«Tutte quelle storie sulla difficoltà di comprare un letto nuovo…»
«Già.»
Eve continuò a fissarlo finché Thorne non alzò gli occhi su di lei. «E ora, hai finalmente capito cosa vuoi?»
Sul viso di Thorne si allargò un sorriso. Infilò una mano tra lo schienale della poltrona e la schiena di Eve. «Sì, voglio andare in un hotel…»
Per un attimo Eve sembrò quasi sconvolta, poi sorrise anche lei. «Stanotte?»
«Perché no? Domani non lavori e io ho una bella macchina parcheggiata proprio qui fuori.»
Eve gettò un’occhiata a Denise e Ben, immersi in un’animata conversazione con Holland. «L’idea è fantastica, ma è il compleanno di Denise…»
«Fa’ finta che sia il mio.»
«Non so, non posso tagliare la corda così.»
«Non credo che le importerà.»
Eve strinse il braccio di Thorne. «Lasciami vedere che cosa posso fare…»
Un’ora dopo, fuori dal pub, Eve prese Thorne da parte. «Stanotte è meglio evitare» disse.
«Hai litigato con Denise?» In quel momento l’amica stava baciando Holland su entrambe le guance, mentre Ben Jameson aspettava in disparte, con le mani in tasca. Denise incrociò lo sguardo di Thorne e gli rivolse uno strano sorriso.
«Non mi sento in forma» rispose Eve. «Prima della tua proposta, mi ero già scolata una bottiglia di vino.»
Thorne sorrise. «Credimi, più sei ubriaca, meglio ti sembrerà.»
«Che ne dici del fine settimana? Potremmo passare un paio di giorni in qualche alberghetto sulla costa…» Si interruppe, vedendo la sua espressione. «Già, capisco…»
«Mi dispiace» disse Thorne. «Finché questo caso non sarà chiuso, non posso promettere nulla. Merda, un intero weekend di vacanza. È semplicemente impossibile.»
«Lo so, è stata un’idea stupida.»
«Niente affatto. Perché non facciamo una sera della prossima settimana? Sabato prossimo, per esempio, o anche prima…»
«Sabato prossimo va benissimo.»
«Allora d’accordo.» Si allontanarono di qualche passo lungo il marciapiede. «Eve, non è ancora troppo tardi. Ti porto in un bell’albergo, nel West End, colazione inclusa…»
Lei gli prese la testa tra le mani e lo attirò a sé. «Sabato…» gli sussurrò all’orecchio, prima di baciarlo sulla guancia.
Mentre stavano per separarsi, Thorne lanciò un’occhiata agli altri, che stavano ancora chiacchierando davanti all’ingresso del locale, e colse un’espressione di disgusto delinearsi sul volto di Ben. Quando si voltò, vide che Keith si stava avvicinando a passo svelto al gruppo, con una borsa di plastica in mano.
Thorne era troppo lontano per sentire cosa dicevano, ma vide Keith estrarre dalla borsa un pacchetto avvolto nella carta da regalo rossa. Denise lo aprì e parve deliziata alla vista di quella che sembrava una scatoletta ornamentale. Abbracciò Keith e poi si girò per mostrare il regalo a Holland e Jameson.
Keith, rosso in volto, guardò nella direzione di Eve, che si trovava ancora accanto a Thorne. Lei gli fece un cenno di saluto e si avviò verso di lui. Holland invece si avvicinò a Thorne e sembrò un po’ sorpreso quando l’ispettore gli appoggiò una mano sulla spalla, dicendo: «Ti accompagno a casa, Dave».
Holland si voltò a guardare Eve, che ormai aveva raggiunto i suoi amici. «Non c’è problema, sul serio. Posso prendere un taxi…»
«Non è necessario.»
Thorne prese la Whitechapel Road, diretto a sud verso Tower Bridge. Andava piano, per abituarsi alla nuova auto ma anche per godersi il piacere di guidarla. Mentre attraversavano l’intrico di sensi unici intorno ad Aldgate, ascoltavano Merle Haggard.
«Non ho capito bene cosa è successo, stasera» disse Holland.
«A volte Keith dà una mano a Eve in negozio. Credo sia un po’…»
«No, intendevo l’idea di invitarmi a reggere il moccolo.»
