Ma sorge di nuovo, si disse, e torna ad essere piena.
La luna era una promessa sospesa nel cielo, che alla conclusione del suo tempo oscuro ogni volta tornava e cresceva fino a diventare un faro argenteo che riversava la propria luce su tutto, sui buoni e sui malvagi.
Soltanto per svanire di nuovo, sussurrò un pensiero nella sua mente.
Quel pensiero era però stato pronunciato da una voce che non era la sua, e soltanto allora Jill si rese conto di essere impegnata a combattere una battaglia contro un nemico che non poteva vedere e con armi che non aveva mai usato.
Quella realizzazione infranse la sua disperazione e la fece spezzare come una corda troppo tesa. Girandosi di scatto, frugò la stanza con lo sguardo e parlò ad alta voce, anche se sembrava che in essa non ci fosse nessuno.
— Per la Dea, alla fine la luce vince!
Adesso era sola, la presenza se n’era andata, ma per quel che ne sapeva sarebbe potuta tornare a tormentarla, magari in sogno, quando lei fosse stata impotente a reagire. Versando qualche lacrima di sgomento si sedette sul bordo del letto e compresse le mani tremanti fra le ginocchia, consapevole che la sua decantata abilità con la spada non le sarebbe stata di nessun aiuto in questa circostanza, perché il dweomer era l’unica cosa che poteva combattere il dweomer, e in quel campo lei era debole e priva di addestramento. Soltanto allora si rese conto che negare il suo talento per il dweomer l’aveva resa impotente a difendersi e che continuare a negarlo avrebbe significato che si sarebbe trovata di continuo forzatamente in contatto con cose strane che non era in suo potere controllare o influenzare. Poi si ricordò di Nevyn e del fatto che stava arrivando.
Più di una volta aveva avuto modo di vedere il vecchio contattare gli altri maestri del dweomer attraverso il fuoco. Per quanto ne sapeva, quella era una cosa che soltanto un maestro poteva fare, preclusa a chi come lei era ignorante in materia, ma si alzò lo stesso e si avvicinò lentamente alle candele ammassate nei candelabri. Durante quel suo primo consapevole tentativo di servirsi del dweomer si sentì dapprima stupida, poi imbarazzata e infine spaventata, ma si costrinse a fissare le fiamme e a pensare a Nevyn. Per un momento fu consapevole soltanto dell’oscurità della propria mente, poi uno strano genere di pressione si andò creando contro qualcosa di inspiegabile, proprio come quando capita di dimenticare un nome che si conosce bene e si fruga nella mente con assoluta frustrazione per quell’improvviso vuoto di memoria.
La sua paura andò aumentando, paura di usare il dweomer, paura di chi la stava braccando, e continuò a crescere fino a quando lei ricordò di colpo qualcosa che in qualche modo aveva sempre saputo, e cioè che la paura era la chiave che le serviva, che un sentimento intenso era lo strumento per infrangere le mura presenti nella sua mente.
— Nevyn! — gridò. — Aiutami!
Un momento più tardi vide, nitido e danzante sulla fiamma delle candele, il volto del vecchio con le sopracciglia cespugliose alzate in un’espressione di sorpresa e lo sguardo preoccupato.
— Siano ringraziati gli dèi che mi hai chiamato — scandì la sua voce nella mente di Jill. — Da giorni stavo cercando di raggiungerti.
Il suo tono era così pratico che Jill scoppiò in una risatina quasi isterica.
— Cerca di restare calma, altrimenti perderai la visione — l’avvertì lui, in tono brusco. — Pensa a ciò che stai facendo come ad un combattimento, bambina. Tu sai come concentrare la tua volontà.
Adesso che Nevyn lo aveva detto, lei si rese conto che era vero: si trattava di una concentrazione molto simile a quella fredda e letale che lei evocava nello studiare le mosse di un avversario.
— Prima ti stavo osservando e ho visto quell’uomo avvelenarsi — proseguì Nevyn. — Non mi meraviglia che tu sia tanto turbata. Ora ascolta: i nostri nemici sembrano essere dannatamente forti. Tu sai che cosa vogliono?
— Quell’opale che ho con me, o armeno credo che si tratti dell’opale, perché quel piccolo bastardo continua a cambiare forma.
