.

— No, ero venuto per vedere nostro figlio.

— Allora sai la verità?

— Sì. Lovva, per favore, perdonami… non sarei mai dovuto venire e giuro che non mi rivedrai mai più.

— Sarebbe una cosa saggia. Spero ti renda conto che Rhodry non dovrà mai sapere la verità.

— È ovvio. Volevo soltanto dare un’occhiata al ragazzo.

Un fugace sorriso affiorò sulle labbra di Lovyan.

— Ti somiglia molto, ma ha i capelli corvini di Eldidd. Il nostro Rhodry è un ragazzo avvenente.

Devaberiel le prese la mano e la strinse per un istante, lasciandola andare prima che qualcuno potesse notare il gesto.

— Mi chiedo se riuscirò mai a vederlo — disse quindi. — Non oso spingermi più ad est di così, perché nel resto del regno non hanno ancora imparato ad ignorare i nostri occhi e i nostri orecchi.