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— Non trovo nulla da ridire al riguardo. Sono pronto a scommettere che le merci a cui alludi sono oppio e veleni, ed io non voglio avere nulla a che fare con quello sporco commercio.

— Benissimo, allora ti ringrazio. È anche mio dovere avvertirti che nel caso tu abbia schiavi a bordo noi non daremo loro la caccia per te nel caso dovessero fuggire.

— La gente della mia isola non possiede schiavi — ribatté Elaeno, poi avvertì il tono ringhiante della propria voce e si sforzò di correggerlo, aggiungendo: — Chiedo scusa, mio signore, ma questo è per noi un argomento delicato, anche se naturalmente tu non potevi saperlo.

— Infatti lo ignoravo. Ti chiedo scusa, capitano.

Gli altri due ufficiali avevano un’espressione profondamente imbarazzata, e nel notarlo Elaeno si sentì a sua volta a disagio, pensando che quando non si controllava anche lui, come quei barbari, commetteva spesso l’errore di ritenere che gli stranieri fossero tutti uguali.

— Mi devo complimentare con te per la padronanza con cui parli la nostra lingua — aggiunse Merryn, dopo un momento.

— Ti ringrazio. L’ho appresa da bambino, quando la mia famiglia ha preso come pensionante un uomo di Deverry, un erborista venuto a studiare l’arte dei nostri medici. Dal momento che gestiamo una ditta mercantile, mio padre voleva che i suoi figli parlassero bene la lingua di Deverry, e il vecchio ha pagato il suo mantenimento impartendoci delle lezioni.

— Capisco. Sembra che sia stato un buon affare.

— Infatti — convenne Elaeno, pensando che si era trattato di un affare migliore di quanto quelle guardie potessero mai immaginare.

Una volta ultimata l’operazione di scarico delle merci sul molo, una squadra di uomini della dogana le passò al vaglio e discusse con Masupo in merito alle tasse da pagare, mentre una seconda squadra perquisiva ogni centimetro della nave. Nel frattempo, Elaeno si portò a poppa e si appoggiò comodamente alla murata, osservando il sole che scintillava sul mare tranquillo: dal momento che l’acqua era l’elemento che gli riusciva più congeniale, contattò con facilità la mente di Nevyn e udì subito il suo pensiero di risposta in cui il vecchio avvertiva che gli ci sarebbe voluto qualche istante per trovare uno strumento di focalizzazione. Ben presto l’immagine del volto di Nevyn apparve comunque sulla superficie del mare.

— E così sei in Deverry, giusto? — esordì Nevyn.

— Infatti, sono a Cerrmor e probabilmente rimarrò in porto per una quindicina di giorni.

— Splendido. Io sono attualmente in viaggio verso Cerrmor e arriverò probabilmente entro un paio di giorni. Hai ricevuto la mia lettera prima di partire?

— Sì, e le notizie che conteneva erano davvero cupe. Ho posto domande in parecchi porti ed ho informazioni per te.

— Ottimo, ma non riferirmele ora, perché qualcuno potrebbe essere in ascolto.

— Davvero? Allora ci vedremo quando arriverai in città. Finché resteremo in porto io alloggerò a bordo.

— D’accordo. Oh, senti, Salamander è a Cerrmor. Alloggia in una locanda chiamata il Pappagallo Azzurro… un nome adeguato.

— La Gazza Ciarliera sarebbe andata ancora meglio. Oh, dèi, è difficile credere che quel ragazzo possegga il vero dweomer.

— Che altro ti aspettavi dal figlio di un bardo elfico? Ma il nostro Ebay ha la sua utilità, selvaggio o meno che sia.

L’immagine di Nevyn si dissolse ed Elaeno prese a passeggiare avanti e indietro con le mani serrate dietro la schiena: se Nevyn aveva paura che potessero essere spiati, allora la situazione era davvero grave. Come sempre, il pensiero del dweomer oscuro destò in lui un senso d’ira… sarebbe stato davvero soddisfacente riuscire prima o poi a serrare le sue grosse mani intorno al collo di uno di quei maestri oscuri, ma naturalmente era meglio usare armi meno evidenti e più efficaci.

