Stone era scettico. «Si tratta di un software che agisce in base a una serie di ipotesi e congetture. Come fai a sapere con certezza se una persona perderà i capelli, o se ingrasserà di venti chili?»
«Ho visto casi in cui l’invecchiamento sembrava piuttosto realistico» disse Holland.
Stone si strinse nelle spalle. «E, poi, siamo sicuri che la signora Noble abbia delle foto dei ragazzi?» chiese, senza alzare gli occhi.
«No, non lo siamo. Ma sarebbe strano che non ne avesse, visto che li amava tanto.»
«Manderai qualcuno a prenderle, o ci andrai di persona?» chiese Stone.
«Non ci ho ancora pensato. Aspetterò di sentire che cosa mi risponde prima di decidere. Verresti con me, nel caso?»
«No…»
«È single… ma forse è un po’ troppo anziana, perfino per te.»
«Allora meglio lasciar perdere.»
«Come vuoi.» Holland appuntò data e ora della telefonata: mercoledì 7, ore 10.40. Se Irene Noble non si fosse fatta viva entro la fine della giornata, l’avrebbe richiamata. Quando Stone gli rivolse la parola, Holland era appoggiato allo schienale della sedia e fissava nel vuoto con gli occhi socchiusi.
«Tu dici che li amava tanto. A me sembra un po’ esagerato.»
«Io credo che volesse davvero molto bene ai ragazzi» dichiarò Holland. «Ma è una donna ingenua. Anzi, stupida, se vuoi.»
Stone girò di scatto lo sguardo verso Holland. «Se l’amore è cieco, allora sì, forse li amava davvero.»
Chi aveva creduto che i computer avrebbero eliminato la parte cartacea del lavoro d’ufficio si era sbagliato di grosso. La pila di scartoffie sulle scrivanie era la stessa di sempre. Con la differenza che adesso si trattava di documenti stampati dal computer.
Thorne era seduto e stava leggendo le storie di quattro omicidi.
Tutte le informazioni e i particolari che gli intasavano il cervello erano stati riportati su carta. Su fogli A4 usciti da una stampante laser, su carta chimica da fax, su Post-it e su foglietti strappati da un taccuino. L’intero caso era davanti a lui, montagne di fogli spiegazzati legati con un elastico, o tenuti insieme da punti metallici e infilati in raccoglitori di cartone.
Thorne si tuffò in ogni singolo pezzo di carta, come un gabbiano in una discarica di rifiuti, alla ricerca di una risposta che doveva essere lì, nascosta da qualche parte. Un occhio nero e fisso in cerca di un bocconcino appetitoso.
Sentiva ancora la voce di Carol Chamberlain, che diceva, con il suo accento dell’Essex: «Se esiste, si trova nei dettagli».
Seduta alla scrivania di fronte alla sua, dietro a una pila di carte, Yvonne Kitson era intenta a scrivere. Stava ancora lavorando sulla ricerca Foley/Noble, setacciando migliaia di indirizzi, numeri della previdenza sociale e registrazioni di auto. E allo stesso tempo riceveva e catalogava le informazioni sul caso Southern.
Thorne pensò di lanciarle una pallottola di carta, pe’r catturare la sua attenzione. Poi decise che non era il caso.
«A parte tutto il resto,» disse «gli assassini danneggiano anche le foreste.»
Yvonne Kitson alzò gli occhi. «Che cosa?»
Thorne sollevò un grosso pacco di referti di autopsie e lei annuì.
«Come sta andando, Yvonne?»
«Non credo che la ricerca di Mark Noble avrà più successo di quella di Mark Foley. È un nome che deve aver usato per pochissimo tempo.»
«Il nome di un uomo che sicuramente odiava.»
«Già. Al suo posto, io l’avrei cambiato subito dopo aver lasciato quella casa.»
Thorne non poteva che essere d’accordo. Sarebbe andato subito da Brigstocke per consigliargli di concentrare le loro risorse in una direzione più produttiva, se solo avesse avuto la minima idea di quale fosse quella direzione.
«Purtroppo, ci tocca setacciare tutto lo stesso» disse, in tono rassegnato.
