— Domando perdono per aver richiesto l’attenzione di Vostra Grazia, — disse, — ma si tratta di una cosa davvero urgente.
— Qualsiasi uomo che la richieda ha diritto alla mia giustizia. Cosa turba il tuo cuore, buon signore?
— Quell’uomo che si è avvelenato la notte scorsa.
— Dèi! — esclamò Blaen, stupefatto. — La notizia si è già diffusa così in fretta?
— Sì, Vostra Grazia, per coloro che hanno orecchi per sentire. Sono venuto per risparmiarti la fatica di seppellire quello stolto. Sai dove si trova il suo corpo?
— Dimmi, è un tuo parente?
— Ecco, si potrebbe anche dire che lo è, visto che ogni clan ha la sua pecora nera.
Perplesso, il gwerbret scoccò un’occhiata a Jill.
— Per favore, Vostra Grazia, facciamo come dice lui — supplicò lei.
— D’accordo, allora. Non può certo venirne nulla di male.
Consumato com’era dalla curiosità, Blaen scortò di persona Nevyn e Jill nella sala delle guardie, interrogando una di esse. Risultò che il cadavere era stato avvolto in una coperta e deposto in una baracca usata di solito per immagazzinare la legna da ardere: insieme, Nevyn e Jill lo trascinarono fuori sull’acciottolato, poi Nevyn gli si inginocchiò accanto e tirò indietro la coperta per osservare la faccia del morto.
— Non lo riconosco — disse infine, — e in un certo senso questo è un brutto segno.
Sedutosi all’indietro sui talloni appoggiò quindi le mani sulle cosce e rimase a lungo a fissare il corpo con un atteggiamento così rilassato e lo sguardo così appannato da far supporre a Jill che fosse entrato in trance. Di tanto in tanto, la sua bocca si mosse senza emettere suoni, come se stesse parlando con qualcimo, e alla fine lui sollevò lo sguardo scuotendo il capo per poi rialzarsi con espressione triste.
— Questo era un povero pesce piccolo — disse, — intrappolato in una rete non sua. Bene, è ora di avviarlo al riposo che gli spetta.
Segnalando a Jill e a Blaen di trarsi indietro, Nevyn si pose davanti alla testa del cadavere e sollevò le braccia come se stesse pregando il sole, mantenendo a lungo quella posizione con espressione concentrata prima di abbassare lentamente le mani in un arco che le portò a indicare con la punta delle dita il morto disteso sull’acciottolato. Dal corpo si levò allora un fuoco innaturale e spettrale, fatto di irregolari lingue azzurre e argentee; Nevyn pronunciò poi tre parole incomprensibili e le fiamme divennero incandescenti, alzandosi ancora di più. Con un’imprecazione, Blaen sollevò un braccio a proteggersi il viso ed anche Jill si coprì gli occhi con le mani mentre le giungeva all’orecchio un gemito tormentato, un lungo sospiro che esprimeva terrore e al tempo stesso, incomprensibilmente, sollievo, proprio come quello di un ferito che sapesse di essere prossimo a trovare nella morte la liberazione dalla sofferenza.
— È fatta! — esclamò Nevyn. — È finita.
Jill sollevò lo sguardo in tempo per vederlo battere tre volte il piede contro il terreno: adesso al posto del corpo restava soltanto una manciata di cenere bianca. Ad uno schioccare delle dita di Nevyn una brezza leggera si levò a disperdere anche quelle ceneri, per poi cessare improvvisa com’era sorta.
— Adesso la sua anima è libera dal corpo e in viaggio verso l’Aldilà — spiegò Nevyn, quindi si girò verso il gwerbret e aggiunse: — Nel rhan di Vostra Grazia stanno succedendo cose davvero strane.
— Non ne dubito — balbettò Blaen. — Per il nero posteriore del Signore dell’Inferno, quello cos’era?
— Dweomer, naturalmente. Cosa credevi che fosse?
Pallido in volto, con la bocca contratta, Blaen indietreggiò di un passo, e Nevyn gli indirizzò un sorriso paziente e gentile, come quello che una madre rivolge ad un figlio che si sia imbattuto in qualcosa che è troppo giovane per capire.
— È tempo che nel regno tutti apprendano la verità sul dweomer — proseguì, — e Vostra Grazia avrà il privilegio di essere uno dei primi. Ora vorresti permettere a me e a Jill di congedarci da te per un po’? Ho questioni urgenti da sbrigare in città.
