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— Non ne avrete più finché non mi avrete mostrato la pietra. Soltanto allora ve ne darò ancora.

Gli spiriti si smaterializzarono e Sarcyn ritrasse la mano sebbene Camdel stesse ormai tremando, prossimo all’orgasmo.

— Più tardi — gli sussurrò l’apprendista nell’orecchio, — ripeteremo il rituale. Finirà per piacerti… nonostante ciò che puoi pensare di te stesso. La scorsa notte ti ho ampiamente soddisfatto.

Camdel lo guardò con un’espressione in cui il disgusto lottava con il desiderio. Ignorandoli entrambi, Alastyr tornò ad inginocchiarsi davanti allo specchio.

— Mostratemi la gemma! — ordinò.

Nello specchio rischiarato dalle candele si formarono nubi vorticanti che lentamente si trasformarono in oscurità. Sorridendo, Alastyr si protese in avanti mentre l’oscurità cedeva il posto ad immagini concrete: colline che si stendevano sotto un cielo stellato, un cavallo impastoiato vicino ad un albero sotto il quale un ragazzo armato di spada camminava avanti e indietro. No, non era un ragazzo… quella era Jill, la giovane guerriera che l’anno prima aveva già interferito nei suoi piani.

— La pietra — sussurrò. — Dov’è la pietra?

La visione scese velocemente verso il basso e si concentrò sulle sacche della sella.

— Adesso mostratemi con esattezza dove si trova la ragazza.

La visione tremolò, poi prese ad espandersi… e all’improvviso svanì in un bagliore di luce bianca. Semiaccecato, Alastyr cadde quasi in avanti sullo specchio mentre gli esseri del Popolo Fatato tornavano ad apparire… e dalla loro espressione terrorizzata il maestro oscuro comprese che qualcuno li aveva banditi. Una persona dotata di un grande potere nel dweomer stava quindi proteggendo quella ragazza, ed Alastyr non aveva dubbi su chi potesse essere.

— Il Maestro dell’Aethyr — sussurrò.

Annuendo, gli gnomi confermarono la sua supposizione e svanirono mentre Alastyr si sedeva all’indietro sui talloni e prendeva in considerazione l’idea di rinunciare ad impossessarsi della pietra. Aveva però impiegato anni a trovare gli informatori e a tendere le sue trappole, e aveva poi consumato una grande quantità di potere per incantare Camdel e tenerlo sottoposto a incantesimo per settimane, per cui adesso si rifiutava di fuggire ancora, se non dopo aver avuto in mano la pietra. Inoltre, l’estate precedente aveva avuto modo di vedere Jill in carne ed ossa, quando lei e il suo famoso padre si trovavano in una taverna di Eldidd; a quell’epoca aveva pensato che essere riuscito a vederla fosse stata soltanto una fortuna momentanea, ma adesso era certo che i Signori dell’Esteriorità e dell’Apparenza lo avessero guidato fino a lei. Avendola incontrata di persona, infatti, avrebbe ora potuto evocare normalmente la sua immagine e Nevyn non avrebbe così avuto modo di individuarlo. Sollevando lo sguardo scoprì che Sarcyn lo stava osservando.

— Ho visto chi ha la gemma — gli disse, — e dovremmo riuscire con facilità ad ucciderla.

Il mattino successivo Jill si svegliò dopo poche ore di sonno sentendosi rigida e indolenzita. Il sole era già alto sull’orizzonte, e nell’accorgersene lei avvertì un irrazionale timore per aver indugiato tanto. Se non altro, Sunrise aveva già finito di pascolare e lei poté legargli intorno al muso la sacca piena di granaglie, provvedendo poi a mangiare a sua volta un po’ di pane e formaggio senza neppure sedersi. Il giorno era sorto soleggiato e caldo, ma Jill si sentiva intrisa di freddo, come se avesse avuto la febbre, e quella sensazione la spinse a raccogliere in fretta le sue poche cose, lasciando a Sunrise appena il tempo di finire l’avena prima di rimettersi in marcia.