La pista dell’adozione, delle molestie e della fuga cominciava a sembrare un altro vicolo cieco. Se era abbastanza difficile cercare di immaginare i movimenti di una ragazzina scappata di casa da sei mesi, cercare di ricostruire la fuga di due adolescenti scomparsi da Romford da quasi venti anni era pressoché impossibile.
Tuttavia non avevano scelta. Mentre Holland, Stone e il resto della squadra si davano da fare come potevano, Thorne riesaminava da capo ciò che avevano già in mano, sicuro che fosse abbastanza.
All’ora di pranzo non aveva ancora trovato nulla e si sentiva come se avesse analizzato tutti gli omicidi del mondo. Aveva visto le mani del patologo frugare in ogni cavità toracica, nelle umide profondità di ogni intestino. Aveva ascoltato le parole inutili di chiunque avesse incontrato le vittime, anche solo alla fermata dell’autobus.
Non ne poteva più.
«Che cosa c’è nei tuoi sandwich, oggi?»
Yvonne scosse la testa senza distogliere gli occhi dal computer. «Oggi non ho avuto tempo. I ragazzi mi davano il tormento e tutto è diventato…»
Non finì la frase e Thorne ne approfittò per intervenire: «Non puoi tenere tutto sotto controllo, Yvonne. Se ogni tanto abbassi un po’ la guardia, non c’è niente di male». Lei gli rivolse un sorriso tirato. «Va tutto bene, Yvonne?»
«Qualcuno ti ha detto qualcosa?» chiese lei.
«No, è solo che ultimamente non sembri più tu.»
Il sorriso di Yvonne Kitson si allargò e per un attimo lei tornò a essere la stessa di sempre. Il tipo di persona a cui Thorne poteva lanciare una pallottola di carta senza problemi. «Sono solo stanca» disse.
Il prossimo omicidio sarebbe stato l’ultimo, almeno per un po’. Sarebbe servito a concludere in bellezza. Poi l’indagine della polizia avrebbe subito un’accelerazione e, statisticamente, il rischio di farsi beccare sarebbe aumentato.
Se lo avessero preso e processato per i suoi crimini, quest’ultimo omicidio lo avrebbe portato dritto alla crocifissione. Finora era stato tutto diverso. Se lo avessero processato per l’assassinio di Remfry, Welch e Southern… chissà, forse avrebbe anche potuto cavarsela con poco.
I giornali scandalistici lo avrebbero senz’altro appoggiato, ne era sicuro. Forse avrebbe anche potuto persuadere uno di quelli più popolari a pagargli un avvocato famoso. Aveva già deciso che, se mai quel momento fosse arrivato, lui avrebbe confessato tutto in pubblico, spiegando esattamente che cosa aveva fatto e perché. Era convinto che solo un giudice davvero coraggioso avrebbe osato mandarlo in galera per molto tempo, dopo la sua confessione.
Certo, non tutti sarebbero stati d’accordo. Alcuni avrebbero sostenuto che lui doveva pagare il suo debito con la società, proprio come avevano fatto le persone che lui aveva assassinato.
Che protestassero pure. Che parlassero pure di “perversione” e “giustizia”, come se avessero la minima idea del significato di quelle parole.
Perversione e giustizia. La degradazione e la speranza frustrata. La sporca commedia che aveva dato inizio a tutto…
Ma quelle erano tutte fantasie, destinate ad avverarsi solo nel caso improbabile che la polizia bussasse alla sua porta nei successivi due giorni. Dopo l’ultimo omicidio, nulla avrebbe potuto salvarlo.
E anche la stampa scandalistica gli avrebbe voltato le spalle, una volta che fosse stata scoperta la sua ultima vittima.
Tutt’altra cosa rispetto a uno stupratore.
Thorne stava inserendo alcune monete nella macchina del caffè, quando Sam Karim gli si avvicinò.
«La signorina Bloom per lei, signore…»
Un po’ confuso, Thorne si tastò le tasche dei pantaloni in cerca del cellulare, scoprendo di averlo dimenticato sulla scrivania. Evidentemente Eve, non avendo ricevuto risposta sul telefonino, aveva pensato di provare a cercarlo al numero d’ufficio.