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— So che te lo avevo promesso, ma… — Alastyr esitò, ricordando come il Vecchio lo avesse avvertito che il suo apprendista lo odiava. — Ah, d’accordo, dopo tutto non è molto pesante e potrai legarlo sul tuo cavallo finché non gliene avremo trovato un altro.

— Ti ringrazio, maestro. Inoltre, potremmo sempre usarlo per il rituale.

— È ciò che faremo, stanotte stessa. Oh, dèi, sono sfinito.

In quel momento sopraggiunse Evy con le sacche della sella. Pur sentendosi tentato di aprirle subito per contemplare i gioielli in esse contenuti, Alastyr ci rinunciò perché avevano poco tempo e si lanciò invece intorno un’occhiata piena di nervosismo, nel timore di vedere la banda di guerra di qualche nobile lord che puntava verso di loro. Camdel sarebbe stato una dannata seccatura… pensandoci, Alastyr si rese conto che il pensiero che Sarcyn lo odiasse, dopo tutto quello che aveva fatto per lui, lo faceva soffrire. Del resto, adesso non c’era tempo per preoccuparsi per cose del genere e Sarcyn era troppo utile per poter essere eliminato.

La testa gli pulsava per un dolore accecante e un paio di braccia lo circondavano, sostenendolo, ma dove si trovava? Era a cavallo, da qualche parte. Camdel aprì gli occhi e vide intorno a sé un verde pascolo… l’Auddglyn. Ricordando il proprio tentativo di fuga, gemette e si contorse sulla sella, rendendosi conto soltanto allora di avere le caviglie legate alle staffe.

— Ti sei svegliato, eh? — chiese Sarcyn.

Camdel si accorse che Sarcyn stava cavalcando dietro di lui e che erano le sue braccia a mantenerlo in sella; alle loro spalle sentì poi il rumore di altri cavalli che li seguivano, mentre la distesa di prati verdi prendeva a tremolare e a ondeggiare davanti al suo sguardo annebbiato dal dolore.

— Mi dispiace per il colpo alla testa — proseguì Sarcyn, — ma non ti potevamo permettere di andare via in quel modo. Comunque fra un po’ ti sentirai meglio.

— Perché? A cosa vi servo?

Sarcyn scoppiò in una piccola risata sommessa.

— Lo scoprirai stanotte — rispose.

Camdel era troppo esausto per porre altre domande, perché pur essendo perfettamente addestrato nell’uso delle armi e avendo addirittura vinto più di un torneo, non aveva mai combattuto in guerra né aveva mai consumato molte energie nel corso della sua vita. Il dolore alla testa finì quindi per occupare interamente i suoi pensieri per il resto di quella lunga e infelice cavalcata.

Finalmente arrivarono in una fattoria che doveva essere deserta da qualche tempo, a giudicare dal deterioramento del muro di terra che la circondava e dalla sottigliezza dello strato di paglia che copriva il tetto dell’edificio. Quando gli altri furono scesi di sella, Sarcyn liberò le caviglie di Camdel e lo tirò giù dal cavallo, spingendolo poi nella grande stanza semicircolare che un tempo era stata la cucina; adesso i bagagli dei quattro erano sparsi sul pavimento e vicino al focolare si scorgeva un mucchio di coperte.

— Sdraiati e riposa — consigliò Sarcyn. — Per accertarmi che tu non te ne vada, ti legherò le mani e i piedi.

Una volta legato, Camdel si distese e rimase immobile, cercando di non spostare minimamente la testa dolente; gli altri entrarono a loro volta nella cucina, parlando fra loro del bottino, poi si spostarono in un’altra camera e mentre stava cercando di addormentarsi Camdel sentì d’un tratto un vero e proprio urlo di rabbia.

— È sparita! Deve essere caduta quando abbiamo ucciso il suo dannato cavallo! C’è tutto, tranne la Grande Gemma dell’Ovest. Sarcyn, sella il cavallo e torna indietro a cercarla.

La Grande Gemma dell’Ovest. Che cos’era? Camdel ricordava in modo vago quel nome, ma il dolore alla testa gli rendeva difficile pensare e alla fine scivolò nell’incoscienza, soltanto per essere tormentato da uno spaventoso sogno in cui Alastyr lo interrogava in merito alla misteriosa gemma.

Quando si svegliò era ormai notte e un fuoco ardeva nel camino. Poco lontano, Alastyr, Sarcyn ed Evy erano seduti per terra e intenti a parlare fra loro in tono sommesso permeato di una gelida furia. Quando si rese conto che probabilmente non avevano trovato la pietra, Camdel ne fu contento; tentò quindi di muoversi e pur emettendo un gemito involontario scoprì che adesso il dolore era calato a livelli tollerabili.

