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«Senti, è meglio che…»

S’interruppe di colpo e fece un passo indietro quando lei si alzò all’improvviso, con gli occhi umidi e spalancati, e si piegò come se gli stesse facendo l’inchino.

Lui pronunciò il suo nome.

La moglie afferrò l’orlo della vestaglia blu e se la tirò sopra la vita, mostrandogli i segni rossi e i lividi blu tra le gambe…

CAPITOLO 2

Thorne perse la scommessa con Phil Hendricks.

Rispose al telefono, più o meno quattro ore dopo il ritrovamento del cadavere, e immediatamente lanciò il sandwich mangiato a metà in direzione del cestino, mancandolo di mezzo metro. Ingoiò in fretta il boccone che stava masticando, sapendo che di lì a poco gli sarebbe passato l’appetito.

Hendricks chiamava dall’obitorio di Westminster. «Piuttosto veloce» disse, in tono ciarliero. «Devi ammettere che…»

«Perché riesci sempre a chiamarmi quando sto mangiando? Non potevi aspettare ancora un po’?»

«Niente da fare, soprattutto quando c’è di mezzo una scommessa. Sei pronto? Secondo me è morto verso le due e mezzo del mattino.»

«Balle.» Thorne guardò fuori dalla finestra una fila di bassi edifici grigi dall’altro lato dell’M1. Non capiva bene se era il vetro a essere sporco, o se Hendon fosse proprio così. «Sarà meglio che la notizia valga il mio biglietto da dieci sterline. Prosegui.»

«Cosa preferisci? Gergo medico, linguaggio per non iniziati, o patologia semplificata per poliziotti scemi?»

«Quello che hai appena detto ti costerà metà della scommessa. Forza, sputa il rospo.»

Hendricks parlava di morti e dintorni con molta meno passione di quella che dimostrava per la squadra dell’Arsenal. Essere di Manchester e non fare il tifo per il Manchester United non era certo l’unica sua sfida alle convenzioni. C’erano i vestiti, in varie gradazioni di nero, la testa rasata, l’assurda quantità di orecchini. E i misteriosi piercing, uno per ogni nuovo ragazzo…

Hendricks parlava in modo spassionato, pratico, ma Thorne sapeva quanto gli importavano i morti. Con quanta attenzione ascoltava ciò che avevano da dirgli i cadaveri.

«Asfissia dovuta a strangolamento per mezzo di un cappio» disse Hendricks. «Inoltre, penso che sia stato ucciso sul pavimento. La moquette gli ha lasciato dei segni sulle ginocchia. L’assassino deve averlo messo in posa sul letto soltanto dopo.»

«Ah.»

«Purtroppo, non sono in grado di dirti se lo abbia strangolato prima, dopo o durante l’atto di sodomia.»

«Mi stai dicendo che neppure tu sei perfetto?»

«So una cosa: chiunque sia stato, ha un radioso futuro nella pornografia gay. Il nostro assassino è davvero ben dotato. Ha provocato un bel po’ di danni, laggiù…»

Thorne capì di aver fatto bene a gettare via il sandwich. Aveva perso il conto delle conversazioni di quel genere avute con Hendricks, negli anni. La sua mente ci si era abituata, ma lo stomaco le trovava ancora vomitevoli. Thorne le definiva “la dieta H”.

«Ci sono secrezioni?»

«Mi dispiace, ci ha fregati. L’unica cosa che ho trovato sono state tracce del lubrificante spermicida che rivestiva il preservativo. Un tipo prudente, in tutti i sensi…»

Thorne sospirò. «Dov’è Holland? È ancora lì insieme a te?»

«Scherzi? Ha tagliato la corda quasi subito. Perché hai mandato lui, a proposito? Mi ha rattristato molto che tu non sia venuto di persona a vedermi lavorare…»

Le loro conversazioni, dopo il ritrovamento di un cadavere, finivano sempre con una nota leggera. Calcio, prese in giro reciproche, qualunque cosa.

«L’agente speciale Holland non ti ha ancora visto lavorare sul serio, Phil» disse Thorne. «Gli fai venire i brividi e io ho voluto dargli la possibilità di abituarsi un po’ alla cosa.»

