Thorne uscì dalla stazione della metropolitana su Kentish Town Road e si diresse verso casa, passando vicino al commissariato dove circa dodici ore prima aveva incontrato Noel Mullen.
Ripensò alle parole del ragazzo: Sono pentito di essermi fatto beccare. E si chiese se un giorno sarebbe riuscito a far provare il pentimento all’assassino di Remfry, Welch, Southern e Charlie Dodd.
Thorne si fermò, indeciso, davanti all’ingresso del Bengal Lancer. Il suo cellulare mandò il segnale di un messaggio sulla segreteria. Thorne lo ascoltò e chiamò Eve. Dopo i saluti, le scuse furono le prime cose che disse.
«Per che cosa ti scusi?»
«Per molte cose. Ma soprattutto per non averti chiamata.»
«So che hai avuto da fare.»
Il padrone del ristorante, che conosceva Thorne, lo vide da dietro la vetrata e gli fece segno di entrare. Thorne rispose con un cenno di saluto e indicò il cellulare.
«Dove sei?» chiese Eve.
«Vicino a casa. Stavo pensando a come risolvere il problema della cena.»
«Giornata pesante?»
Thorne rise. «Ho voglia di mandare al diavolo tutto e mettermi a fare il fioraio.»
«Bloom Thorne. Suona bene.»
«Ma forse è meglio di no. Non so se riuscirei a sopportare le levatacce.»
«Pigro bastardo…»
E le visioni, i suoni, gli odori del sogno gli tornarono in mente. Thorne rabbrividì, benché fosse una sera calda.
«Tom?»
«Scusa.» Sbatté le palpebre per scacciare quelle immagini. «Nel messaggio che mi hai lasciato hai detto qualcosa riguardo a sabato.»
«So che probabilmente lavorerai fino a tardi…»
«No, per una volta credo di no. Sono libero per quasi tutto il giorno. A meno che non salti fuori qualcosa di molto importante.» Una riunione urgente, una nuova pista, un altro cadavere. «Perciò, dimmi pure.»
«Niente di stratosferico. È il compleanno di Denise, perciò lei, Ben e io passeremo la serata al pub. Se ne hai voglia, puoi unirti a noi.»
«Un appuntamento a quattro?»
«Be’, ho pensato che forse preferivi così. Una serata tranquilla, senza pressioni…»
«Pressioni?»
«Sai, ho l’impressione che tu faccia un passo avanti e due indietro.»
«Ah, scusa.»
Ci fu un silenzio. Thorne vide il padrone del ristorante alzare le mani e sentì Eve spostare il ricevitore da un orecchio all’altro.
«No, scusami tu» disse Eve. «Non volevo parlarne al telefono. Beviamo qualcosa insieme, sabato, e ripartiamo da lì.»
«Ottimo. E avrò anche qualcosa da farti vedere, allora.»
Thorne udì con piacere la sua risata e immaginò lo spazio tra gli incisivi. «Basta pensare sconcezze» disse Eve. «E vai a mangiare qualcosa.»
Thorne era ancora indeciso su cosa fare. In frigorifero aveva un po’ di roba che avrebbe potuto mangiare. Che avrebbe dovuto mangiare…
Il profumo del cibo indiano era troppo invitante per resistere. Spinse la porta del ristorante ed entrò. Il padrone aveva già stappato una bottiglia di Kingfisher.
CAPITOLO 21
«Per chi fai il tifo, oggi, Dave?»
Holland alzò gli occhi sul sorriso del sergente Sam Karim. «Prego…?»
«Parlo della Charity Shield. Chi vorresti che vincesse la supercoppa d’Inghilterra?»
Holland annuì. La tradizionale partita alla vigilia della stagione.
«Qualunque squadra, tranne il Manchester United» rispose.
«Rispetto la tua opinione, ma vinceremo lo stesso.»
«Non ti capisco, Sam. Tu sei di Hounslow, no?»
Karim si allontanò, sempre con il sorriso sulle labbra. «Sei solo invidioso…»
Holland prese il telefono e compose un numero. In realtà il calcio non gli interessava affatto. Praticamente tutto ciò che sapeva in proposito poteva riassumersi nella conversazione che aveva appena avuto.
