Quando Gedryc tornò Nevyn gli diede un regale d’oro e prese il rubino nel palmo della mano, individuando subito con la seconda vista il cristallino reticolo di forze che vincolava lo spirito prigioniero al suo interno.
— Ti ringrazio — disse al gioielliere. — Se dovessero capitarti fra le mani altre gemme di pregio conservale per me. Ti garantisco che le pagherò bene.
— Ne sarò lieto. Uh… non ti è possibile dirmi cosa sta succedendo, vero?
— Hai ragione, non mi è possibile. Buona giornata a te, gioielliere.
Nevyn lasciò a grandi passi la bottega tenendo il rubino stretto in una mano; una volta all’esterno, si arrestò accanto ai cavalli e si guardò rapidamente intorno per accertarsi che non ci fosse nessuno nelle vicinanze, poi aprì la mano e fissò il rubino. Al contrario della materia veramente inanimata, la struttura cristallina delle gemme forniva loro una consapevolezza estremamente tenue e rudimentale che poteva essere influenzata da un maestro del dweomer dotato di un addestramento adeguato. Quell’influenza era una cosa sottile e di solito consisteva soprattutto nell’indurre la gemma a vibrare in risposta ad un determinato sentimento, come quando un uomo del dweomer creava un talismano per il coraggio. Chi però possedeva un addestramento elevato poteva far vibrare la gemma in perfetta comunione con uno spirito elementare, con il risultato che la gemma lo risucchiava e lo intrappolava. In genere, il processo per liberarlo era difficile, ma per Nevyn fu questione di un secondo persuadere la pietra a lasciar andare il suo involontario occupante. Subito vide le linee di forza all’interno del rubino attenuarsi e spegnersi, e un momento più tardi lo gnomo grigio gli si aggrappò alle gambe, sollevando verso di lui il volto contorto dalla gioia e dalla gratitudine.
— Ecco fatto, piccolo fratello — sussurrò Nevyn, — e bada a non avvicinarti mai più a quell’uomo malvagio. Ora torna da Jill, che sente la tua mancanza.
Lo gnomo l’abbracciò un’ultima volta e scomparve. Riposto il rubino nella sacca che portava intorno al collo, Nevyn montò in sella, prese la cavezza del cavallo di scorta e si affrettò a lasciare la città perché anche se era a corto di provviste conosceva un posto dove avrebbe potuto acquistarne a prezzi migliori di quelli offerti da Marcmwr.
Non appena fu uscito dall’abitato abbandonò la strada principale e si diresse a nord, puntando verso le colline. Per parecchie ore proseguì il viaggio lungo stretti sentieri che si snodavano fra i pini mentre tutt’intorno le alture si facevano più erte e rocciose, poi arrivò finalmente ad una sporgenza di roccia grigia che torreggiava su di lui sotto la forma di una parete verticale e liscia alta alcune decine di metri. Smontato di sella, Nevyn condusse a mano i cavalli fra i grandi massi sparsi intorno ad essa come ciottoli gettati da una mano gigantesca e infine si venne a trovare alla base della parete. Dal momento che erano trascorsi molti anni dall’ultima volta che era passato da quella parte, studiò per qualche tempo con attenzione le pieghe e le rientranze della roccia finché non trovò il disegno giusto, premendolo energicamente con il palmo della mano; anche se non udì nulla, non ebbe difficoltà a immaginare il suono dell’enorme campana che stava ora rintoccando all’interno. Seguì un periodo di attesa durante il quale lui si agitò con impazienza, e infine sentì in alto un rumore frusciante: sollevando lo sguardo, vide un battente di pietra che si spalancava e una faccia barbuta che guardava verso il basso con espressione sospettosa.
— Tarko! — chiamò Nevyn. — Ho bisogno di usare la vostra strada, se il tuo popolo me lo permetterà.
— Quando mai abbiamo negato qualcosa al Maestro dell’Aethyr? Spostati leggermente all’indietro, mio signore, e aprirò la porta.
