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«E lei, signora, in che modo ha reagito?»

«Pregando per Mark e Sarah. Ho pregato che stessero bene e che non fosse accaduto loro nulla di male.»

Thorne stava ancora pensando a quest’ultima frase, mentre lui e Holland avanzavano a passo d’uomo nel traffico del West End.

«Molto opportuno per Roger Noble» disse Holland. «I ragazzi scompaiono poco prima di cambiare scuola. Le schede che li riguardano spariscono con loro…»

«Una bella coincidenza» commentò Thorne.

«Ma sono davvero fuggiti? La mia è una congettura ad alta voce…»

Thorne scosse la testa. «Noble è stato sicuramente responsabile della loro fuga e questo è il motivo per cui non ne ha mai denunciato la scomparsa. Ma non credo che si sia spinto oltre. Se li avesse uccisi, allora adesso chi stiamo cercando?»

«Non dovremmo fare rapporto?» chiese Holland. «Quel bastardo potrebbe aver abusato di chissà quanti altri bambini.»

«Ormai è morto. Non può più fare male a nessuno.»

«E la moglie? Secondo lei sapeva?»

Thorne ripensò a quando Irene Noble aveva detto di aver pregato che ai ragazzi non fosse accaduto nulla di male e scosse la testa. No. Se lei avesse saputo, non gli sarebbe sembrata tanto sincera nel pronunciare quelle parole.

Al Grafton Arms, a pochi passi da casa sua, Thorne aveva bevuto diverse birre, giocando a biliardo con Hendricks, e aveva perso cinque partite su sei.

«Non mi diverte molto umiliarti, stavolta» disse Hendricks. «Si vede benissimo che la tua mente è da un’altra parte.»

Appoggiato al bancone del bar, Thorne non ribatté nulla. Hendricks segnò senza difficoltà gli ultimi punti e mise in buca la palla nera. «Che ne dici se cominciamo a scommettere soldi?» chiese. «Forse ti aiuterebbe a concentrarti di più…»

«Sono stanco» fu il commento di Thorne. «Finisco questa pinta e me ne vado a casa.»

Hendricks prese il bicchiere di Guinness che aveva appoggiato sul distributore automatico di sigarette e lo raggiunse al bancone. «Ancora non riesco a crederci» disse. «Come potevano essere totalmente all’oscuro? Qualcosa dovevano pur sapere.»

Thorne scosse la testa, portandosi il bicchiere alle labbra. Avevano parlato di Sheila Franklin e di Irene Noble. Due donne all’incirca della stessa età, entrambe vedove di due uomini che ricordavano con affetto e tenerezza. Due uomini che avevano amato…

Uno violentava le donne, l’altro molestava i bambini.

Thorne inghiottì una sorsata di birra. «Forse è una questione di età» disse. «Appartengono a un’altra generazione…»

«Stronzate» ribatté Hendricks. «Hai presente i miei genitori?» Thorne li aveva visti una volta, nella pensione che gestivano a Salford. «Mio padre non può neppure scoreggiare, senza che mia madre lo sappia.»

Thorne annuì. L’amico aveva ragione. «Per i miei era la stessa cosa.»

Hendricks estrasse dal taschino del giubbotto di jeans un pacchetto di Silk Cut e Thorne, con un’irritazione da ex fumatore, lo osservò tirare fuori una sigaretta.

«Qualcuno dirà a quelle donne la verità sui loro maritini?» chiese Hendricks.

«Adesso non ce n’è motivo. E, se prenderemo il nostro uomo, lo scopriranno da sole.»

Hendricks annuì e si accese la sigaretta. Spirali di fumo azzurrino ondeggiarono verso il biliardo, adesso occupato da un uomo e una donna.

«Forse noi pensiamo soltanto di sapere come stavano le cose tra i nostri genitori» disse Thorne. «Forse sappiamo solo quel tanto, o quel poco, che loro stessi sapevano.»

«Può darsi.»

«C’è una vecchia canzone country che si chiama Behind closed doors, dietro le porte chiuse…»

«Lo sapevo che saremmo arrivati al country.»

