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Con quelle parole l’immagine di Alastyr svanì e nonostante i ripetuti tentativi Sarcyn non riuscì più ad evocarla. Sapeva che era inutile cercare di raggiungere Evy, perché senza dubbio il maestro si stava facendo assistere da lui nel rito, quindi si alzò in piedi e si accostò alla porta della capanna, osservando la pioggia che cadeva. Naturalmente, secondo tutti i principi del Sentiero Oscuro, se Evy fosse risultato tanto debole da fallire avrebbe meritato di pagare il prezzo che quel fallimento comportava, senza contare che la presenza di un membro debole nella loro piccola banda costituiva una fonte di pericolo… ma nonostante tutto Sarcyn si trovò a ricordare un giorno piovoso di molti armi prima, quando lui e suo fratello vivevano ancora nelle strade di Cerrmor: Evy aveva la febbre e nel guardarlo tremare per il freddo lui aveva pianto, pensando alla madre.

— Ho cercato di avere cura di lui, mamma — sussurrò, rivolto alla pioggia che cadeva nel Cwm Pecl.

Un momento più tardi imprecò sonoramente contro se stesso per essere un simile idiota dal cuore tenero che parlava da solo, e in preda all’ira tornò a girarsi verso il fuoco, fissandolo e vedendo soltanto le fiamme che danzavano irregolari. A quanto pareva Evy era ancora accanto ad Alastyr e quindi sotto il suo sigillo astrale, e tutto quello che lui poteva fare era sperare che la Grande Gemma dell’Ovest giacesse nel fango del passo di Cwm Pecl.

Jill e Ogwern rimasero al Drago Rosso per tutto il tempo del pasto serale perché Ogwern doveva ricevere le tasse e i pagamenti dovutigli dagli altri ladri; mentre il suo compagno procedeva a spolpare un intero arrosto d’agnello, Jill giocherellò distrattamente con il suo cibo, prendendo in considerazione l’idea di avvertire le guardie cittadine… ma cosa poteva fare? Correre dal gwerbret a raccontargli una storia di gemme maledette e di malvagi uomini del dweomer? Se ci avesse provato Blaen l’avrebbe probabilmente fatta arrestare con l’accusa di ubriachezza molesta.

Ultimata la cena, lei ed Ogwern passarono dalla Volpe in Fuga dove Jill recuperò la sua roba e proseguirono alla volta dell’alloggio del ladro, un paio di piccole stanze che si aprivano sopra la bottega di un sarto e che contenevano una un letto e l’altra una cassapanca, un piccolo tavolo e due panche; Ogwern spiegò a Jill che le modeste condizioni in cui viveva servivano a dimostrare alle guardie che i suoi unici introiti erano quelli derivanti dalla comproprietà del Drago Rosso. Stese a terra le coperte davanti alla porta, Jill si sedette su di esse, mentre Ogwern prese a passeggiare di qua e di là, accendendo le candele e andando alla finestra per sbirciare fuori attraverso una fessura delle imposte per poi tornare verso il camino con un profondo sospiro.

— Suvvia — disse infine Jill. — Credi forse che il nostro malvagio amico si materializzi dal nulla nel bel mezzo del tuo letto?

— La cosa non mi sorprenderebbe minimamente — ribatté Ogwern, adagiando la propria mole su una panca con un altro sospiro. — Sono davvero molto spaventato. Se mi piacesse questo genere di cose sarei diventato io stesso una daga d’argento.

— Saresti certo rimasto più snello.

— Ti prego di non essere scortese. C’è un lìmite agli insulti che si possono tollerare. Salsicce! Hah! Che sfaccia… — Di colpo il ladro s’interruppe per ascoltare.

Qualcuno stava salendo le scale con passo pesante. Allentata la spada nel fodero, Jill si alzò in piedi proprio mentre lo sconosciuto visitatore bussava con forza alla porta, attendeva un istante e bussava ancora.

— So che sei là dentro — scandì una voce diversa da quella che loro si aspettavano di sentire. — Apri la porta se non vuoi che la stacchi dai cardini.

L’ira che permeava la voce, per quanto effettiva, non ispirava il minimo timore, soltanto irritazione. All’interno, Jill ed Ogwern si scambiarono un’occhiata perplessa.

— Chi sei? — chiese quindi il grasso ladro. — Che cosa vuoi?

