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— Sai cosa temo maggiormente? — domandò improvvisamente Lovyan. — Che alla morte di Rhys si arrivi alla guerra aperta. È già successo che un candidato deluso ritenesse di aver subito un torto dal Consiglio. Ah, bene, del resto per allora io me ne sarò già andata da un pezzo e non avrò più modo di preoccuparmi.

Dal momento che Rhys era un uomo sano di appena ventinove anni, il suo commento era del tutto ragionevole, ma nel sentirlo Nevyn avvertì la fitta improvvisa di un avvertimento del dweomer: a quanto pareva, Lovyan avrebbe dovuto seppellire un altro figlio.

— C’è qualcosa che non va? — domandò lei, notando la sua espressione.

— Oh, stavo soltanto pensando che dobbiamo trovare il modo di far richiamare Rhodry.

— Se le parole fossero monete, saremmo tutti ricchi quanto il re — sospirò Lovyan. — È sempre duro assistere alla morte di un grande clan, ma sarebbe un vero peccato vedere la fine dei Maelwaedd.

— Lo sarebbe davvero.

In effetti sarebbe stato un peccato ancora maggiore di quanto Lovyan potesse immaginare, perché il clan dei Maelwaedd era sempre stato importante per il dweomer, sin dalle sue stranamente umili origini, risalenti a circa trecento anni prima.

CERRMOR ED ELDIDD, 790–797

Sono dunque tutte le cose che accadono nella vita preordinate dagli dèi? Non lo sono, perché molte di esse accadono per puro caso. Badate bene: ogni uomo ha il suo Wyrd e ogni uomo ha la sua fortuna. Il segreto della saggezza consiste nel distinguere l’uno dall’altra.

Dal Libro Segreto di Cadwallon il Druido

UNO

A circa una settimana di cavallo da Aberwyn, su quello che avrebbe potuto benissimo essere il confine occidentale di Eldidd dal momento che nessuno viveva al di là di esso, una fortezza sorgeva sulla sommità di un’altura erbosa che si affacciava sull’oceano. Il muro di pietra, che aveva notevole bisogno di riparazioni, cingeva un ampio cortile dove l’erba faceva capolino fra le giunture dell’acciottolato e al centro del cortile si levava una tozza rocca di pietra circondata da un agglomerato di baracche di legno in mezzo alle quali si ergeva una stretta torre, simile ad una cicogna in mezzo ai polli.

Ogni pomeriggio, Avascaen saliva i centocinquanta gradini a spirale che portavano alla sommità della torre e si serviva di un pesante argano con carrucola per issare su di essa il carico di legna da ardere che intanto i suoi figli avevano approntato dabbasso, procedendo poi ad ammucchiare la legna nell’apposito vano concavo del faro. Al tramonto, accendeva una torcia e dava fuoco al primo mucchio di legna perché non lontano dalla riva il mare era in quella zona costellato di rocce sommerse che dalla sommità del faro erano distinguibili per la scia di spuma bianca che si creava su di esse, ma che erano praticamente invisibili per una nave che stesse dirigendo da quella parte. Qualsiasi capitano che avesse scorto la luce di Cannobaen avrebbe capito che doveva tenersi al largo e restare al sicuro in mare aperto.

Non che negli ultimi anni le navi passate di lì fossero state molte… a causa del protrarsi della guerra per la successione al trono di Deverry, i commerci languivano e c’erano dei momenti, soprattutto quando i freddi venti invernali sibilavano intorno al riparo sulla sommità della torre, in cui Avascaen si chiedeva perché si prendesse il fastidio di tenere il fuoco acceso.

Pensa a come ti sentiresti se una sola nave dovesse affondare, si diceva allora.

Inoltre era stato lo stesso Principe Mael a chiedergli di tenere acceso il faro, prima di partire per quella guerra da cui non era mai tornato.

