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— Sono Sarcyn, di ritorno dal Bardek.

A quelle parole la porta si aprì e Gwenca apparve sulla soglia con un sorriso. Prossima alla cinquantina, Gwenca era una donna robusta con i capelli tinti e gli occhi castani circondati da una ragnatela di rughe e di borse. Ad ogni dito sfoggiava un anello adorno di gemme e intorno al collo portava una catena da cui pendeva un amuleto azzurro e argento che avrebbe dovuto proteggerla dal malocchio. Notandolo, Sarcyn sorrise interiormente, divertito dal fatto che Gwenca lo conosceva soltanto come un corriere che le portava la droga e non aveva idea che lui fosse esattamente il tipo di uomo che poteva gettare il malocchio.

— Entra, bel ragazzo. Devo dedurre che hai qualcosa da offrirmi.

— Infatti, e si tratta di roba di buona qualità.

Le camere private di Gwenca erano soffocanti e opprimenti: anche se c’erano alcuni sbocchi per l’aria vicino al soffitto, nella stanza aleggiava un odore di profumo e di fumo d’oppio stantio, come se gli arazzi e i cuscini ne fossero stati impregnati. La donna sedette ad un tavolinetto coperto da un vetro decorato con vistose spirali blu e rosse e rimase a guardare mentre il visitatore si slacciava la cintura della spada, la posava a portata di mano su una sedia e si sfilava quindi la camicia da sopra la testa, rivelando un paio di piatte sacche di cuoio che gli pendevano intorno al collo come due piccole sacche da sella. Liberatosi dei sacchetti, Sarcyn li gettò sul tavolo davanti alla donna.

— Venticinque monete d’argento per barra. Quando li aprirai capirai il perché.

Gwenca aprì i sacchetti con dita avide e tirò fuori la prima barra, lunga circa otto centimetri e larga cinque, allargando la pergamena oleata che la rivestiva e fiutando il nero blocco d’oppio.

— Sembra buono — dichiarò infine, — ma non intendo aggiungere una sola parola fino a quando non ne avrò fumato un poco.

Sul tavolo era posata una candela accesa, accanto ad una lunga pipa di argilla bianca e ad un mucchietto di schegge di legno da usare come esca. La donna tagliò un pezzetto di oppio con il coltello da tavolo, lo sistemò nella pipa e lo accese, riscaldando dapprima la pipa sulla fiamma e lavorando poi con pazienza per far bruciare la droga appiccicosa. La prima boccata di fumo la fece tossire, ma lei continuò ad aspirare avidamente.

— È ottimo — confermò infine, fra una boccata di fumo e un altro colpo di tosse. — Che prezzo mi fai se ne compro dieci barre?

— Un regale d’oro di Deverry… in questo modo risparmi cinquanta monete d’argento.

Con riluttanza la donna posò la pipa e la lasciò spegnere.

— Un regale, allora. Affare fatto.

Mentre Sarcyn procedeva a contare le barre, Gwenca scomparve in un’altra stanza e tornò di lì a poco con la pesante moneta d’oro.

— Vuoi una delle ragazze, finché sei qui? — chiese, nel porgergli la moneta. — Gratis, naturalmente.

— No, grazie, ho altri affari da sbrigare.

— Torna stanotte, se vuoi. Oppure preferisci i ragazzi?

— A te che importa?

— Nulla, tranne che mi sembra uno spreco, considerato quanto sei attraente. Suvvia, ragazzo, perché non fai come qualcuno di quei mercanti del Bardek e getti i dadi con entrambe le mani? In quel modo loro riescono a divertirsi sempre e comunque.

— Vecchia, ti spingi troppo oltre — scandì Sarcyn, fissandola negli occhi.

Gwenca si ritrasse con un sussulto e prese a giocherellare con il suo amuleto mentre Sarcyn finiva di rivestirsi.

Nel lasciare la Sentina, Sarcyn si diresse a monte rispetto al fiume, tenendosi alla larga dalle vie principali quando questo era possibile; anche se aveva preso alloggio in una locanda in un’altra sezione povera della città al fine di evitare di dare nell’occhio, non voleva infatti rimanere più del necessario nelle vicinanze della Sentina, che per lui racchiudeva troppi dolorosi ricordi.