Blaen abbassò lo sguardo sull’acciottolato, ancora intriso di calore, e rabbrividì.
— Se il mio signore lo desidera — replicò, elevando bruscamente il rango di Nevyn, — io non ho obiezioni.
Nevyn infilò subito il braccio sotto quello di Jill e la condusse via con decisione.
— Sono dannatamente contenta di vederti — osservò lei. — Ho avuto una paura terribile.
— E ne hai avuto motivo. Ora ascoltami, bambina: il pericolo non è ancora cessato, quindi restami vicino e fa’ esattamente quello che ti dico.
Jill si sentì quasi prossima a piangere per la delusione, perché aveva creduto che una volta che il vecchio fosse arrivato i rischi sarebbero cessati.
— Quando ho evocato la tua immagine, ti ho vista proteggere Ogwern il ladro — continuò Nevyn. — Accompagnami da lui: se tu hai passato dei brutti momenti, la scorsa notte, sono certo che anche ad Ogwern è successo lo stesso. Qualcuno ti stava tormentando per vendicarsi della morte di Evy.
— Evy? Come sai il suo nome?
— Me lo ha detto lui poco fa, naturalmente. Dal momento che era morto ormai da qualche tempo non mi ha potuto rivelare molto di più, perché la sua ombra stava già cominciando a indebolirsi e a dissolversi, quindi l’ho mandato incontro al suo giudizio anche se mi sarebbe piaciuto cavargli qualche altra informazione.
Quei discorsi di spettri indussero Jill a irrigidirsi per la paura.
— Suvvia — la rassicurò però Nevyn, — è una cosa del tutto normale, ma questo non è il momento più adatto per spiegarti ogni cosa. Vediamo prima cosa è successo ad Ogwern.
Quando arrivarono al Drago Rosso scoprirono che Nevyn aveva ragione ad essere preoccupato, perché il locandiere spaventato spiegò loro che Ogwern si era sentito male la notte precedente e si trovava nelle sue stanze. Mentre si affrettavano a raggiungere la bottega del sarto Jill si tenne nei vicoli meno frequentati per innato sospetto nei confronti delle guardie cittadine e per timore del fratello di Evy. Quando bussarono alla porta di Ogwern fu l’Airone che venne ad aprire.
— Ho sentito che Ogwern stava male — spiegò Jill, — ed ho portato un erborista di cui possiamo fidarci.
— Siano ringraziati gli dèi — replicò il giovane, con sincera devozione. — È stata una notte orribile. Non avrei mai creduto di poter essere lieto di vedere una dannata guardia, ma se Sua Grazia non avesse messo di sentinella alla porta quel tizio robusto giuro che Ogwern si sarebbe gettato dalla finestra.
Nevyn annuì con espressione cupa, quasi si fosse aspettato proprio una cosa del genere. Una volta dentro trovarono Ogwern disteso a letto con una logora coperta azzurra tirata su fino al collo massiccio; anche se aveva lo sguardo fisso al soffitto, il re dei ladri appariva più terrorizzato che malato.
— La scorsa notte è stato come trovarsi nel terzo inferno — spiegò l’Airone. — Stavamo bevendo un boccale al Drago Rosso quando di colpo lui ha cominciato a tremare e a farneticare.
— Non ne voglio sentir parlare — intervenne Ogwern, tirandosi la coperta sulla testa. — Lasciatemi libero di morire in pace, tutti quanti.
— Non stai per morire — ribatté Nevyn, secco. — Io sono un erborista, buon signore, quindi abbassa quella coperta e descrivimi i tuoi sintomi.
La coperta scivolò verso il basso quanto bastava per rivelare gli occhi scuri di Ogwern.
— Sto impazzendo. Oh, malvagia, malvagia, malvagia sorte. Preferisco morire piuttosto che impazzire, quindi preparami un veleno indolore, erborista.
— Non farò nulla del genere, perciò smettila di dire sciocchezze e parlami di quanto è successo.
— Ecco, in verità non so cosa dire. All’improvviso sono stato assalito dal terrore, mio buon signore, ed ho cominciato a tremare e a sudare. Sapevo di essere perduto, capisci, ero certo che sarei morto qualsiasi cosa avessi fatto. — Ogwern s’interruppe poi aggiunse, con voce fievole: — Non avevo mai provato un simile terrore in tutta la mia vita.