Adesso Avascaen stava addestrando i suoi due figli, Maryl ed Egamyn, nel mestiere di custode del faro, perché gli succedessero alla sua morte. Maryl, un ragazzo piuttosto stolido, era abbastanza soddisfatto di quel lavoro e della posizione relativamente privilegiata che esso conferiva loro nell’ambito del villaggio di Cannobaen; Egamyn, invece, che aveva appena quattordici anni, borbottava e imprecava di continuo, minacciando di fuggire di casa per entrare a far parte dell’esercito del re, e ogni volta che il ragazzo protestava Avascaen gli assestava una manata sulla testa e gli ordinava di tenere a freno la lingua.

— Il principe ha chiesto a me e alla mia famiglia di accudire il faro — diceva, — e noi lo accudiremo.

— Suvvia, Pa — ribatteva Egamyn. — Scommetto che non rivedrai mai più quel dannato principe.

— Può darsi, ma se dovessi rivederlo lui saprà allora che ho mantenuto il mio impegno. Io sono come un tasso, tengo duro.

Avascaen, sua moglie Scwna e i ragazzi vivevano nella grande sala della rocca, dove cucinavano, dormivano e in genere facevano ogni cosa, perché durante l’inverno i piani superiori venivano tenuti chiusi per risparmiare il calore. Due volte all’anno, Scwna arieggiava ogni stanza, scuoteva via la polvere dai teli che coprivano i mobili e spazzava il pavimento, nell’eventualità che un giorno il principe dovesse tornare. Nel cortile la famiglia aveva piantato un orto ed allevava alcuni polli e qualche maiale, mentre i contadini del vicino villaggio fornivano loro il resto di cui avevano bisogno come parte delle tasse che dovevano pagare per il faro di Cannobaen. Anche la legna da ardere era portata dai contadini, che la prelevavano nella grande foresta primordiale che si allargava a nord e ad ovest.

— Conduciamo una vita piacevole — era solito ripetere Avascaen ad Egamyn, — e tu dovresti ringraziare gli dèi che le cose siano così pacifiche.

Egamyn si limitava però a scuotere il capo con cocciutaggine e a borbottare che le cose erano noiose, non pacifiche, perché a parte i contadini era raro che a Cannobaen si ricevessero visite.

Fu quindi un vero e proprio evento quando un pomeriggio qualcuno si presentò alle porte della rocca. Dal momento che aveva dormito per tutta la mattina, Avascaen stava proprio allora dando inizio alla sua giornata con una passeggiata nel cortile quando vide un cavaliere su un cavallo sauro che risaliva la strada tirandosi dietro due muli carichi di sacchi di tela. Allorché il cavaliere scese di sella, Avascaen si rese conto che si trattava di una donna robusta di mezz’età, che indossava un paio di calzoni sotto il vestito in modo da poter cavalcare come un uomo. I suoi capelli grigi erano fermati sulla nuca secondo lo stile delle donne nubili e i suoi occhi scuri erano pieni di buon umore… ma la cosa più strana erano le sue mani, che avevano uno strano colore fra il marrone e il blu che si stendeva fino ai gomiti.

— Buona giornata a te, buon signore — salutò la donna. — Scommetto che il mio arrivo ti sorprende.

— Ecco, è vero, ma sei comunque la benvenuta — replicò Avascaen. — Come ti chiami?

— Primilla di Abernaudd, buon signore. Sono qui in cerca di piante rare e cose del genere per la corporazione dei tintori di Abernaudd.

— Ma guarda! Allora, vuoi accettare la nostra ospitalità? Ti posso offrire un pasto, se non ti secca consumare una colazione all’ora di cena.

A Primilla la cosa non importava minimamente. Mentre Maryl si occupava del cavallo e dei muli, la donna aggredì con allegria un vassoio di pancetta e una ciotola di porridge d’orzo; la visitatrice possedeva una quantità di preziose notizie relative ad Abernaudd, la città reale di Eldidd, e Scwna ed Egamyn l’ascoltarono con avidità mentre lei parlava di quello che succedeva in città.

— Immagino che non ci siano notizie del Principe Mael, il mio signore — chiese infine Avascaen.

— Ecco, ce ne sono, e si tratta di tristi notizie. Sua moglie è morta per una febbre, poveretta. — Primilla scosse il capo con tristezza. — È stata davvero una cosa triste, che non avesse più modo di rivedere il marito.