«Un lavoro più sicuro…»
Holland si voltò a fissarlo, duro. «Esatto» disse e tornò a guardare fuori, mentre oltrepassavano i saloni di concessionari d’auto di New Kent Road a quaranta all’ora. «Ho paura che finirò per scaricare il mio rancore sul bambino» aggiunse poi, appoggiando la testa al finestrino. «Per le scelte che potrebbe costringermi a fare…»
Thorne non disse nulla. Spinse un bottone dello stereo, facendo scorrere i brani del CD fino a trovare quello che voleva. Poi alzò il volume. «Ascolta questa» disse.
«Che cos’è?»
«Si intitola Mama tried. Parla di un uomo in galera…»
«Sempre la solita solfa.»
«Questa parla di crescere, di accettare le responsabilità, di fare le scelte giuste.»
Per un minuto o due Holland ascoltò la musica. Ormai erano già alla rotonda di Elephant Castle, poco lontano da casa sua. A un tratto scosse la testa e scoppiò a ridere.
«Crescere? Non sono io quello che si è comprato una macchina da crisi di mezza età.»
Thorne entrò in casa affamato. Mise tre fette di pane sul grill, mentre riawolgeva il nastro nel videoregistratore.
Era riuscito a evitare per tutto il giorno di sentire il risultato della partita e non vedeva l’ora di guardarsela in cassetta.
Dopo mezz’ora di noia, cominciò a chiedersi se ne fosse valsa la pena.
Erano più di dieci anni che gli Spur non giocavano nella Charity Shield, ma Thorne e suo padre erano andati a vedere le ultime partite. Il pareggio senza gol con l’Arsenal, nel ’91, e le consecutive dell’81 e dell’82.
La prima partita importante che aveva visto allo stadio era stata la Charity Shield del 1967. Il viaggio a Wembley era stato un regalo per il suo settimo compleanno, dopo che gli Spur avevano battuto il Chelsea 2 a 1, vincendo il campionato. Thorne ricordava ancora il ruggito della folla e il suo stupore nel vedere l’immensa distesa verde del campo, mentre il padre lo conduceva per mano verso i loro posti. E per tutti gli anni successivi, ogni volta che erano andati insieme a una partita, Thorne aveva provato un brivido di piacere alla vista del campo, mentre emergevano nel rumore e nella luce.
Chissà se suo padre aveva guardato la partita, quel giorno. In tal caso, avrebbe senz’altro avuto un’opinione precisa da comunicare a chiunque volesse sentirla.
Thorne lo chiamò e ascoltò per venti minuti una raffica di battute prive di senso.
CAPITOLO 22
Carol Chamberlain mise da parte il giornale, vedendo Thorne avvicinarsi al tavolo con i loro caffè.
«Non è piacevole» disse.
Thorne lanciò un’occhiata al titolo e tolse la schiuma dal suo caffè con il cucchiaino. «Non è un problema mio.»
Malgrado gli sforzi di Trevor Jesmond e dei suoi superiori, i mass media si erano appropriati della storia, dopo l’omicidio di Southern. Non era proprio la grancassa prevista da Brigstocke, ma facevano parecchio rumore. Un giornale aveva pubblicato una vignetta con tre cappucci neri, attraversati ciascuno da una croce rossa, sotto il titolo “Tre di meno”. Un altro aveva raccolto le testimonianze di varie vittime di violenza carnale e le aveva pubblicate con titoli come “Date una medaglia a quest’uomo”, o “L’unico stupratore buono è uno stupratore morto”.
Gli articoli del lunedì mattina includevano anche le proteste di varie organizzazioni per i diritti e la reintegrazione degli ex carcerati, le quali chiedevano a gran voce la cattura dell’assassino, accusando la polizia di non fare abbastanza. La sera prima, Thorne aveva assistito a un acceso dibattito a London Live tra i rappresentanti di organizzazioni di aiuto alle donne violentate e quelli dei gruppi per i diritti dei carcerati. Il vicequestore, fiancheggiato da una donna comandante dalla faccia terribile e da un Trevor Jesmond alquanto sudato, aveva ricordato a uno dei gruppi che le vittime degli omicidi erano state a loro volta violentate e assicurato all’altro che la polizia stava facendo tutto il possibile per risolvere il caso.
