Un giorno in cui la pioggia autunnale cadeva fitta, il vecchio salì sulla torre per far visita a Mael che, come al solito, stava lavorando ai suoi commentari. Come accade sempre a progetti del genere, il suo lavoro si era esteso molto al di là della semplice introduzione al pensiero di Ristolyn che aveva costituito l’intenzione originaria del principe.
— Questo inciso finirà per diventare un dannato capitolo! — esclamò Mael, infilando la penna nel calamaio con tanta violenza che la punta quasi si spezzò.
— Succede a parecchi dei tuoi incisi, ma si tratta sempre di buoni capitoli.
— Vedi, si tratta di questa faccenda: di cosa costituisca il bene maggiore. Per quanto brillanti, le argomentazioni di Ristolyn non mi soddisfano completamente e le sue categorie sono un po’ limitate.
— Voi filosofi siete sempre dannatamente abili nel moltiplicare le categorie.
— Filosofi? Per gli dèi, io non mi definirei tale.
— Per tutti gli inferni, e allora che altro sei?
Mael rimase a bocca aperta per lo stupore, poi si unì con aria contrita alla risata di Nevyn.
— Niente altro, davvero — ammise. — Per vent’anni mi sono creduto un guerriero, mordendo il freno come un cavallo da guerra e desiderando di essere libero per tornare a combattere, ma per almeno dieci di essi non ho fatto altro che ingannare me stesso. Adesso mi chiedo se sarei più capace di andare in guerra: mi pare di vedermi, seduto in sella che medito su cosa Ristolyn intendesse con la parola «fine» mentre qualcuno pone intanto fine alla mia esistenza.
— Non mi sembri dispiaciuto.
Mael si avvicinò alla finestra, osservando la pioggia che cadeva, grigioargentea come i suoi capelli.
— Il panorama di cui godo da qui è diverso da quello che scorgevo prima: non è possibile vedere le cose con chiarezza, in mezzo alla polvere di un campo di battaglia — affermò, appoggiando una guancia contro il vetro freddo e guardando verso il basso. — Sai qual è la cosa più dannatamente strana di tutte? Che se non mi preoccupassi tanto per Gavra e i bambini, sarei davvero felice.
Mentre il principe parlava, Nevyn avvertì l’impatto di una rivelazione del dweomer: era tempo che Mael fosse liberato, perché adesso che aveva accettato la sua condizione poteva andare via libero.
— Dimmi una cosa. Se avessi la possibilità di farlo, sposeresti Gavra?
— È ovvio. Perché non dovrei? Non ho più un posto presso la corte reale e così potrei anche legittimare i nostri figli… sempre che fossi libero di farlo. Invero sono proprio un filosofo, visto che indugio a disquisire perfino di ciò che è assurdo e senza speranza.
Quando lasciò la camera di Mael, Nevyn stava riflettendo sulle condizioni del tempo: dal momento che la neve cadeva di rado lungo la costa, viaggiare durante l’inverno era una cosa possibile anche se scomoda. Immediatamente rientrò nelle proprie camere e contattò Primilla attraverso il fuoco.
La bottega di Gavra occupava la metà anteriore di una casa che si trovava dall’altra parte della strada rispetto alla taverna di suo fratello. Ogni mattina, quando si accingeva ad iniziare il lavoro, lei lasciava vagare lo sguardo sugli scaffali coperti di erbe e di recipienti, sulle botti e sulle anfore, e sulla pelle secca di coccodrillo che pendeva sotto la grondaia.
La mia casa, pensava, e la mia bottega. Tutto mio.
Era una cosa rara infatti che una donna di Cerrmor possedesse qualcosa a nome proprio e non per conto del marito o del fratello; con l’approssimarsi dell’inverno, lei aveva in quel periodo una quantità di clienti che soffrivano di febbri e di congestioni polmonari, di geloni e di dolori alle ossa, e lavorava per lunghe ore nella camera anteriore. In aggiunta a tutto questo, aveva anche un altro problema pressante da risolvere: il fidanzamento di Ebrua, perché sebbene lei si fosse lasciata dominare dall’amore, voleva per la figlia un solido matrimonio convenzionale.
Per fortuna il ragazzo che piaceva ad Ebrua era un bravo giovane di sedici anni, Arddyn, figlio minore di una prospera famiglia che commerciava in pelli conciate. Dopo aver formalmente discusso del fidanzamento con il padre del ragazzo, Gavra si recò alla fortezza per consultarsi con Mael. In un certo senso, quella era una cosa sciocca, considerato che Mael non aveva mai conosciuto la famiglia di Arddyn e che aveva visto sua figlia soltanto da una notevole distanza, ma lui ascoltò ogni cosa con espressione grave, applicando la sua mente brillante al problema con una tale intensità da far comprendere a Gavra il suo intento di fingere, come faceva anche lei, che avessero una normale vita coniugale.
— Mi sembra un buon matrimonio per gente come noi — osservò infine.
— Oh, senti come parla il mio regale amore. Gente come noi… davvero!
— La mia signora dimentica che non sono altro che un umile filosofo. Quando avrò finito il mio libro i sacerdoti del tempio ne faranno stilare cinquanta copie dagli scribi ed io riceverò una moneta d’argento per ciascuna di esse. Questa, amore mio, è la sola fortuna di cui io disponga al mondo, quindi speriamo che la famìglia di Arddyn non sia avida per quanto concerne la dote.
— Penso che si accontenteranno della sua quota di proprietà della bottega e forse di un po’ d’argento.
— E questo è un bene. Una ragazza che ha per padre un filosofo è davvero sfortunata.
Gavra stava lasciando la fortezza quando s’imbatté in Nevyn, che passò familiarmente il braccio sotto il suo e la accompagnò fino alla bottega, dove poterono parlare in privato perché i figli di Gavra erano in cucina a cenare.
— Oggi fa freddo — osservò Nevyn, posando un paio di ceppi nel focolare e accendendoli con uno schiocco delle dita. — Ho una cosa piuttosto importante da dirti: credo di avere ottime probabilità di far liberare Mael.
Gavra trattenne il respiro con un sussulto.
— Per ora non gliene parlare — proseguì il vecchio. — Non voglio infatti destare le sue speranze soltanto per poi vederle crollare, ma tu devi essere informata, perché hai molte cose da sistemare prima di partire.
— Partire? Oh, via, pensi che Mael vorrà che vada con lui?
— Se mai ne hai dubitato per un solo istante, questa è la prima cosa stupida che ti abbia mai visto fare.
Improvvisamente, Gavra sentì la necessità di sedersi e si appollaiò su uno sgabello accanto al fuoco, sfregandosi le mani tremanti.
— Ho paura che non ci sia altra scelta che quella di rimandarlo in Eldidd — continuò Nevyn. — Vuoi andare con lui?
Gavra guardò gli scaffali, la stanza, tutto ciò per cui aveva lavorato così duramente e che si sarebbe lasciata alle spalle, insieme ad una figlia sposata… e cosa avrebbe detto Dumoryc, quando gli avrebbe presentato uno sconosciuto dicendogli che era suo padre?
— Sai — osservò Nevyn, — è probabile che finiate per stabilirvi lungo il confine occidentale di Eldidd, e là non c’è un erborista decente nel raggio di chilometri.
— Capisco. Allora potrei avviare una nuova bottega per Dumoryc e lasciare questa ad Ebrua. Sarebbe una dote splendida, che mi permetterebbe di far stilare il contratto di matrimonio come voglio io.