Appena tre giorni più tardi, Sarcyn stava oziando davanti ad una taverna al limitare estremo della zona della Sentina; tenendo la propria aura avvolta strettamente intorno a sé, se ne stava appoggiato contro l’edificio in attesa del corriere. Sarcyn non rivelava mai dove alloggiasse in Cerrmor agli svariati uomini che contrabbandavano per lui droghe e veleni in Deverry: tutti sapevano che potevano trovarlo lì, dopodiché Sarcyn li accompagnava in un posto tranquillo dove concludere con calma la transazione.

Alcuni minuti più tardi scorse la robusta figura di Dryn che si dirigeva verso di lui lungo la strada angusta, e stava per liberare la propria aura e rivelarsi quando sei guardie cittadine sbucarono da un vicolo e circondarono improvvisamente il mercante.

— Fermo! — ingiunse una di esse. — Nel nome del gwerbret!

— Cosa significa, buone guardie? — domandò Dryn, cercando di esibire un sorriso.

— Lo scoprirai venendo con noi.

Sarcyn non aspettò di sentire altro e si affrettò ad aggirare la taverna per poi allontanarsi in fretta… ma non a tal punto da attirare un’eccessiva attenzione… attraverso il labirinto di vicoli della Sentina. Il suo percorso si snodò lungo vicoli, fra edifici, oltre la porta principale del locale di Gwenca e fuori da quella posteriore, descrivendo giri e svolte fino a portarlo fuori della Sentina dalla parte settentrionale della città, da dove fece ritorno alla sua locanda. Non aveva il minimo dubbio che Dryn avrebbe confessato tutto quello che sapeva nel tentativo di salvare la pelle, ma molto tempo prima che le guardie fossero riuscite ad estorcere al mercante il suo nome e la sua descrizione lui stava già oltrepassando le porte cittadine, dirigendosi a nord e verso la salvezza.

Il Gwerbret Ladoic stava tenendo un’udienza formale nella sua sala di giustizia. Il gwerbret sedeva sotto la bandiera con lo stemma della nave che rappresentava il suo rhan, con la spada d’oro da cerimonia posata davanti a sé su un lucido tavolo d’ebano. Ai suoi lati sedevano i sacerdoti di Bel, mentre i testimoni erano in piedi sulla destra: Lord Merryn, tre guardie cittadine, Nevyn ed Elaeno. Gli accusati, il mercante di spezie Dryn ed Edycl, il capitano del mercantile Stella Lucente, erano invece in ginocchio davanti al gwerbret.

Appoggiandosi allo schienale della sedia, questi si massaggiò il mento con aria pensosa mentre rifletteva sulle testimonianze che gli erano state esposte; a trent’anni, Ladoic era un uomo imponente, alto e muscoloso, con gli occhi grigi come l’acciaio e gli zigomi pronunciati tipici degli uomini del sud.

— Le prove sono evidenti — affermò infine. — Dryn, tu hai avvicinato l’erborista e ti sei offerto di vendergli mercanzie proibite. Per fortuna, Nevyn è un uomo d’onore e si è consultato con Elaeno, che ha subito contattato l’ufficiale a capo della dogana.

— Non sono stato io ad avvicinare quel dannato vecchio, Vostra Grazia — ringhiò Dryn. — È invece stato lui ad agganciare me.

— Una storia davvero credibile… e del resto se anche fosse vera non avrebbe importanza. Puoi forse negare che, quando ti hanno arrestato, le guardie cittadine ti hanno trovato addosso quattro diversi tipi di veleni?

Dryn si accasciò e fissò il pavimento con aria infelice.

— Quanto a te, Edycl — proseguì il gwerbret, spostando il suo sguardo freddo sul capitano. — Tu puoi anche aver ragione nel sostenere che Dryn ha contrabbandato quei veleni senza che tu lo sapessi, ma perché mai i doganieri hanno trovato una scorta di oppio nascosta nelle pareti della tua cabina personale?

Edycl cominciò a tremare e la fronte gli si imperlò di sudore.

— Non è necessario che Vostra Grazia mi faccia torturare… confesserò. È stato per i soldi: lui mi ha offerto una somma dannatamente alta e la nave aveva bisogno di riparazioni, e così…

— È sufficiente — lo interruppe Ladoic, girandosi quindi verso uno dei sacerdoti. — Vostra Santità?