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Nevyn, Nevyn, gli dèi sanno quanto vorrei che tu fossi qui! pensò.

Sta arrivando, rispose un pensiero spontaneo nella sua mente. Verrà a salvarci entrambi.

La birra le andò di traverso a tal punto che lei prese a tossire convulsamente e il locandiere si affrettò ad avvicinarsi.

— Non c’era una mosca nel boccale, vero? — chiese, battendole qualche colpo sulla schiena.

— No. Ti ringrazio.

L’uomo si allontanò con un cenno comprensivo, mentre Jill rifletteva che quella era veramente la goccia che faceva traboccare il vaso. Doveva scoprire qualcosa riguardo a quella pietra. In una città di quelle dimensioni dovevano di certo esserci parecchi gioiellieri, ma lei non aveva intenzione di parlare apertamente di una gemma capace di cambiare forma e di trasmettere pensieri alla mente delle persone che la possedevano. Per chi sapeva come cercarle esistevano però sempre anche altre fonti d’informazione.

La sala comune della taverna era affollata di clienti. Ad un tavolo c’era un gruppetto di giovani donne vistose che stavano consumando una colazione a base di porridge nonostante l’ora decisamente tarda, un altro era occupato da alcune aspiranti guardie per carovane e ad un terzo sedevano dei giovani che avrebbero potuto essere apprendisti di bottega. Quando il locandiere venne a riempirle di nuovo il boccale, Jill si fece deliberatamente loquace, lodando la generosità di Blaen e affermando di non essere mai stata ricompensata così bene per aver consegnato un messaggio. Naturalmente, badò a pagare il locandiere dalla sacca che portava apertamente alla cintura e non da quella appesa al collo e contenente la maggior parte dei suoi averi. Poi uscì per fare una passeggiata per le strade, dove la luce pomeridiana batteva intensa sull’acciottolato ben spazzato.

Prosperi mercanti la oltrepassarono con andatura affrettata oppure indugiarono lungo la via a chiacchierare del più e del meno; alcune donne che portavano cesti pieni di acquisti fatti al mercato o secchi d’acqua lanciarono un’occhiata alla daga d’argento che lei aveva alla cintura e si affrettarono a passare dall’altro lato della strada. Imboccando i vicoli più stretti che riuscì a trovare, Jill continuò a camminare lentamente, come se fosse stata immersa nei propri pensieri e infine in un vicolo fra una panetteria e la bottega di un ciabattino la sua caccia le portò la selvaggina sperata. Tre giovani le passarono accanto e uno di essi la urtò malamente. Con qualche gentile parola di scusa, il giovane accennò poi ad allontanarsi in fretta, ma Jill si voltò di scatto e gli afferrò il polso, poi lo sbatté contro il muro della bottega del ciabattino prima che avesse il tempo di liberarsi, assestandogli un colpo tanto violento da togliergli il fiato. I suoi due amici si diedero subito alla fuga, come il codice dei ladri permetteva loro di fare, e la preda di Jill, un individuo magro con i capelli chiari e un naso coperto di verruche, sollevò lo sguardo su di lei con il respiro affannoso.

— Chiedo scusa, daga d’argento. Non intendevo insultarti.

— Insultarmi? Il Signore dell’Inferno si può tenere gli insulti. Ridammi la mia sacca.

Il ladro scalciò e cercò di sgattaiolare da un lato, ma Jill tornò ad afferrarlo e lo spinse a faccia in avanti contro la parete; poi, mentre l’uomo si dibatteva e protestava, gli infilò una mano nella camicia e recuperò la sacca con le monete di rame, sfilando per buona misura dal fodero la piccola e affilata daga che il ladro portava alla cultura. Quando infine costrinse la sua preda a girarsi per fronteggiarla, l’uomo si accasciò con un gemito fra le sue mani.

— Dunque — scandì Jill, — di certo sai che se ti consegnassi agli uomini del gwerbret ti verrebbero tagliate le mani sulla piazza del mercato.

Il volto del ladro si tinse di un pallore mortale.

— Se però mi dirai chi comanda in questa città ti lascerò andare.