Nevyn trasse in disparte i cavalli e Tarko scomparve all’interno della roccia; entro pochi minuti una pioggia di ciottoli cominciò a rotolare verso il basso mentre una nube di polvere si levava densa come fumo lungo la parete di roccia, e un’enorme porta si spalancò stridendo nel fianco della montagna. Tarko apparve sulla soglia con una lanterna in mano e segnalò a Nevyn di entrare; il nano, che misurava circa un metro e mezzo, era più alto e muscoloso della media della sua gente, ed aveva il volto incorniciato da una barba brizzolata e tagliata con cura.
— Non ti vedevamo da anni, mio signore — osservò, mentre Nevyn induceva i cavalli nervosi ad entrare nella galleria. — A dire il vero, non usiamo più molto questa porta ora che la tua gente vive tanto vicino a noi e sei davvero fortunato, perché un gruppo dei nostri ragazzi è uscito a caccia ed io ero qui per permettere loro di rientrare.
— Non hai idea di quanto sia grato della cosa. Ho bisogno di raggiungere Dun Hiraedd al più presto ed ho una fretta degna del Signore dell’Inferno.
— La grande strada è ampia e diritta.
Infatti era così: percorrendo soltanto una quarantina di chilometri Nevyn avrebbe attraversato le montagne, sbucandone ad appena altri quaranta dalla città.
— I cavalli saranno sfiniti quando arriverò dall’altra parte — osservò il vecchio.
— Lasciali qui e prendine un paio dei nostri.
— Ti ringrazio. In questo modo potrò viaggiare anche per tutta la notte.
Montato in sella, Nevyn rivolse un cenno di saluto a Tarko e si rimise in cammino, con il rumore degli zoccoli che echeggiava intenso sotto l’alta volta arcuata della galleria, rivestita da blocchi di pietra tagliati alla perfezione e rischiarata da funghi e muschi fosforescenti coltivati con cura. Presto avrebbe raggiunto le grandi caverne dove c’erano aperture che lasciavano entrare la luce del sole, e là avrebbe potuto comprare i viveri che gli servivano per il viaggio.
Cullata dal rumore della pioggia che batteva sul tetto, quella mattina Jill dormi fino a tardi. Quando si svegliò rimase distesa ancora per un po’, chiedendosi se fosse il caso di scendere nella sala comune. Sapeva di avere davanti a sé una giornata terribile, da trascorrere in una noia densa di minacce anziché in mezzo agli evidenti pericoli della battaglia, perché nella mente le pareva di vedere ancora lo sguardo duro e intenso dello sconosciuto che la minacciava. Alla fine si alzò e si vestì; stava affibbiandosi la spada quando lo gnomo grigio le apparve davanti.
— Sia resa grazie a tutti gli dèi!
Non appena lei spalancò le braccia lo gnomo le corse incontro, balzando in alto per stringerle il collo con le braccia magre, e Jill lo tenne stretto, cullandolo come un bambino mentre le lacrime le scorrevano lungo le guance.
— Piccola peste, ho avuto tanta paura! Temevo che ti fosse successo qualcosa di male! — esclamò.
Lo gnomo si ritrasse e la fissò annuendo con aria solenne.
— Allora è davvero accaduto qualcosa di terribile?
La creatura le si serrò ancora contro, tremando per il terrore.
— Mio povero piccolo amico! Grazie agli dèi adesso sei salvo! Dimmi, come sei sfuggito al pericolo che ti minacciava?
L’essere assunse un’espressione estremamente concentrata e distolse lo sguardo, cercando ovviamente un modo per mimarle la risposta.
Lo ha salvato Nevyn, idiota, scandì la voce nella mente di Jill. Chi altri, se no?
— Senti, dannata gemma, non mi insultare! Se non fosse per te, adesso non mi troverei immersa nei guai fino al collo.
Lo so, ma ne valgo la pena.
— Bastarda!
Se intendi comportarti così, che io sia dannata se ti dirò soltanto un’altra parola.
Troppo contenta di riavere il suo gnomo per curarsi se la gemma le parlava o meno, Jill rimase a lungo seduta sul pavimento con la creatura in grembo, ricoprendola di attenzioni; quando infine scomparve lo gnomo lo fece lentamente, quasi detestasse doversene andare ma ci fosse costretto, e svanì un po’ per volta, diventando trasparente per poi trasformarsi in una tenue macchia che si dissolse nel nulla.