Oltre alla nuova nata, Mael aveva anche un altro tesoro da condividere con Nevyn, un libro assai raro che aveva trovato in un tempio di Wmm nel corso di una delle sue rare visite ad Aberwyn. Quella notte, i due fecero a turno nel leggere a voce alta l’antica traduzione di un dialogo scritto da un saggio dei Rhwman, Tull Cicryn, e nei giorni che seguirono più di una volta rimasero alzati fino a tardi per discutere di quei pensieri risalenti all’Alba dei Tempi.
— Questo libro mi è costato una dannata quantità di denaro — commentò Mael. — Gavra ha pensato che fossi impazzito, e forse ha ragione, ma i preti sostengono che si tratta del solo libro di Cicryn che sia sopravvissuto all’esilio.
— È così, ed è un peccato che non ne abbiamo altri. La storia antica sostiene che Cicryn era un uomo molto simile a te, un principe dei Rhwmanes che ha perduto il potere perché ha sostenuto il pretendente sbagliato al trono e che ha poi dedicato alla filosofia il resto della sua vita.
— Spero che il suo esilio non sia stato troppo aspro, ma senza di esso forse non avremmo avuto questi Discorsi Tuscani. Intendo includere le sue argomentazioni contro il suicidio nel mio nuovo libro, perché quella sua immagine centrale è decisamente adatta e impressionante, là dove lui afferma che noi siamo come le sentinelle di un esercito, nominate dagli dèi per ragioni che non possiamo conoscere, e che quindi uccidersi equivale a disertare dal proprio posto.
— Come mi pare di aver commentato all’indirizzo di un giovanissimo principe, molto tempo fa.
— Proprio così — rise con disinvoltura Mael, — e avevi ragione. A questo proposito, c’è una cosa che avevo intenzione di dirti. Se vorrai restare con noi per il resto della tua vita sarai il benvenuto. Non ti posso offrire lo splendore di una corte, ma Cannobaen ha un clima mite d’inverno.
— Sei molto generoso e la tua offerta mi tenta davvero, ma ho dei parenti presso cui andare.
— Parenti? Ma certo, è ovvio che tu abbia dei parenti. Stavo cominciando a pensare che gli uomini del dweomer sbucassero già adulti dal terreno.
— Come i ranocchi dal fango caldo? Non siamo tanto strani… non del tutto, comunque.
Quando se ne andò, Nevyn sgusciò via una mattina all’alba, prima che la famiglia si svegliasse, per evitare a tutti il dolore della separazione. Mentre si allontanava, si girò a guardare il pallido bagliore del faro di Cannobaen che splendeva sulla cima della torre e seppe che non avrebbe mai più rivisto Mael. Gli sarebbe piaciuto avere davvero dei parenti presso cui recarsi, ma i pochi distanti parenti che ancora gli restavano si trovavano presso una delle varie corti in guerra, che ora lui avrebbe dovuto evitare per qualche tempo: semplicemente, doveva far finta di morire. Dopo parecchi anni, un altro Nevyn l’erborista avrebbe potuto presentarsi di nuovo nei luoghi in cui lui era già stato senza che ci fossero persone in grado di porre domande imbarazzanti in merito alla sua vita insolitamente lunga.
Incamminandosi, decise di recarsi in qualche villaggio di confine del territorio di Cantrae, dove avrebbe potuto mettere le sue capacità al servizio della popolazione di quel regno lacerato, e si chiese se avrebbe rivisto Brangwen, che forse era già rinata in un nuovo corpo. Non poteva comunque fare altro che seguire il proprio intuito e lasciare che quella casualità che era qualcosa di più del puro caso lo guidasse. Con un lungo e doloroso sospiro indirizzò il cavallo sulla strada che portava a nord, sentendosi molto stanco nonostante la sua lunghissima esistenza che ad altri uomini sarebbe parsa una cosa meravigliosa.