Nevyn ridacchiò in maniera tale che Jill sentì evaporare la propria paura.
— È l’opale, non ci sono dubbi, e ammetto che gli spiriti che lo custodiscono tendono a volte ad essere irritanti. Vedi, quella pietra è un talismano delle nobili virtù, e gli spiriti prendono un po’ troppo sul serio la virtù dell’orgoglio. Ma dimmi, l’ombra di quell’uomo morto è venuta a disturbarti?
— Non lo so. Qualcuno lo ha fatto. Ti ho chiamato perché pensieri estranei continuavano a infilarsi nella mia mente e sentivo qualcuno che mi braccava.
— Allora non si tratta di lui. Non ti preoccupare, porrò io un sigillo su di te. Ora va’ a dormire e riposa, bambina. Io sono quasi a Dun Hiraedd.
L’immagine svanì. Anche se si distese sul letto, Jill lasciò le candele accese e posò la daga d’argento sul cuscino; era certa che non si sarebbe mai addormentata, ma di colpo si svegliò in una stanza piena di sole. Fuori, nel corridoio, sentì un paggio fischiare, e quel semplice suono umano le parve la musica più bella che avesse mai udito. Alzatasi, si accostò alla finestra: in basso la luce del sole batteva sugli uomini che andavano e venivano ridendo e chiacchierando, e adesso sembrava impossibile credere alle battaglie condotte con il dweomer. Lei sapeva però che la notte precedente aveva usato la sua volontà per contattare Nevyn tramite il fuoco… con un brivido si allontanò dalla finestra e si affrettò a vestirsi, perché voleva avere altra gente intorno.
Una volta che fu scesa nella grande sala il ricordo della paura si ritrasse al limitare della sua mente. Gli uomini della banda di guerra sedevano ai tavoli intenti a fare colazione scherzando fra loro, mentre i servi si affaccendavano avanti e indietro, e Blaen era di ottimo umore, tanto che prese a chiacchierare con lei come se avesse del tutto dimenticato lo straniero che si era avvelenato nella sua città. Intorno a loro, i funzionari di corte, il ciambellano, il bardo e i consiglieri vennero a turno a dare il buon giorno al loro signore, indirizzando a lei un grave inchino. Jill fu contenta di vedere che Blaen stava bevendo birra e non sidro con la colazione; mentre mangiava, il gwerbret spezzò un pezzo di pane dolce con le noci e glielo porse con un gesto gentile.
— Ah, mi farà piacere rivedere mio cugino — osservò. — Abbiamo passato insieme molti bei momenti quando eravamo ragazzi. Eravamo tutti e due paggi a Dun Cantrae, e il vecchio gwerbret era un tipo piuttosto rigido, per cui noi ci divertivamo a organizzare uno scherzo dopo l’altro. — Blaen s’interruppe e sollevò lo sguardo quando un paggio gli si avvicinò con passo affrettato. — Cosa c’è, ragazzo?
— Fuori c’è uno strano vecchio, Vostra Grazia. Dice di doverti vedere immediatamente per una questione della massima importanza ma è vestito come un mendicante e sostiene che il suo nome è nessuno.
— È Nevyn, sia resa grazie a tutti gli dèi! — esplose Jill.
— Conosci quest’uomo? — domandò Blaen, sorpreso.
— Sì, e prego Vostra Grazia di parlare con lui, nell’interesse di Rhodry, oltre che nel mio.
— D’accordo, allora. Accompagnalo dentro, ragazzo, e ricorda di essere sempre cortese con chi è anziano, trasandato o meno che sia.
Mentre il paggio si allontanava Jill rabbrividì, assalita dalla sensazione che la soleggiata e affollata sala fosse divenuta d’un tratto irreale. Quasi avesse avvertito il suo cambiamento d’umore Blaen si alzò in piedi e fissò con espressione leggermente accigliata la soglia da cui Nevyn era appena sbucato; il vecchio avanzò verso di lui con il lacero mantello marrone che gli si agitava sulle spalle e s’inginocchiò in segno di omaggio con una facilità che più di un giovane cortigiano gli avrebbe di certo invidiato.