«Non trovo strano che non voglia farsi beccare.»
«No, ma è stato tutto così… rituale, direi. E lo stupro mi sembra una nota stonata. Forse a un certo punto ha perso il controllo…»
«Non sono d’accordo. Non si tratta di una cosa che ha fatto in un attimo di follia. È stato attento, ha indossato un preservativo. Quindi non direi che aveva abbassato la guardia.»
C’erano decine di persone sul marciapiede fuori dal pub Grapevine. Ridevano, bevevano e si godevano la bella serata. Per aggirare la folla dovettero scendere in strada ed Hendricks rimase un passo indietro.
«Credi che la violenza sessuale non facesse parte del piano?» riprese, non appena fu di nuovo al fianco di Thorne. «Credi che abbia deciso di stuprare Remfry solo all’ultimo momento?»
«No, credo che avesse pianificato ogni cosa. È solo che lo stupro mi sembra…»
«Questo è stato più violento di altri, lo ammetto, ma uno stupro in generale non è mai una cosa delicata.»
Un vecchio che aspettava di attraversare la strada sulle strisce pedonali udì le loro ultime parole e, ignorando il segnale di via libera, rimase a fissarli mentre si allontanavano. Da un’auto in attesa davanti al passaggio pedonale venne un rabbioso colpo di clacson.
«Non so bene perché mi dia tanto fastidio» disse Thorne. «Si tratta di un’indagine per omicidio, eppure il fatto che il morto sia stato violentato mi sembra la cosa più importante.»
«Credi che l’assassino volesse dimostrare qualcosa?»
«Tu no?»
Hendricks annuì, stringendosi nelle spalle. Poi sollevò il sacchetto delle birre con una mano e ci mise sotto l’altra, per evitare che il peso eccessivo lo sfondasse.
«Il punto è,» proseguì Thorne «che l’idea del semplice rancore personale contro Remfry non mi convince.»
Superarono la paninoteca e la banca. Dalle finestre aperte di case e locali la musica si riversava in strada. Rap, blues, heavy metal… L’atmosfera che si respirava in giro per le vie era di grande relax. Il caldo faceva uno strano effetto ai londinesi, pensò Thorne. In metropolitana, durante l’ora di punta, l’umore peggiorava con il salire della temperatura. Ma più tardi, con il fresco serale e un drink in mano, tutto assumeva un aspetto completamente diverso…
Thorne fece un sorriso amaro. Sapeva che si trattava soltanto di una pausa. Più tardi ancora, con il buio e l’aumentare del tasso alcolico nel sangue, la colonna sonora notturna sarebbe diventata assai più familiare…
Sirene, urla, vetri rotti…
Come a conferma di questi pensieri, appena Thorne ed Hendricks ebbero oltrepassato una drogheria aperta fino a tardi, due ragazzi in piedi davanti all’ingresso cominciarono a darsi spinte. Poteva essere un gioco innocuo, oppure l’inizio di una rissa.
Thorne si fermò e tornò indietro.
«Ehi!»
Il più alto dei due si voltò e squadrò Thorne da capo a piedi, senza mollare la camicia blu del compagno. Doveva avere non più di quindici anni. «Che cazzo vuoi? Hai qualche problema?»
«Nessun problema» rispose Thorne.
Il ragazzo più basso si liberò dalla stretta e si voltò verso Thorne. «Ce l’avrai presto, se non ti togli dai coglioni…»
«Torna a casa» disse Thorne. «La tua mamma sarà preoccupata.»
Il ragazzo alto rise, ma l’amico no. Lanciò un’occhiata lungo la strada, poi sibilò: «Vuoi proprio che ti spacchi i denti?».
«Solo se vuoi che ti arresti.»
Stavolta i ragazzi risero entrambi. «E così saresti un fottuto poliziotto? Non ci credo.»
«Okay» disse Thorne. «Io non sono un poliziotto e voi siete due innocui furfantelli che si fanno gli affari loro. E sono certo che, se io fossi davvero un poliziotto, non troverei nulla di compromettente nelle vostre tasche.» Vide il ragazzo alto cercare di catturare con gli occhi lo sguardo dell’amico. «Tuttavia forse farei meglio a controllare, tanto per stare sicuro…»
Thorne si avvicinò, mentre Hendricks gli sussurrava all’orecchio: «Piantala, Tom, porca miseria».