Mael, Signore di Cannobaen, e sua moglie Gavra vissero molti lunghi anni felici e infine morirono di vecchiaia a pochi giorni di distanza uno dall’altra. A mano a mano che la sua reputazione di saggezza andò crescendo, lui divenne noto come «Mael il Veggente» e venne così inserito in quella categoria di uomini che nell’Alba dei Tempi erano stati conosciuti come «vati». Anche se la gente di Deverry lo chiamava Mael y Gwaedd, nella lingua di Eldidd il suo nome divenne Maelwaedd, un titolo che per lungo tempo venne poi trasmesso ai suoi discendenti.
ESTATE, 1063
Non si deve mai parlare di «vincolare» uno spirito dentro un cristallo o un talismano. Se lo spirito sceglie di servirti in questo modo, ciò sarà un bene reciproco, perché esso acquisirà conoscenza e potere come ricompensa. Lasciamo dunque al Sentiero Oscuro tutti i discorsi di vincolo e di sottomissione.
Era uno splendido giorno d’estate e il sole scintillava sulle acque del fiume Lit. Lord Camdel, un tempo incaricato del Bagno del Re, cantava mentre cavalcava lungo il fiume… soltanto frammenti di canzoni mescolati senza un ordine preciso perché stava incontrando una notevole difficoltà a ricordare le parole. In effetti, aveva difficoltà a ricordare qualsiasi cosa, come per esempio perché stesse attraversando quelle solitarie colline della provincia dell’Yr Auddglyn. Di tanto in tanto, quell’interrogativo gli affiorava nella mente, ma per quanto ci riflettesse sopra non trovava mai la risposta e gli sembrava assolutamente giusto essere a centinaia di chilometri dalla corte, con un misterioso pacchetto di gioielli nelle sacche della sella. Sapeva di aver rubato i gioielli, ma non era più in grado di rammentare il perché o chi fosse stato il loro proprietario.
— Devo essere ubriaco — confidò al castrato sauro che montava, — ma perché sono venuto proprio qui ad ubriacarmi?
Alcuni chilometri più avanti la strada che seguiva il fiume descriveva una brusca svolta e nell’aggirarla Camdel scorse tre uomini a cavallo che… lo sapeva, anche se in modo confuso… lo stavano aspettando. Naturalmente di trattava di Sarcyn e di Alastyr, e il terzo uomo doveva essere il fratello di Sarcyn! Senza dubbio doveva quindi essere venuto fin lì per comprare dell’oppio con i gioielli. Finalmente tutto cominciava ad avere un senso.
— Ben incontrato, amico mio — lo salutò Alastyr. — Sei pronto a venire con noi?
Camdel aprì la bocca per assentire, ma in quel momento un pensiero improvviso gli affiorò nella mente.
Non seguirli! esso gli ingiunse. Ti faranno del male!
Quel pensiero fu così intenso e urgente che senza neppure soffermarsi a riflettere Camdel assestò uno strattone alle redini per far girare il cavallo.
— Fermo! — esclamò Sarcyn, spronando per raggiungerlo. Fuggi! urlò la voce nella sua mente.
Obbediente, Camdel incitò il cavallo, ma proprio nel momento in cui sì lanciava al galoppo l’animale s’impennò con un nitrito di agonia e nello stesso tempo Camdel vide la lama di una spada brillare al sole nel tagliare la gola all’animale. Il nobile riuscì appena in tempo a liberare i piedi dalle staffe e a rotolare al suolo mentre il castrato si accasciava, poi si alzò barcollando e annaspò per afferrare la spada, ma un colpo violento lo raggiunse alla nuca e lo fece sprofondare nell’oscurità.
— Un buon lavoro, Sarcyn — approvò Alastyr. — Evy, recupera le sacche della sella! Ce ne dobbiamo andare in fretta.
— È una vera seccatura aver dovuto abbattere il cavallo — commentò Sarcyn, inginocchiandosi accanto a Camdel. — Adesso gliene dovremo procurare un altro.
— Stavo pensando che potremmo semplicemente ucciderlo e liberarcene, perché la situazione è più pericolosa di quanto credessi. Non dimenticare che con questa dannata guerra in corso nella zona potremmo incontrare in qualsiasi momento una pattuglia.
Sarcyn sollevò lo sguardo con un lampo di ribellione negli occhi.