Quel mattino la strada la condusse lontano dal fiume e a mano a mano che proseguì la scura linea di montagne che separava l’Yr Auddglyn dalla provincia di Cwm Pecl incombette sempre più vicina, come una schiera di nubi basse sull’orizzonte. Verso mezzogiorno, nell’attraversare al trotto una valletta Jill vide sulla strada una nuvola di polvere che avanzava verso di lei; di lì a poco la nube rivelò sei uomini armati e Jill si affrettò ad allentare la spada nel fodero, ma quando la incrociarono i cavalieri la salutarono con un cenno amichevole.

— Aspetta un momento, ragazzo — disse il loro capo. — Per caso sei latore di un messaggio da parte di Lord Marclew?

— No, ma sono diretta alla fortezza di Lord Ynryc, perché la daga d’argento che tiene prigioniera in attesa di riscatto è il mio uomo.

I cavalieri si protesero in avanti sulla sella per scrutarla meglio in viso.

— Non è un Wyrd malvagio che una così graziosa ragazza abbia per marito una daga d’argento? — commentò poi il loro capo, ma un sorriso cortese attenuò l’asprezza del commento. — Il vecchio Marclew non intende riscattarlo lui stesso?

— Forse che il gelido Inferno può diventare caldo e coprirsi di fiori? Sono venuta a trattare di persona con il vostro signore. Siete disposti a lasciarmi passare?

— Ah, ti scorteremo noi stessi alla fortezza, dove scoprirai che il nostro signore è dannatamente più generoso di Marclew. Ti avverto però che al momento è a corto di fondi.

Anche se inizialmente Jill rimase sul chi vive, i sei uomini la trattarono con cortesia, mostrandosi comprensivi per la difficoltà della sua situazione, perché la guerra non era ancora arrivata a quello stadio di ferocia che portava gli uomini a violentare con la stessa noncuranza con cui uccidevano. Inoltre, Jill fu costretta ad ammettere dentro di sé di essere lieta di avere una scorta armata, anche se non avrebbe saputo dire perché fosse tanto certa di averne bisogno.

La fortezza di Ynryc distava altri sei chilometri e sorgeva appollaiata sulla cresta di una collina, cinta da un terrapieno e da una cerchia di mura all’interno della quale si levava una massiccia rocca di pietra, larga quasi quanto era alta… cosa che Jill non aveva mai visto prima… e circondata dal consueto assortimento di capanne e di baracche. Il cortile era pieno di cavalli legati all’esterno per mancanza di un numero sufficiente di stallaggi, e al limitare di quella mandria Jill scorse il cavallo da guerra baio di Rhodry, lasciato in disparte come se la cavalcatura di una daga d’argento condividesse la vergogna del suo padrone.

Uno dei membri della scorta improvvisata di Jill, un uomo biondo e robusto chiamato Arddyr, l’accompagnò nella grande sala, che era affollata come una città in giorno di mercato: fra i tavoli aggiuntivi e i mucchi di coperte quasi duecento uomini sedevano o gironzolavano, bevendo birra e parlando degli imminenti combattimenti, mentre al tavolo d’onore quattro nobili che sfoggiavano il loro plaid sopra i calzoni erano intenti a studiare una mappa di pergamena. Quando Jill seguì Arddyr verso di loro, uno di quei nobili, un individuo grasso e brizzolato, si girò a guardarli.

— Lord Ynryc? — lo interpellò Arddyr. — Questa dama ti può disturbare per un momento? Ti ricordi di Rhodry, la daga d’argento? Questa è sua moglie, e Marclew le ha rifiutato il denaro del riscatto del suo uomo.

— Quel vecchio mucchio di sterco di porco! — commentò Ynryc, poi si girò verso uno degli uomini che gli sedevano accanto. — Bene, Maryl, ho vinto la scommessa e mi devi una moneta d’argento.

— Infatti. La mia fiducia che a Marclew restasse ancora qualche brandello di onore mi è costata cara. Tuttavia… ragazza, prima d’ora non avevo mai sentito parlare di una daga d’argento che avesse moglie.

— Senza dubbio io sono la sola ragazza del regno tanto stupida da averne scelta una come suo uomo, mio signore, ma Rhodry significa tutto per me. Non dispongo di un regale di Deverry, ma sono pronta a pagare tutte le monete che posseggo pur di riaverlo.

Ynryc esitò, mordicchiandosi le estremità del baffi, poi scrollò le spalle.

— Voglio una moneta d’argento come pagamento simbolico — disse, — e niente di più.

— Se fossi un bardo, mio signore, canterei il tuo nome per questo.