Dalla drogheria uscì una ragazza appena più grande dei due. Offrì agli amici una lattina di Tennent’s Extra e ne aprì una per sé. «Che cosa succede?»
Il ragazzo con la camicia blu indicò Thorne. «Questo qui dice di essere un poliziotto e che ha intenzione di arrestarci.»
La ragazza bevve rumorosamente una sorsata di birra. «Non arresterà proprio nessuno» sentenziò, indicando il sacchetto che Thorne aveva in mano. «Di sicuro non vorrà che gli si raffreddi la sua fottuta cena.»
Gli altri risero. Hendricks posò una mano sulla spalla di Thorne, il quale depose con cura il sacchetto sul marciapiede. «Mi è passata la fame. Ora vuotate le tasche.»
«Ti diverti a rompere i coglioni, eh?» disse la ragazza. «Scommetto che ti è venuto duro.»
«Vuotate le tasche.»
I due ragazzi lo fissarono con freddezza. La loro amica bevve un altro sorso di birra. Thorne avanzò verso di loro. Il più basso, allora, fece un rapido scatto, spostandosi qualche metro più in là, poi si fermò. La ragazza si mosse più lentamente trascinando per una manica l’amico alto. Retrocedettero, senza smettere di fissare Thorne ed Hendricks.
A un tratto la ragazza gettò la lattina vuota in mezzo alla strada e gridò: «Froci fottuti!».
Thorne fece per inseguirli, ma Hendricks lo trattenne con forza per la spalla. «Lascia perdere.»
«No.»
«Dai, calmati.»
Thorne si liberò dalla stretta. «Piccoli bastardi…»
Hendricks gli si parò davanti, raccolse da terra il sacchetto di plastica e glielo tese. «Che cosa ti dà più fastidio, Tom? Il fatto che abbiano chiamato frocio me, o te?»
Senza rispondere, Thorne prese il sacchetto con la cena e riprese il cammino al fianco dell’amico. Svoltarono quasi subito a destra su Angler’s Lane, una via a senso unico che li avrebbe portati vicino casa di Thorne e che una volta era un piccolo affluente del Tamigi, mentre ora apparteneva ai cosiddetti “fiumi perduti” che scorrevano sotto la città. Lì, ai tempi della regina Vittoria, i ragazzi pescavano carpe e trote. Poi l’acqua era diventata così inquinata e maleodorante che tutti i pesci erano morti e il fiume era stato coperto e incanalato in un condotto di ferro. Camminando sopra quel fiume perduto, Thorne pensò che la puzza che sentiva doveva essere la stessa di un paio di secoli prima.
Poco dopo le dieci, Hendricks si era già addormentato sul divano e, con tutta probabilità, non si sarebbe mosso di lì fino al mattino. Thorne mise un po’ d’ordine, spense la tivù e andò a letto.
Al telefono di casa non rispose nessuno. Al cellulare, Eve rispose al primo squillo.
«Sono Thorne. Spero che non stessi già dormendo. Ho pensato che, visto che di domenica il negozio è chiuso, forse saresti stata sveglia…»
«Non preoccuparti, non c’è problema.»
Thorne si stese sul letto. Sembrava contenta di sentirlo. «Volevo ringraziarti» disse. «Oggi sono stato bene.»
«Anch’io. Vuoi che replichiamo?»
Durante il breve silenzio che seguì, Thorne fissò il brutto lampadario Ikea, mentre lei rideva piano. C’era un rumore di sottofondo che non riusciva a identificare. «Accidenti!» esclamò. «Non perdi tempo.»
«Che senso ha? Ci siamo visti per la prima volta poche ore fa e adesso mi stai chiamando, perciò mi sembra che anche tu sia alquanto interessato.»
«Certo…»
«Bene, allora, la domenica mattina è per dormire e in serata sono impegnata. Quanto ti interessa davvero vedermi? Su una scala da uno a dieci…»
«Ecco… direi… sette. Che te ne pare?»
«Sette va bene. Un po’ meno, e mi sarei sentita insultata. Un po’ di più, e avrei potuto pensare che sei un maniaco. Che ne dici di fare colazione insieme, lunedì? Conosco un ottimo…»
«Colazione?»