Thorne aveva spento la tivù più o meno quando Jesmond, con una faccia da coniglio abbagliato dai fari di un’auto, aveva iniziato a blaterare che due cose sbagliate non ne fanno una giusta, eccetera.
«I tuoi superiori potrebbero decidere che è un problema tuo» disse Chamberlain. Lei e Thorne erano passati a un più confidenziale “tu”.
Thorne sorrise. «Tu facevi così?»
«Ovviamente. Ho anche frequentato dei seminari, a Hendon, su come scaricare le patate bollenti.»
Erano seduti a un tavolino all’ombra, fuori dalla piccola caffetteria vegetariana nel parco di Highgate Woods. Era tutto un po’ troppo biologico e alla moda per i gusti di Thorne, ma Carol aveva voluto mangiare fuori e in fondo quel locale andava bene come qualunque altro.
E anche se ogni fetta di pane integrale costava una cifra assurda, il pranzo poteva finire nel rimborso spese.
Il caso “freddo” di Carol Chamberlain era diventato di nuovo “caldo” e le era stato tolto di mano. Lei non aveva avuto scelta ed era passata a lavorare a qualcos’altro. Ma Thorne sapeva quanto le dovevano e il minimo che poteva fare era tenerla aggiornata. Inoltre le piaceva parlare con lei. Dopo il loro primo incontro, nell’ufficio di Thorne, avevano già avuto diverse occasioni di discutere, di persona o al telefono, su vari argomenti. Si scambiavano pettegolezzi, idee, battute…
«Almeno la stampa per il momento non sa di Mark e Sarah Foley» disse Carol.
Thorne prese il giornale e lo girò, dando una rapida occhiata alle cronache calcistiche nell’ultima pagina. «È solo questione di tempo.»
«Potrebbe anche essere un bene, dopotutto.»
«In che senso?»
«Potrebbe essere un modo per trovarli.»
«O per spingerli a nascondersi ancora meglio.»
Finito il caffè e rifiutato il dolce, Carol Chamberlain si alzò in piedi. «Facciamo il percorso lungo per tornare alle nostre macchine» suggerì, battendosi una mano sulla pancia. «Una bella passeggiata è quello che ci vuole per digerire.»
«Ha chiesto di te, Dave» disse Karim, indicando a Holland la donna in attesa nella sala di pronto intervento. Stone si materializzò silenziosamente alle spalle di Holland e tutt’e due fissarono Joanne Lesser, seduta accanto alla finestra.
«Una fighetta nera» mormorò Stone.
Holland annuì, voltandosi verso di lui. «Razzista e sessista» disse. «È un bel primato anche per te, Andy.»
«Vaffanculo.»
«Sei suscettibile, eh?»
«Sul serio, è proprio carina. Sei fortunato.» Holland lo guardò in silenzio, e Stone continuò: «È evidente che le interessi. Prima ti chiama al telefono, poi viene qui di persona. Più chiaro di così…».
Si avviarono insieme a salutarla e Joanne Lesser si alzò in piedi sorridendo appena li vide. Holland era certo che l’idea di Stone fosse solo un parto della sua mente fissata sul sesso. Tuttavia, per ragioni che non erano solo quelle di servizio, sperava che Joanne Lesser avesse davvero qualcosa di importante da riferire.
Cinque minuti dopo erano seduti tutti e tre nell’ufficio di Holland e Stone, con i bicchieri di plastica appoggiati sul bordo delle scrivanie.
«Sono le date che mi disturbano» affermò Joanne Lesser.
«Le date di affido alle famiglie?» Holland cominciò a sfogliare i suoi appunti.
«Adesso le cose vanno diversamente, ma a quell’epoca si smetteva di occuparsi dei ragazzi dopo i sedici anni. Passata quell’età, non erano più considerati una responsabilità dei servizi sociali.»
«Capisco» commentò Holland, sempre sfogliando gli appunti.