Sua madre era stata una prostituta di lusso in una casa molto simile a quella di Gwenca, e per capriccio aveva portato a termine due delle sue numerose gravidanze, generando così lo stesso Sarcyn e il suo fratello minore, Evy, a turno ignorandoli e viziandoli fino a quando era stata strangolata da un marinaio ubriaco, all’epoca in cui Sarcyn aveva sette anni ed Evy tre. Il proprietario del bordello aveva sbattuto i due bambini in strada, dove essi erano vissuti per mesi come mendicanti, dormendo sotto i carri o in una botte rotta, mendicando per ottenere qualche moneta di rame e lottando per impedire ai ragazzi più grandi di rubare loro il cibo.

Un giorno, poi, un mercante dagli abiti eleganti si era fermato a dare loro una moneta di rame e aveva voluto sapere perché stessero chiedendo l’elemosina; quando Sarcyn glielo aveva spiegato, il mercante aveva dato loro un’intera moneta d’argento, e quel giorno i due bambini avevano mangiato a sazietà per la prima volta da mesi. Naturalmente, da allora Sarcyn aveva sempre tenuto gli occhi aperti nella speranza di avvistare quell’uomo generoso, e ogni volta che lo incontravano Alastyr aveva dato loro altre monete, fermandosi anche un po’ a chiacchierare. Sebbene Sarcyn fosse stato un monello da strada prematuramente saggio, a poco a poco Alastyr era riuscito a conquistarsi la sua confidenza, e quando infine il mercante aveva offerto ad entrambi di andare a vivere con lui i bambini avevano pianto di gratitudine.

Per qualche tempo Alastyr li aveva trattati in modo gentile ma distante: avevano abiti eleganti, letti caldi, cibo a volontà, ma vedevano di rado il loro benefattore. Adesso, quando gli capitava di ripensare a quanto fosse stato felice allora, Sarcyn provava soltanto disgusto per la sua ingenua stupidità. Una notte, Alastyr era venuto nella sua camera e dapprima l’aveva blandito con promesse e carezze, poi lo aveva freddamente violentato.

Sarcyn rammentava ancora come era rimasto raggomitolato sul letto, piangendo di vergogna e di dolore… aveva pensato di fuggire, ma non aveva dove andare, a meno di tornare a vivere in strada fra il freddo e la sporcizia. Notte dopo notte aveva sopportato le visite del mercante, con l’unica consolazione che almeno Alastyr non mostrava nessun interesse nei confronti di suo fratello… in qualche modo, voleva che ad Evy fosse risparmiata quella vergogna.

Una volta che si erano trasferiti nel Bardek, però, Alastyr aveva cominciato a rivolgere le proprie attenzioni anche al ragazzo più giovane, soprattutto dopo che Sarcyn era giunto alla pubertà e aveva cominciato ad essere meno interessante, almeno come compagno di letto. L’anno in cui la voce di Sarcyn era cambiata, Alastyr aveva iniziato a servirsi di lui per il dweomer oscuro, costringendolo a evocare visioni sotto il controllo del suo maestro oppure ipnotizzandolo in maniera tale che poi lui non aveva la minima idea di cosa avesse fatto durante la trance.

In seguito, Alastyr aveva fatto lo stesso con Evy, ma a questo punto si era deciso ad offrire qualcosa in pagamento per l’uso che faceva di entrambi: li avrebbe istruiti nell’arte del dweomer oscuro. Tutti e due si erano avidamente aggrappati al dweomer, perché era tutto ciò che avevano per placare la sofferenza della loro condizione d’impotenza.

Naturalmente, non era in questi termini che Sarcyn giustificava la cosa con se stesso: ai suoi occhi, ciò che aveva fatto era stato sopportare le prime fasi di un duro apprendistato per potersi dimostrare degno del potere oscuro. Di conseguenza, entrambi erano ancora vincolati ad Alastyr, sebbene Sarcyn lo odiasse a tal punto che a volte sognava di ucciderlo… sogni lunghi e dettagliati. Quanto ad Evy, non aveva idea di quali fossero i suoi sentimenti al riguardo… era da molto tempo che non parlavano più di cose come i sentimenti… ma era certo che suo fratello fosse d’accordo con lui nel ritenere che fosse necessario sopportare Alastyr al fine di acquisire altro sapere. Adesso comunque sarebbe stato libero dalla sua presenza per tutti i giorni che avrebbe impiegato a vendere le sue merci, in quanto il maestro non si fermava mai troppo a Cerrmor, dove c’era un numero eccessivo di persone che avrebbero potuto riconoscerlo.