— Non posso! Questo mi costerebbe la vita, non soltanto le mani!

— Oh, per gli inferni, cosa credi che voglia fare? Correre a dirlo al gwerbret? Ascolta, ho del denaro da dare al vostro capo, e se non avessi stupidamente tentato di derubarmi ti avrei posto la mia domanda in maniera più cortese. — Nel parlare, gli restituì la daga con l’elsa in avanti. — Avanti, riprendila.

Il ladro indugiò a riflettere, mentre il colore cominciava a riaffiorargli sul volto e alla fine accettò la daga offertagli.

— Si chiama Ogwern — disse. — Lo puoi trovare alla Locanda del Drago Rosso, sul lato orientale del fiume vicino al pascolo comune. È accanto alla bottega del fabbricante di candele… non puoi evitare di vederla.

Poi si girò e si mise a correre come un daino spaventato che fuggisse nella foresta. Dal canto suo, Jill gli andò dietro a passo lento, in modo da lasciargli il tempo di arrivare da Ogwern con la notizia prima di presentarsi a sua volta. Ben presto scoprì che l’uomo aveva avuto ragione a proposito della bottega del fabbricante di candele: in effetti era impossibile evitare di vederla, con i mucchi di sego puzzolente accumulati nel soleggiato cortile. Dalla parte opposta dello stretto vicolo c’era una piccola locanda di legno con il tetto di paglia che si andava assottigliando e le finestre chiuse da imposte scolorite e distorte. Quando Jill bussò, la porta si aprì appena di una fessura e rivelò un occhio sospettoso che la fissava dall’apertura.

— Chi sei? — chiese una profonda voce maschile.

— La daga d’argento che ha chiesto di Ogwern. Se non parlerà con me ci rimetterà dei profitti.

Con una risata il suo interlocutore spalancò la porta: si trattava di un uomo di una grassezza spropositata, con il ventre che sporgeva voluminoso dalla camicia e le guance che pendevano flosce intorno al collo da toro.

— Mi piace il tuo coraggio. Io sono Ogwern. Vieni dentro.

La sala semicircolare della taverna puzzava di paglia vecchia e di fumo, ed era arredata con quattro tavoli malconci e traballanti. Dietro insistenza di Jill, i due sedettero in un punto dove lei poteva avere le spalle a ridosso della parete e il locandiere, un uomo pallido e ossuto quanto Ogwern era grasso, si affrettò a portare loro due boccali di birra sorprendentemente buona, che Jill ebbe cura di pagare.

— Allora, bella signora — esordì quindi Ogwern, — e bella lo sei, anche se non puoi essere una signora, considerato tutto ciò che sai sulla gente come noi… cosa ti porta da me?

— Una cosa semplice. Probabilmente sai che ho portato un messaggio per Sua Grazia dal passo di Cwm Pecl.

— Oh, sento tutto ciò che vale la pena di sapere.

— Benissimo. Dunque, io sono giunta in città in sella ad un cavallo appartenente ad uno dei vassalli del gwerbret, ma la mia cavalcatura mi raggiungerà presto insieme alla carovana che ero stata assoldata per proteggere. È un animale di valore, e non voglio che venga rubato, quindi ho pensato che qualche moneta pagata alla persona giusta ne potrebbe garantire la sicurezza.

— Niente di più semplice, e sei venuta proprio nel posto giusto. Di che tipo di cavallo si tratta?

— Un corsiero occidentale, castrato, dal pelo dorato.

— Addestrato per la guerra?

— Sì.

Ogwern rifletté, agitando nell’aria una mano grassa.

— Ecco, se si trattasse di uno stallone ti costerebbe una moneta d’oro — affermò infine, — ma per un castrato ne basteranno quindici d’argento.

— Cosa! Oh, dèi! Questo è un furto!

— Ti prego di non usare simili termini, che turbano il mio prezioso, grasso cuore. Facciamo tredici, allora.

— Dieci, e non una moneta di rame in più.

— Undici. Permettimi di ricordarti che un animale così pregiato è facile da piazzare sul mercato.