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Davanti a lui, nella sala interrogatori del commissariato di Kentish Town, era seduto un ragazzo di forse diciassette anni. Noel Mullen rubava auto su commissione, mentre i ladruncoli della sua età rubavano penne e sacchetti di noccioline al supermercato. All’epoca in cui i suoi coetanei cominciavano a palpare il sedere alle ragazze, Noel aveva già sviluppato una discreta dipendenza dalla droga e acquisito un’altrettanto discreta reputazione presso i poliziotti della parte nordoccidentale di Londra. Nel riformatorio che in passato aveva accolto entrambi i suoi fratelli maggiori, doveva esserci una stanza già pronta per lui.

Nonostante tutto, aveva ancora una faccia da bambino bisognoso della mamma.

«Perché hai cagato sul mio letto?» chiese Thorne.

Il ragazzo faceva del suo meglio per mostrarsi annoiato, ma uno scatto del collo e un leggero tremore delle dita tradivano la sua inquietudine. Thorne si chiese quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che si era fatto. Forse, non essendo riuscito a vendere i suoi CD, aveva dovuto rinunciare a qualche dose…

«Avanti, Noel…»

«Dove vuole arrivare? Metterà una buona parola per me in tribunale?»

«Puoi scordartelo.»

«Allora perché dovrei parlare con lei?»

Thorne incrociò le braccia sul petto. «Senti, ragazzino. Passi per il furto con scasso, dopotutto è il tuo lavoro. Passi anche qualche atto di vandalismo, mentre cerchi qualcosa che valga la pena rubare. E non parlo solo di rubare ai ricchi, no. Perché non rubare a quei poveracci che vivono nel tuo quartiere, quel quartiere che tu hai reso ancora peggiore pisciando negli ascensori, o lasciando aghi usati nel giardino pubblico? Sfonda la porta del tuo vicino di casa e fregagli la tivù in bianco e nero. È pur sempre qualcosa. Fregagli tutto, lo schermo panoramico, il lettore DVD, tanto è roba a noleggio, e non è colpa tua se quel coglione non è assicurato…»

«Cristo, ne ha ancora per molto?»

«Fallo e non pensarci. Vedi una cosa e te la prendi, perché importa solo quanto puoi ricavarne. Fallo e non provare nulla…»

«Sta perdendo il suo tem…»

«E non provare nulla. Poi vedi un po’ quello che provi quando, un giorno, uno dei tuoi amici che ha bisogno di contanti entra in casa di tua madre e si mette a frugare nei suoi cassetti. E magari il tuo amico ha gusti particolari, magari è un po’ fatto… E tua madre in quel momento si trova a letto…»

«L’ho fatta perché lei è un poliziotto.»

Thorne si fermò, trasse un respiro e attese.

«La merda sul letto… l’ho fatta per quello.»

«Come facevi a sapere che sono un poliziotto?» chiese Thorne.

«Non lo sapevo. L’ho scoperto dopo. C’era una foto caduta dietro le casse dello stereo. Era lei, con l’uniforme.»

Mullen incrociò le braccia sul petto, come Thorne aveva fatto poco prima, e lo guardò come se fosse un televisore o un videoregistratore, cercando di immaginare quanto potesse valere. «Aveva i capelli più scuri, nella foto» aggiunse. «E non era così grasso.»

Thorne annuì. Ricordava quella foto e anzi si era chiesto spesso dove fosse finita. Non era certo la sua immagine migliore, ma la reazione di Mullen, vedendola, era stata un po’ esagerata.

«Quindi tu hai dato un’occhiata alla foto e hai deciso di usare il mio letto come cesso. È così?»

Mullen sogghignò, scoprendo i denti macchiati. Adesso cominciava a divertirsi. «Sì, più o meno.»

«Brutto stronzo, pezzo di merda…»

Il movimento improvviso di Thorne e il rumore della sedia che strisciava sul pavimento fecero sobbalzare Mullen, che però riprese subito il controllo di sé.

«Senta… non era nulla di personale.»

«E non sarà nulla di personale quando io verrò qui, ti sbatterò per terra e ti cagherò in bocca. In fondo, io sono un poliziotto e tu sei uno scassinatore, giusto, Noel? Ci sono certe cose che dobbiamo fare…»

Nello sguardo di Mullen c’era pietà più che noia. «Lei non mi farà nulla.»