— Dategli qualcosa da mangiare e da bere — ordinò Alastyr. — Voglio praticare il rito immediatamente, perché tutti questi viaggi astrali mi hanno prosciugato di energie.

Il cuore di Camdel cominciò a battere con la violenza di un tamburo e mentre Sarcyn gli si avvicinava gli riaffiorarono nella mente tutte le storie che gli era capitato di sentire in merito ai maghi malvagi.

— Oh, non siamo i mercanti di oppio che tu credevi — affermò Sarcyn, inginocchiandosi accanto a lui. — Presto scoprirai nuove verità, piccolo uomo, e anche se all’inizio mi odierai per quello che ti farò credo che con il tempo comincerai ad apprezzarlo.

Allorché Sarcyn gli liberò le mani, Camdel scoprì che esse tremavano a tal punto da rendergli difficile reggere la borraccia che gli veniva porta, ma la sete tormentosa lo costrinse a calmare il tremito per trangugiare lunghe sorsate d’acqua. Mentre beveva, Sarcyn indugiò ad osservarlo con un sorrisetto che gli fece accapponare la pelle.

— Hai fame? — gli chiese poi.

— No — rispose Camdel, a fatica. — Per favore, lasciatemi andare. Mio padre è ricco e mi riscatterà… per gli dèi, vi prego, lasciatemi andare!

— Non rivedrai mai più tuo padre, ragazzo. Verrai con noi nel Bardek e quando mi sarò stancato di te sarai venduto come schiavo, quindi è meglio che tu cerchi di compiacermi per evitare di venirmi subito a noia.

Improvvisamente, Camdel comprese cosa l’altro intendesse sottintendere e si ritrasse con un movimento involontario che strappò una risata a Sarcyn.

— Probabilmente non riuscirebbe comunque a mangiare — intervenne Alastyr. — Liberagli le caviglie e portalo di là.

Allorché Sarcyn lo issò in piedi Camdel barcollò, perché era rimasto legato tanto a lungo che ora gli riusciva difficile camminare; un po’ spingendolo e un po’ sostenendolo, l’apprendista lo condusse in un’altra camera, dove un panno di velluto nero ricamato con strani simboli e sigilli era stato appeso ad una parete; lanterne contenenti candele pendevano da alcuni ganci e in un angolo c’era un piccolo braciere di bronzo da cui esalava una lieve nube di incenso. Nel centro del pavimento spiccava un robusto anello di ferro inserito in una botola che dava indubbiamente accesso ad una cantina o a qualche altro locale del genere.

— Era tutto pronto e stavamo soltanto aspettando che tu ti svegliassi — affermò Alastyr, e Camdel odiò più che mai la sua voce untuosa. — Ti avverto che se cercassi di lottare potresti farti del male, quindi ti conviene restartene sdraiato tranquillo.

A quelle parole Sarcyn lo spinse prono sul pavimento con tale violenza da troncargli il respiro e si affrettò a legargli le mani all’anello di ferro, spostandosi poi di lato. Quando sollevò lo sguardo, Camdel vide che Alastyr si era venuto a mettere davanti a lui, a meno di un metro di distanza e che teneva le mani sollevate all’altezza delle spalle, con il palmo in avanti. Alla luce delle candele i suoi occhi sembravano brillare mentre lui fissava quelli del prigioniero, che all’improvviso scoprì di non poter distogliere lo sguardo nonostante tutti i suoi tentativi in quel senso: gli occhi di Alastyr lo avevano intrappolato e lui ebbe l’impressione che il vecchio lo stesse prosciugando delle energie vitali in un modo misterioso che non riusciva a comprendere.

Poi Sarcyn gli si inginocchiò accanto e cominciò a sfilargli i calzoni, allungando una mano sotto di lui per slacciarli e accarezzarlo, e Camdel prese a dibattersi come un pesce preso all’amo. L’apprendista era però troppo forte per lui e alla fine il giovane nobile rimase disteso immobile, seminudo e tremante di paura, con lo sguardo fisso negli occhi di Alastyr mentre Sarcyn gli allargava le gambe e s’inginocchiava in mezzo ad esse. Il vecchio prese allora a cantilenare qualcosa in una lingua incomprensibile, un sommesso e ritmico mormorio ancora più spaventoso per il modo lento e controllato in cui veniva pronunciato.