La linea era ancora occupata. Riagganciò e tornò a sfogliare i suoi appunti. Da quando aveva ricevuto l’e-mail di Joanne Lesser, il giorno prima, non aveva fatto altro che lavorare a quella lista di nomi. Ma era una fatica improba, benché lui si fosse vantato con Stone di poter fare tutto da solo. Mettersi in contatto con le persone, infatti, era di per sé complicato, anche se loro non facevano nulla per renderlo tale.
I due ragazzi Foley avevano trascorso i primi sei mesi dopo la morte dei genitori in affido temporaneo. Quindi, nel gennaio del 1977, avevano cominciato il loro pellegrinaggio tra una serie di famiglie per periodi di affido più lunghi. Holland doveva ancora parlare con due di esse, ma dalle informazioni che aveva raccolto era già emerso uno schema ricorrente. In quasi tutti i casi, i bambini si erano adattati in fretta, ma poi erano diventati sempre più chiusi e difficili, soprattutto nelle famiglie in cui c’erano già altri bambini. I genitori affidatari li avevano giudicati problematici, ma avevano anche dichiarato di considerare il loro atteggiamento comprensibile, alla luce di quello che avevano passato. Mark e Sarah erano bravi bambini, ma si erano isolati, passando sempre più tempo da soli ed escludendo tutti coloro che li circondavano.
Era tutto molto interessante, ma Holland non credeva che quelle informazioni si sarebbero rivelate utili. Forse, parlando con l’ultima famiglia, sarebbe venuto fuori qualcosa di più concreto. Brigstocke voleva alcune foto dei bambini da elaborare al computer, invecchiando i volti, per poi farli vedere in giro. Non era una cattiva idea: Holland aspettava proprio quel giorno il ritorno da Majorca dei coniugi Noble, i quali avevano tenuto con loro i due ragazzi fino all’inizio del 1984. Era probabile che avessero le foto più recenti dei Foley.
Holland riprovò a fare il numero dei Lloyd, l’altra famiglia con cui non aveva ancora parlato. La linea era sempre occupata. Appena mise giù, il telefono squillò.
Era Thorne.
«Ti va di venire a bere qualcosa, stasera?» chiese.
«Perché no?» Appena lo ebbe detto, Holland si sentì subito in colpa. Sapeva che avrebbe dovuto prima parlarne con Sophie, soprattutto perché era sabato. E sapeva che probabilmente lei avrebbe sorriso dicendo che non le importava. «Dove andiamo?»
«In un locale di Hackney» disse Thorne.
Holland si vide mentre prendeva la giacca per uscire, senza guardare le lacrime che iniziavano a spuntare negli occhi di Sophie. Udì il suono della porta che si chiudeva e il rumore di ogni passo che avrebbe fatto scendendo le scale lo colpì come un pugno sotto la cintura.
«A che ora?» chiese.
«Intorno alle otto. Passo io a prenderti.»
«Cosa? Da Kentish Town a Elephant e poi di nuovo indietro fino a Hackney? È un giro lunghissimo…»
«Non c’è problema.»
«No, prendo la metropolitana fino a Bethnal Green, e da lì vado a piedi.»
«Passo da te volentieri, Dave…»
«Come si chiama il locale? Ci vediamo lì.»
«Sarò sotto casa tua alle otto e mezzo, Dave» disse Thorne, in un tono che non ammetteva replica.
Thorne aveva suonato il campanello e poi era tornato indietro per assumere la posa giusta. Quando Holland uscì dal suo appartamento, lo trovò appoggiato alla macchina, con un largo sorriso da modello degli anni Sessanta un po’ malandato.
«Allora i soldi dell’assicurazione sono arrivati, finalmente» disse Holland.
«Non ancora, ma arriveranno. Nel frattempo, ho chiesto un piccolo finanziamento in banca.» Holland restò a fissare l’auto con le mani in tasca e un’aria incerta. «È una BMW» sottolineò Thorne, nel caso Holland non l’avesse notato.
«Una vecchia BMW.»
«Un classico. Una CSi tre litri. Sono macchine da collezione, ormai.»