Infatti, oltre a minacciarlo per cercare di sentirsi un po’ meglio, Thorne non poteva fare proprio nulla. Si domandò se il vecchio seduto di fronte a Darren Ellis si fosse sentito inutile come si sentiva lui in quel momento.

«Sei pentito, Noel?»

«Cosa?»

«Ti ho chiesto se sei pentito.»

«Certo. Sono pentito di essermi fatto beccare.»

Il sorriso di Thorne fu sincero. Perlomeno Mullen si comportava da delinquente. Forse, quando si fosse trovato di fronte alla prospettiva di vari anni di prigione, avrebbe imparato anche lui i trucchi di Darren Ellis. Per il momento, c’era qualcosa di rassicurante nella sua risposta. Per un attimo Thorne sentì che quel ragazzo gli piaceva, quasi.

L’attimo passò. Thorne rimase a fissare Mullen negli occhi, finché lui scattò in piedi e cominciò a tempestare la porta di pugni.

Stone rispose al telefono, poi tese il ricevitore a Holland. «È per te.»

Mentre Holland si avvicinava, Stone copri il microfono con una mano, e sussurrò: «Ha una voce sexy…».

Holland non fece commenti. Aveva imparato a sopportare l’arroganza di Stone, ma gli ammiccamenti e le alzate di spalle lo innervosivano ancora, anche se doveva ammettere che in quel periodo si innervosiva facilmente.

«Agente Holland.»

«Sono Joanne Lesser.»

«Oh, salve, Joanne.» Stone mimò il nome con le labbra e Holland gli mostrò il dito medio.

«Non ci sono novità riguardo a quei documenti. Ieri ho lasciato un messaggio, spiegando che alcuni sono stati spostati in un altro magazzino.»

«Ah, non l’ho ricevuto, ma…»

«Ci sto ancora lavorando, ma non è per questo che ho chiamato. Ho trovato qualcos’altro.»

«Mi dica…» Holland cominciò a giocherellare con una penna.

«Una collega qui dice che le vecchie schede informative si trovano proprio nella nostra cantina. Proverò a recuperarle, sperando che non siano marcite del tutto.»

«E crede che ci saranno anche quelle di Mark e Sarah Foley?»

«Non vedo perché no, anche se probabilmente non contengono molte informazioni. Si tratta di semplici cartoncini, mentre i dossier veri e propri sono pacchi di fogli alti dieci centimetri.»

«E cosa c’è scritto sulle schede?» Holland vide che Stone lo fissava, interessato.

«Oh, le informazioni principali» disse la donna. «Numero di protocollo, data di nascita, data dell’affido e nome della famiglia…»

Holland smise di giocherellare con la penna e scrisse: “nomi e date”. «Bel colpo, Joanne. Questo ci aiuterà parecchio.»

«Allora appena ho qualcosa di nuovo richiamo, va bene?»

«Meglio mandare un’e-mail» disse Holland. «È più sicuro.»

La ringraziò di nuovo per il suo aiuto e poté quasi sentirla arrossire.

«Sembra interessante» disse Stone, quando Holland riagganciò.

«Già. A quanto pare, può procurarci un elenco delle famiglie affidatarie dei ragazzi. Le date di affido…»

«E continuerà anche a cercare i dossier completi?» chiese Stone, pensieroso.

«Credo che a questo punto sia impossibile fermarla, ma probabilmente nomi e date sono tutto ciò che ci serve.»

«Fammi sapere quando li avrai» disse Stone. «Ti darò una mano a controllarli.»

Holland si stirò. «Non credo che sarà un lavoro lungo. Dovrei farcela da solo.»

«Fa’ come ti pare.» Stone tornò con lo sguardo al suo monitor e iniziò a scrivere.

Holland sapeva di essere stato meschino, soprattutto perché in realtà non considerava affatto utile quella linea d’indagine. Thorne ci si era fissato e perciò lui avrebbe fatto il possibile per collaborare, ma non poteva fare a meno di ritenere che fosse solo una perdita di tempo. Non riusciva a capire in che modo il fatto di scoprire dove erano finiti Mark e Sarah Foley venticinque anni prima li avrebbe aiutati a scoprire dove si trovavano adesso.