— Non sono le guardie, capisci — sussurrò Ogwern a Jill. Intanto il locandiere si era ritratto dalla soglia, lasciando entrare un uomo alto e largo di spalle, che indossava semplici calzoni grigi e una camicia macchiata di sudore, stretta intorno alla vita da una pesante cintura da cui pendeva una spada infilata in un fodero dall’aria costosa; il modo disinvolto e controllato con cui l’uomo si muoveva disse a Jill che sapeva usare bene l’arma. Lo sconosciuto si diresse verso il tavolo di Ogwern e l’Airone si affrettò a togliersi di mezzo, una reazione che Jill trovò comprensibile perché non aveva mai visto occhi come quelli dell’uomo biondo che le stava davanti… azzurri come il ghiaccio, assolutamente gelidi e determinati, come se lui avesse contemplato tante cose nauseanti da essere ormai costretto a guardare il mondo soltanto con disprezzo. Senza riflettere, posò d’istinto la mano sull’elsa della spada e nel notare il suo gesto lo straniero sorrise, increspando appena le labbra.
— Er… buona sera — salutò Ogwern. — Devo dedurre che desideri parlare con me?
— Forse. Dipende da ciò che questa daga d’argento ha da dire.
La voce dell’uomo non era particolarmente sgradevole, suonava soltanto fredda e secca, ma Jill rabbrividì comunque quando lui si girò a guardarla.
— Non credo che ci siamo mai incontrati, signore — osservò.
— Infatti, ma mi è stato dato di capire che hai con te un gioiello rubato. Sono disposto a pagartelo in oro.
— Ti sbagli — replicò Jill, consapevole che Ogwern la stava fissando con divertita sorpresa, come se stesse pensando di essere stato precedentemente imbrogliato da lei. — Non ho gioielli da vendere. Cosa ti aspettavi che possedessi?
— Un opale, piuttosto grosso… è risaputo che voi ladri amate contrattare, ma ti garantisco che posso pagarti molto più di qualsiasi ricettatore. So che lo tieni in quella sacca che porti al collo. Tiralo fuori.
— Se avessi quest’opale, lo venderei a te — dichiarò lei, sentendo una forza estranea porle in bocca quelle parole, — ma l’unico gioiello che posseggo è una spilla.
Lo sconosciuto socchiuse gli occhi con espressione irritata mentre Jill esibiva la sacca, l’apriva e ne tirava fuori… una spilla d’ottone di fattura comune, con pezzi di vetro al posto delle gemme, cioè proprio ciò che si era aspettata di trovare.
— Non scherzare con me, ragazza! — ringhiò l’uomo.
— Ti giuro che questo è il solo gioiello che posseggo.
Lo straniero si protese in avanti sul tavolo e la fissò negli occhi, trapassandola con lo sguardo come se volesse leggerle nell’anima, in un modo che la indusse a pensare a Nevyn.
— Quello è davvero il solo gioiello che possiedi? — insistette.
— Infatti — confermò Jill, incontrando una notevole difficoltà a parlare. — Ti ho detto la verità.
Gli occhi dello sconosciuto parvero divenire più scuri e lei si accorse che il sondaggio nella sua anima si stava facendo più profondo. Con uno sforzo di volontà si liberò e scrollò il capo, prendendo in mano il boccale pieno di birra con l’intenzione di scagliarlo contro l’uomo se questi avesse tentato altri trucchi. Lo sconosciuto però si piantò le mani sui fianchi e si guardò intorno con espressione onestamente sconcertata.
— Cosa significa tutto questo? — intervenne Ogwern, secco. — Jill ti sta dicendo la verità.
— Questo lo so, grasso maiale! Hai tu la pietra? Sai dove si trova?
— Quale pietra? — ribatté il grassone, posando la coscia di pollo e passandosi le mani sulla camicia… durante il gesto Jill notò il lieve bagliore indicante che Ogwern aveva impugnato la sua daga. — Senti, non puoi fare irruzione in un’onesta locanda in questo modo. Sii tanto gentile da dire che cosa vuoi e vedremo se possiamo aiutarti.
Lo sconosciuto esitò, trapassando il ladro con uno sguardo pieno di disprezzo.
