«Perché no? Possiamo vederci prima di andare al lavoro.»
«Va bene. Io comincio intorno alle nove, perciò…»
Eve rise. «Veramente mi riferivo a quando io comincio a lavorare, Thorne. Ci vediamo alle cinque e mezzo, al mercato dei fiori di Covent Garden…»
17 luglio 1976
Era passata più di mezz’ora da quando aveva udito quei rumori.
Grugniti, urla, vetri rotti.
Aveva sentito i passi della moglie dalla camera da letto al bagno, e ritorno.
Aveva trascorso quella mezz’ora cercando di trovare la forza di alzarsi dal divano per andare a vedere che cosa succedeva. Ma non si era mosso. Aveva bisogno di raccogliere più energia prima di avventurarsi di sopra.
Seduto davanti al televisore, si chiedeva quanto sarebbe durata. Il medico aveva detto che, se lei avesse continuato a prendere i tranquillanti, piano piano sarebbe tornata alla normalità, ma non sembrava che ciò stesse accadendo.
Nel frattempo, toccava a lui occuparsi di tutto. Tutto. Lei non era più in grado di fare nulla, neppure la spesa. Cristo, era passata più di una settimana dall’ultima volta che era scesa al piano di sotto.
Si avviò verso le scale, lento e rigido come un automa.
Ascoltare, osservare, sentire come tutto cadeva a pezzi. Al lavoro gli avevano concesso un’aspettativa, ma l’indennità di malattia non sarebbe durata a lungo, lei non guadagnava nulla e i debiti crescevano con la stessa rapidità dei sospetti. Come funghi, si annidavano in ogni angolo oscuro della loro vita, fin dal momento in cui il presidente della giuria si era alzato in piedi e si era schiarito la voce.
Entrò in camera da letto e vide il proprio riflesso frammentato e distorto nello specchio in frantumi. Gettò un’occhiata al letto, dove lei era una massa indistinta sotto le coperte.
Si voltò e uscì.
In bagno, scivolò su una chiazza di crema per il viso. Evitò una macchia gialla di profumo che sembrava piscio. Allontanò con un calcio i flaconi rotti sparsi un po’ ovunque.
Tutti quei cosmetici pensati per profumare e rendere gradevole l’aspetto gli diedero il voltastomaco, mescolati com’erano adesso sul pavimento e sulle pareti.
In preda a un conato, si avvicinò al lavandino. Lo trovò pieno di tutto ciò che prima era nell’armadietto. Fondotinta, rossetto, rimmel… spiaccicati sulla porcellana. Crema idratante che ostruiva lo scarico, come un rifiuto tossico.
Borotalco, shampoo, bagnoschiuma sparsi dappertutto. Lei aveva lanciato le saponette contro le pareti, lasciandovi impresse chiazze rosa e blu. ho specchio era crepato e sporco di smalto per unghie rosso sangue…
Aprì il rubinetto sopra quella melma profumata, spruzzandosi dell’acqua sul viso. Lanciò un’occhiata alle impronte di lei nel borotalco, alle ditate sulle macchie di crema per il corpo, alle sue tracce su tutto ciò che aveva cercato di eliminare.
Era stata benissimo finché non l’avevano scoperta. Finché la consapevolezza di ciò che aveva fatto era rimasta tra lei e Franklin. Ora il senso di colpa la divorava. La faceva impazzire. O forse anche quella era una finzione. A quel punto, non aveva più importanza.
Mezzo minuto dopo lui scese di nuovo le scale, pensando: “Ha mentito, ha mentito, ha mentito…”.
Lei. Gli aveva mentito.
CAPITOLO 7
A Thorne forse sarebbe passata la voglia di frequentare Eve Bloom, se lei si fosse rivelata una di quelle persone mattiniere, irritanti nel loro essere fresche e pimpanti a dispetto dell’ora antelucana. Fu contento, invece, di trovarla seduta in un angolo, con lo sguardo inespressivo e un bicchiere di plastica pieno di tè forte in mano. Probabilmente si sentiva di merda, proprio come lui.