«Ma è vero, no? Molto di quello che riguarda la famiglia è mitologia. Cose che si tramandano di bocca in bocca, senza che si possa mai sapere per certo quello che è vero e quello che non lo è. E prima che tu te ne renda conto, la tua storia è diventata solo una diceria.» Thorne bevve un sorso di birra. Sapeva che avrebbe dovuto parlare con suo padre. Avrebbe voluto conoscere più cose sui suoi genitori e sui loro genitori. Ma ormai era tardi.

«Merda» disse Hendricks. «Tutte queste profonde verità in una sola canzone?»

«Sei proprio una testa di cazzo…»

Si spostarono dal bancone per lasciare spazio a un gruppo di ragazzi e finirono le birre in piedi accanto alla porta.

«Comunque sia, che mi dici di Mark Foley?»

«È sempre il sospettato numero uno.»

«Chiunque egli sia…»

«Già. E dovunque sia. Non mi sta rendendo la vita facile.»

«Prima o poi farà un passo falso e lo inchioderemo…»

«Non mi riferisco al fatto di prenderlo.» Thorne faceva fatica a immaginarsi quel serial killer con una faccia da adulto, invece che da ragazzino di quindici anni. Vedeva un adolescente che proteggeva la sorella, portandola via da un posto dove lei, e forse anche lui, subivano violenze. «Sto ancora cercando di capire che tipo è.» Thorne si voltò a guardare Hendricks. «Tutta questa faccenda è un gran casino, sai, Phil? Mark Foley, o Mark Noble, o comunque si faccia chiamare, adesso è un assassino e al tempo stesso una vittima.»

Hendricks scrollò le spalle. «E allora?»

«Allora, c’è una parte di lui che una parte di me non vuole davvero catturare…»

Thorne accompagnò Hendricks alla stazione della metropolitana. L’amico gli chiese di Eve, fece una battuta salace quando seppe del loro appuntamento bollente per il sabato successivo, e si lamentò della propria vita amorosa, movimentata ma triste.

Thorne lo ascoltava solo con un orecchio. Era stanco e si vedeva planare lentamente tra le felci ondeggianti della sua collina. All’improvviso accanto a lui apparve Jane Foley e, benché Thorne non riuscisse a vederla chiaramente in viso, se l’immaginò distrutta dal dolore. Dolore per se stessa e per i suoi figli.

Thorne sapeva che, una volta toccata terra, i loro corpi sarebbero affondati tra le felci, la collina sarebbe franata sotto il loro peso e loro sarebbero sprofondati, attraverso acqua e terra e legno marcio di vecchie bare e ossa ridotte in polvere, fino a un’oscurità priva di suoni, circondati dal terreno umido.

CAPITOLO 24

Sulla segreteria di Irene Noble la sua voce affettata risultava ancora più marcata. Holland lasciò un messaggio dopo il segnale acustico. «Sono l’agente Holland, dell’Unità per i Reati Gravi. Ieri, durante il colloquio, l’ispettore Thorne e io ci siamo dimenticati di chiederle alcune foto dei ragazzi. Ci sarebbero molto utili. Naturalmente gliele restituiremo presto. Per favore, mi chiami appena possibile a uno dei numeri riportati sul biglietto da visita che le ho lasciato. Grazie mille…»

Holland riagganciò e alzò gli occhi. Andy Stone lo stava fissando, da dietro la sua scrivania. «Foto dei ragazzi?» chiese.

«L’ispettore capo vuole provare a invecchiare i volti dei ragazzi al computer.»

Stone scosse la testa. «È una perdita di tempo. Non ci sarà alcuna somiglianza con i Foley, se mai salteranno fuori.»

«Se le foto risalgono a poco prima della fuga, si tratta di due ragazzi di quindici e tredici anni. Non possono essere cambiati troppo.»

«Davvero? Non ti è mai capitato di incontrare qualcuno che non vedevi da qualche anno e di non riconoscerlo affatto? E parlo solo di qualche anno…»

Holland pensò un attimo e ammise che il collega aveva ragione. Inoltre, durante le indagini sul caso degli assassini che agivano in coppia, di cui si era occupato con Thorne l’anno prima, aveva scoperto che cambiare aspetto non era poi così difficile. Comunque, se c’era una tecnica per invecchiare le persone nelle foto, tanto valeva usarla.