Thorne guardò nello specchietto retrovisore. «Volevo farti vedere la macchina.» Neppure lui credeva più a quella scusa.
«Va tutto bene con Eve?»
Thorne esitò. Parlare di argomenti come quello era insolito per loro ed era impossibile prevedere dove sarebbero potuti arrivare. Se Holland non avesse bevuto un paio di bicchieri di troppo, probabilmente non avrebbe fatto quella domanda. Anche nelle serate di svago, la differenza gerarchica tra loro non veniva meno e li induceva a mantenere le distanze.
Ma quella sera erano solo due amici che tornavano a casa e Thorne decise di rilassarsi.
«Ho paura di averla fottuta un bel po’, Dave.»
«Cosa?»
«No, non in quel senso… In realtà, noi due non abbiamo ancora mai…»
«Ah…»
«È una lunga storia, ma il nocciolo è che lei è convinta che io la stia prendendo in giro e ha ragione. Un momento sembra che io non possa più aspettare e il momento dopo mi sento sollevato se non succede niente.»
«Ma allora di cosa si tratta?» chiese Holland, dopo averci riflettuto sopra qualche secondo.
«Non lo so.»
Era la verità. E se Thorne stesso non aveva le idee chiare sui propri sentimenti, chissà cosa doveva aver pensato Eve. La loro sembrava una storia tra due adolescenti. Alti e bassi, segnali confusi…
Ma non c’era nulla di adolescenziale o di confuso nel film che Thorne cominciò a vedere nella propria mente.
Lui ed Eve nell’ascensore dell’albergo, diretti verso la loro stanza. Si baciavano, si toccavano, le bocche affamate e le mani impazienti.
Thorne strinse forte il volante. Udì chiaramente i respiri ansimanti, i gemiti, il suono del campanello quando la porta dell’ascensore si apriva e il fruscio della gonna di Eve mentre si avviavano verso la stanza quasi correndo.
Si vide inserire la chiave magnetica nella fessura ed entrare con lei. Ridevano e si abbracciavano, cercando a tastoni l’interruttore.
Ma c’era un cadavere sul letto. In ginocchio. Sanguinante. Con un collare di corda blu che gli mordeva il collo…
Thorne frenò bruscamente a un semaforo rosso e Holland fu costretto a tenersi in equilibrio aggrappandosi al cruscotto.
«Scusa» disse Thorne. «Devo ancora prenderci la mano.»
Rimasero in silenzio per un po’, finché davanti a loro apparve la Torre di Londra, illuminata dai riflettori, e iniziarono ad attraversare il ponte.
Thorne toccò il braccio di Holland e indicò il fiume. «È una vista bellissima, vero?»
Amava attraversare il Tamigi di notte. Il suo punto preferito era il ponte di Waterloo, da sud a nord, con il London Eye a sinistra e la cupola di St Paul che dominava la City, in lontananza. Ma attraversare qualunque ponte, in qualunque direzione, a quell’ora di notte, era una cosa che gli sollevava sempre il morale. Quella notte avevano a sinistra il Butler’ Wharf e a destra la nave Belfast, avvolta in una luce ambrata. La vista di scenari come quelli era ciò che Thorne avrebbe consigliato a chi aveva in animo di lasciare Londra.
«E con Sophie, come va?» chiese. «Siete pronti per il lieto evento?»
Holland fece un sorriso acido, come se stesse per vomitare da un momento all’altro. «Io me la faccio addosso dalla paura, in realtà.»
«Non ti biasimo, un figlio è una cosa seria. Io non ne ho, ma…»
«Non è solo il fatto di avere un bambino. È tutto ciò che succederà dopo…»
«Dal punto di vista del lavoro, intendi?»
«Mi sento come travolto dalla marea. Come se non avessi più il controllo di quello che sto facendo.» Thorne scosse la testa e fece per dire qualcosa, ma Holland continuò, animandosi e alzando la voce. «Sophie dice che quello che accadrà dopo dipende da me, ma intanto lei resterà con il piccolo e io sarò l’unico a portare a casa i soldi.»
«Lei preferirebbe che tu facessi un altro lavoro?»
«Sì, ma questo lo pensava anche prima di rimanere incinta. Il problema è che ora potrei essere io a convincermi che è il caso di cercarmi un altro lavoro, retribuito meglio.»