— Benissimo — replicò infine. — Sto cercando un particolare opale, grosso come una noce e perfettamente levigato. Non tentare di dirmi che non ne hai sentito parlare perché so come circolano voci del genere.
— Infatti, e non intendo mentirti. Secondo le ultime notizie l’opale era nell’Yr Auddglyn. Se fosse da qualche parte nel Cwm Pecl io lo saprei, ma non c’è. Ammetto che piacerebbe anche a me potergli dare un’occhiata.
L’uomo esitò ancora, guardandosi intorno con quei suoi occhi duri e decisi. Sebbene stesse mantenendo un controllo assoluto, Jill riuscì però a notare in lui una traccia di paura, avvertendola con tanta chiarezza da comprendere che l’uomo aveva cercato di stabilire una sorta di legame fra loro quando l’aveva fissata negli occhi. La cosa generò in lei un profondo disgusto, come se avesse appena infilato la mano in un nido di ragni.
— Ascolta — disse infine lo sconosciuto, rivolto ad Ogwern, — la gemma che cerco deve essere in viaggio alla volta di Dun Hiraedd, e quando arriverà ci dovrai mettere sopra le tue grasse zampe per poi rivenderla a me. Ti pagherò bene, ma se non vuoi morire dovrai venderla soltanto a me. Mi hai capito?
— Mio buon signore! Tutto quello che m’interessa è il mio profitto, e dal momento che me lo garantisci la gemma sarà senz’altro tua. Non c’è bisogno di ricorrere alle minacce.
— Potresti ricevere altre offerte. Hai capito bene? Se lo venderai a qualcun altro, ti taglierò di dosso un po’ di quel lardo fino a quando mi implorerai di lasciarti morire!
La calma con cui l’uomo si espresse rese evidente che quella non era una minaccia da sottovalutare. Con le pesanti mascelle che tremavano per il terrore, Ogwern annui in segno di assenso.
— Mi farò vivo di tanto in tanto per verificare se ti è arrivata. Conservala per me, perché dovrebbe giungere presto.
Lo sconosciuto girò quindi le spalle con disprezzo e uscì a grandi passi, sbattendo la porta dietro di sé. L’Airone tentò di parlare ma riuscì soltanto a deglutire a fatica.
— Per gli inferni! — sussurrò Ogwern. — Era reale?
— Temo che lo fosse — rispose Jill. — Spero proprio che non abbia preso alloggio alla Volpe in Fuga: non mi andrebbe di tornare là soltanto per trovarlo nella sala comune.
— Non sarà difficile scoprirlo. Airone, prendi un paio di ragazzi ma non correre il rischio di seguire quel bastardo e limitati a fare qualche domanda in giro.
— Qualcuno deve averlo notato — convenne l’Airone. — Sono pronto a scommettere che spicca in mezzo a qualsiasi folla.
Il giovane uscì quindi dalla porta posteriore con un paio di amici ed Ogwern sospirò nel contemplare ciò che restava del pollo.
— Ho perso l’appetito — dichiarò. — Ne vuoi un po’, Jili?
— No, grazie. È davvero stupefacente che tu non abbia più fame.
— Per favore, non essere scortese — ribatté lui, posando una mano sul suo cuore oltraggiato e riponendo la daga con lo stesso gesto. — Un uomo può tollerare soltanto un certo numero di insulti. Grasso? Hah!
Trascorse oltre un’ora prima che l’Airone tornasse con modi insolitamente furtivi; il suo volto era decisamente pallido mentre lui riferiva ad Ogwern che nonostante le loro ricerche lui e i ragazzi non avevano trovato traccia dello straniero.
— Sei diventato di colpo idiota? — farfugliò Ogwern. — Dun Hiraedd non è poi così grande.
— Lo so, ma lui non c’è, e nessuno lo ha visto arrivare o partire. E c’è anche un’altra cosa dannatamente strana. Lo abbiamo intravisto mentre camminava in direzione delle mura cittadine, poi ha svoltato in un vicolo ed è come scomparso. Te lo giuro, Ogwern! È svanito nel nulla.
— Oh, per il roseo posteriore degli dèi! — imprecò debolmente Ogwern. — Preghiamo allora che questa dannata gemma salti fuori presto, in modo che possa prendere il dannato oro di quell’uomo e liberarmi di lui.