— Soltanto parlare con voi… di una questione di affari. — Adesso la voce era mutata, il suo tono era spaventato e supplichevole. — Avete già parlato con mio fratello.

Scrollando le spalle Ogwern tolse la sbarra dalla porta e aprì il battente di una fessura. Un momento più tardi Jill sentì un grugnito di sforzo e il loro visitatore assestò una spallata al battente, spingendo da un lato il grasso ladro per poi sgusciare nella stanza e richiudersi con violenza la porta alle spalle. I suoi lineamenti apparivano così familiari da indicare che lui era senza dubbio il fratello dell’uomo venuto in cerca dell’opale, ma i suoi occhi mancavano della spaventosa intensità di quelli dell’altro; lanciandosi intorno occhiate furtive, l’uomo manovrò jn modo da mantenere le spalle contro la parete, mentre la piega accasciata delle spalle e le ombre che gli segnavano gli occhi tradivano una stanchezza spaventosa.

— Non si è vista traccia dell’opale — affermò subito Ogwern.

— Non ti credo — replicò il visitatore, girandosi poi verso Jill. — Ce l’hai tu. È stato visto nel tuo equipaggiamento.

— Visto? Scommetto che vuoi dire che è stato individuato con il dweomer, ma qualcosa vi è andato storto. Tu possiedi il dweomer in misura sufficiente a sapere che sono sincera nell’affermare che il solo gioiello che ho è una spilla e per di più di scarso valore.

— Dèi, questo non ha senso! Tu devi… il mio maestro…

— Un momento! — stridette Ogwern. — Di cosa state parlando voi due? Io non ci capisco una sola dannata parola.

Ignorandolo, lo straniero mosse un passo verso Jill e la fissò negli occhi, cercando di catturare la sua volontà in maniera tanto goffa che la ragazza scoppiò a ridere. Con un ringhio, l’uomo portò la mano alla spada, ma non appena la estrasse Jill fece altrettanto, assumendo una posizione di combattimento.

— Ogwern! Chiama la guardia cittadina! — gridò.

Dal momento che la ragazza si trovava fra lui e la porta lo sconosciuto esitò, indietreggiando di un passo per avere spazio di manovra, e Ogwern ne approfittò per correre alla finestra e spalancare le imposte. Sentendo quel rumore, l’uomo scattò in avanti con un affondo, ma Jill parò il suo primo attacco con tale facilità da strappargli un sussulto di sorpresa, eseguendo poi una finta che lo spinse contro la parete.

— Aiuto! Assassinio! — prese intanto a gridare Ogwern, con quanto fiato aveva.

Lo sconosciuto si scagliò all’attacco come un animale braccato, dimostrando di non essere un goffo bandito ma uno spadaccino di abilità pari a quella di Jill, che si trovò a combattere per la propria vita fra un tintinnare d’acciaio mentre entrambi si muovevano per la minuscola camera, schivando e attaccando. Un rumore di passi echeggiò sulle scale e una voce urlò di aprire la porta nel nome del gwerbret. Per reazione l’uomo tentò un colpo disperato ma ebbe un momento di distrazione e Jill ne approfittò per schivare e raggiungerlo con forza alla spalla destra, ritraendosi subito dopo in modo da intercettare la sua lama e da strapparla dalla mano inerte. Con un grido, lo sconosciuto si addossò alla parete proprio mentre sei guardie dalla livrea rossa e oro spalancavano la porta ed entravano nella stanza.

— Ah, per gli dèi, buon Cinvan — esclamò Ogwern, — nessun onesto cittadino è mai stato più contento di me di vederti.

— Davvero? — Il capo delle guardie, un uomo robusto dai capelli scuri e brizzolati, si concesse un sorriso sprezzante. — Cosa succede? Ehi, ma è quella dannata daga d’argento che è una ragazza.

— Infatti, e vi prego di condurci immediatamente dal gwerbret.

— Quanto a questo non ti devi preoccupare — ribatté Cinvan.

Appoggiato al muro, con il respiro affannoso, lo sconosciuto sollevò la mano sinistra e la premette con forza contro la ferita nel tentativo di arrestare la fuoriuscita del sangue che gli colava lungo il braccio; quando guardò in direzione di Jill i suoi occhi apparvero torturati da un oscuro dolore che andava al di là della sofferenza causata dalla ferita.