Hendricks rise. «Certo…»

“Certo” pensò Thorne. Sapeva benissimo che a bisturi e tavoli operatori non ci si abituava mai. Si poteva solo fingere.

In piedi nella sala di pronto intervento, mentre si preparava a parlare alla squadra, Thorne, come accadeva spesso in quelle occasioni, si sentiva un insegnante temuto, ma non amato. Il tipico professore di educazione fisica leggermente psicotico. Quelle trenta persone davanti a lui, detective, agenti in uniforme, civili e personale ausiliario, erano diverse tra loro proprio come gli scolari di una qualunque classe.

C’erano quelli che sembravano ascoltare attentamente, ma che più tardi avrebbero dovuto chiedere ai colleghi di spiegare loro ciò che dovevano fare, e c’erano quelli che annuivano vigorosamente e ponevano domande pertinenti, ma covavano il segreto intento di fare il meno possibile una volta arrivato il momento di agire. C’erano i bulli e le vittime, i secchioni e gli idioti.

Il Servizio di Polizia Metropolitana. Con l’enfasi sul termine “servizio”, per comunicare un’idea di efficienza e attenzione verso il cittadino. Thorne sapeva bene che quasi tutte le persone in quella stanza, a cominciare da lui, si erano sentite molto più a loro agio all’epoca in cui venivano chiamate semplicemente Forza di Polizia.

Una forza con cui fare i conti.

Erano passati quattro giorni dalla sua conversazione telefonica con Hendricks e, se il patologo era stato rapido, la squadra di medicina legale aveva battuto ogni record di velocità. Settantadue ore per i risultati dell’esame del DNA erano davvero un record, specialmente perché la scena del delitto era un vero incubo desossiribonucleico. Erano stati trovati capelli, peli e campioni di pelle di oltre una dozzina di individui, maschi e femmine. Più cani, gatti e almeno altri due animali non ancora identificati.

Eppure, incredibilmente, erano riusciti a far combaciare i dati.

Questo non significava affatto che fossero più vicini a prendere l’assassino, naturalmente, ma adesso almeno conoscevano l’identità della vittima. Il DNA del morto era già schedato, e per ottime ragioni.

Thorne si schiarì la voce e ottenne un po’ di silenzio. «Douglas Andrew Remfry, di anni trentasei, è uscito dalla prigione di Derby dieci giorni fa, dopo aver scontato sette dei dodici anni a cui era stato condannato per violenza sessuale ai danni di tre giovani donne. Stiamo ricostruendo accuratamente tutti i suoi movimenti da allora, ma sembra che non abbia fatto altro che spostarsi tra il pub, il botteghino delle scommesse e la casa di New Cross dove viveva con la madre e il di lei…» Thorne lanciò un’occhiata a Russell Brigstocke, il quale alzò tre dita «…terzo marito. Oggi stesso forse sapremo qualcosa di più sui movimenti di Remfry. Gli agenti Holland e Stone sono sul posto con un mandato di perquisizione. La signora Remfry non si è mostrata troppo disposta a collaborare…»

Un allievo poliziotto in prima fila scosse la testa, con una smorfia di disgusto per una persona che non conosceva neppure. Thorne gli rivolse un’occhiata dura. «Quella donna ha appena perso un figlio» disse e lasciò che le sue parole indugiassero nell’aria per qualche secondo, prima di proseguire. «Se dobbiamo credere alla proprietaria dell’hotel, Remfry ha affittato la stanza di persona. Non ha sentito il bisogno di lasciare un nome, ma ha pagato in contanti senza discutere. Noi dobbiamo scoprire perché. Perché era tanto ansioso di andare in quell’hotel? Chi doveva incontrare?»

Thorne non poté evitare di sorridere, ricordando il colloquio con l’ineffabile proprietaria dell’hotel, una bionda dai capelli tinti con la faccia da pugile e una voce da sessanta sigarette al giorno.

«E chi paga per il cambio delle lenzuola?» aveva chiesto. «E per rimpiazzare i cuscini e il copriletto che quel pazzo si è portato via? Tutto cotone al cento per cento, mica roba da quattro soldi…» Thorne aveva annuito, fingendo di prendere nota. «E le macchie sul materasso? Dove prendo i soldi per far ripulire tutto?»