Thorne cercò faticosamente di modellare le labbra in un sorriso. «E io che credevo di trovarti piena di gioia, intenta ad assorbire gli odori e i rumori e i colori di migliaia di fiori…»
Lei lo fissò con la fronte aggrottata. «Stronzate» bofonchiò.
Thorne si sfregò le braccia attraverso la giacca di pelle. Poteva anche essere l’estate più calda degli ultimi anni, ma a quell’ora del mattino l’aria era ancora decisamente frizzante.
«Il mestiere di fioraio sta perdendo il suo fascino, dunque?»
Lei bevve un sorso di tè. «Alcuni aspetti del mio lavoro mi stanno un po’ sulle palle, devo ammetterlo.»
Si fecero da parte per lasciar passare un carrello pieno di scatole lunghe e colorate. L’uomo che lo spingeva strizzò l’occhio a Eve e rise quando lei gli mostrò il dito medio. Poi lei si voltò verso Thorne. «Tu, invece, ami tutto del tuo lavoro?»
«No, non tutto. Farei volentieri a meno delle autopsie, degli accerchiamenti armati, o dei seminari per consolidare il lavoro di squadra… Ma nel complesso penso di amarlo.»
Vide apparire sul volto di Eve il primo accenno di un sorriso. Stava cominciando a divertirsi. «Lo ami, forse, ma secondo me non ne sei innamorato.»
«Esatto» annuì Thorne. «Ho qualche problema con gli impegni a lungo termine.»
Lei soffiò sul tè. «Maschio tipico» commentò, impassibile. Poi rise, scoprendo lo spazio tra gli incisivi che a Thorne piaceva tanto.
Passarono in rassegna metodicamente tutto il vasto mercato coperto, un settore dopo l’altro, lei davanti, lui un passo indietro, con in mano un bicchiere di tè scuro. Thorne stava a poco a poco tornando alla vita e si guardava intorno, facendo attenzione a tutto…
Le grida e i fischi di venditori e clienti, che echeggiavano in quel capannone gigantesco. Le banconote da venti e da cinquanta sterline contate in fretta. I facchini in giubbotto verde fluorescente che guidavano rumorosi carrelli da carico o spostavano scatoloni. I colori, la merce, le insegne, i berretti di pile e le giacche imbottite dei clienti… il tutto immerso nel bagliore ronzante di migliaia di lampade al neon, che pendevano dalle travi sopra le loro teste.
Eve Bloom, ovviamente, conosceva ogni palmo di quella superficie due volte più grande di un campo da calcio. Sapeva dove trovare ogni grossista, ogni specialista, dove comprare i vasi, dove i bulbi, dove le cianfrusaglie varie.
Thorne la osservava mentre faceva le ordinazioni, contrattava il prezzo e salutava i fornitori.
«Tutto bene, Evie?»
«Come va, dolcezza…?»
«Oh, eccoti qui! Ma dove ti eri nascosta?»
Thorne si rese conto che Eve, a dispetto di quanto gli aveva detto prima, amava anche quell’aspetto del suo lavoro. Il suo sorriso era immediato, il buonumore contagioso.
Mezz’ora dopo aveva finito e i facchini fecero a gara per portare i suoi acquisti fino al punto in cui era parcheggiato il furgone bianco con la scritta verde. Lei domandò a Thorne se quel giro al mercato gli fosse piaciuto e lui rispose di sì. Tuttavia, anche se era rimasto impressionato dalla competenza di Eve e dal suo entusiasmo, la sua mente sognava solo un sandwich alla pancetta…
Mezz’ora dopo, quel sogno divenne un’untuosa realtà, ed Eve gli fece compagnia, divorando salsicce, uova e patate con un appetito da camionista. Forse quella non era la sua colazione preferita, ma il locale non offriva alternative più salutari.
«Lo fai spesso?» chiese Thorne.
«Cosa, ostruirmi le arterie con questa roba o alzarmi quando è ancora buio?»
«Il mercato…»
«Solo una volta alla settimana, grazie a Dio. Alcuni fiorai ci vengono ogni due o tre giorni, ma io preferisco di gran lunga restarmene a letto.»