Forse poteva fare un giro in macchina, prima…
Aprì la borsa e frugò fino a trovare il foglio che cercava. Si schiarì la voce, prese il cellulare e compose il numero. Le prime parole gli uscirono confuse.
«Signora Noble? Sono Dave Holland. So che è un’ora insolita per una visita, ma, se per lei va bene, passerei a ritirare quelle foto…»
CAPITOLO 28
Holland ci mise meno di quaranta minuti per arrivare a Romford. Irene Noble lo aspettava sulla soglia e gli si fece incontro sul vialetto. «Ci ha messo pochissimo. Probabilmente questa è l’ora migliore per spostarsi in macchina…»
Indossava un tailleur color crema e si era truccata con cura. Holland notò che guardava verso le case ai lati, probabilmente sperando che qualche vicina notasse il giovane venuto a trovarla.
«Non c’era affatto traffico» confermò Holland, seguendola in casa.
Fu salutato con entusiasmo da un cagnolino bianco con il pelo non troppo pulito, che la signora Noble spedì subito in cucina. «Candy è molto affettuosa» disse. «In realtà era il cane di Roger, ma quando lui è morto era molto piccola.»
Holland fece un sorriso di circostanza, mentre entravano nel soggiorno. Divano e due poltrone blu, moquette rosa a disegni porpora e un tavolo basso di fronte al caminetto. Tutto pulito, a parte un cuscino di canapa coperto di peli di cane. Holland si avvicinò al mobile di faggio dalle ante a specchio addossato a una parete. Il ripiano superiore era coperto di foto incorniciate di bambini.
Irene Noble prese in mano una foto. «Mark e Sarah non ci sono» disse. «Non sopportavo di vedere la loro immagine senza sapere cosa fosse accaduto loro. Quando ho saputo con certezza che non sarebbero tornati, ho messo via le fotografie, non ricordo più dove.» Scorse il lampo di preoccupazione negli occhi di Holland e gli toccò un braccio. «Non si preoccupi, non è venuto invano. Dopo una lunga ricerca le ho trovate nel nostro album di matrimonio.»
Holland annuì e la donna girò verso di lui la foto che aveva in mano. «Si chiama David, ora fa l’agente di cambio.» La mise giù e indicò le altre. «Susan è infermiera al Royal Free, Gary ha finito il servizio militare e sta seguendo un corso per diventare stampatore, Claire sta per avere il terzo bambino…»
«Sono tanti…» disse Holland.
«Di solito prendevamo affidi a lungo termine. Io preferivo così. Era davvero difficile vederli andar via, proprio quando cominciavano a essere di famiglia. Prima e dopo Mark e Sarah, ne abbiamo avuti più di venti. Della maggior parte di loro ho continuato ad avere notizie anche in seguito…»
La signora Noble sorrise tristemente e Holland cercò di sorridere a sua volta. Pensò a quei bambini e all’uomo che era stato il loro padre affidatario e si chiese…
«Non sapevo se lei avesse già mangiato» disse la signora Noble, interrompendo il suo pensiero. «Perciò, dopo la sua telefonata, ho tirato fuori delle lasagne dal freezer. Ci vorranno solo cinque minuti…»
«Ah, grazie…»
«Può bere qualcosa, o è ancora in servizio?»
Malgrado l’opinione che si era inizialmente fatto di lei, Holland provò una specie di affetto improvviso verso quella donna. Pensò a tutti i bambini che aveva perso, in un modo o nell’altro, e alla sua fede ingenua in un uomo il cui cuore avvolto nella tenebra aveva cessato di battere per sempre.
Si sentì a suo agio…
«Beviamo insieme» disse. «Ho giusto una bottiglia di vino in macchina.»
«Lascia che ti restituisca i soldi del materasso» disse Thorne.
«No, davvero. Puoi offrirmi la cena, se vuoi.»
«Quanto ti è costato?»
«Consideralo un regalo di compleanno in ritardo» disse Eve. «Per rimpiazzare il primo» sorrise. «Non ho visto la pianta da nessuna parte, a casa tua, perciò immagino che tu sia riuscito a ucciderla.»
«Ah, già. Avrei voluto confessartelo…»
Un cameriere portò il vino, mentre il padrone del locale si avvicinava con un cestino di speciale pane indiano. «Offre la casa» disse, appoggiando una mano sulla spalla di Thorne e strizzando l’occhio a Eve. «Lui è uno dei miei migliori clienti» aggiunse. «Ma è la prima volta che viene qui con una giovane donna.»
Quando si fu allontanato, Eve riempì i bicchieri di entrambi. «Non so come prendere ciò che ha detto» disse. «Significa che di solito vieni qui con giovani uomini?»
Thorne annuì, abbassando gli occhi. «Un’altra cosa che avrei voluto confessarti…»
Lei rise. «Insomma, vieni qui spesso da solo, è così?»
«Non così spesso.»
«Ti immagino qui, seduto a un tavolo con la faccia triste, intento a mangiare pollo al curry…»
«Ehi, aspetta un attimo» disse Thorne, assumendo un’espressione ferita. «Anch’io ho uno o due amici.»
Eve spezzò il pane e lo cosparse di chutney e cipolle. «Parlami di loro. Che cosa fanno?»
Thorne si strinse nelle spalle. «Sono tutti collegati al mio lavoro, in un modo o nell’altro.» Diede un morso al pane. «Phil è un patologo…»
Lei annuì, come se quella fosse la conferma di qualcosa.
«Che cosa c’è?» chiese Thorne.
«Non stacchi mai dal lavoro, vero?»
«In realtà, Phil e io parliamo soprattutto di calcio…»
«No, sul serio…»
Thorne bevve un sorso di vino, pensando alle parole di Eve. «Secondo me, nessuno stacca mai del tutto dal lavoro» disse. «Parliamo in continuazione di ciò che facciamo.» Lei lo fissava, passandosi l’orlo del bicchiere sul mento. «Tu, per esempio, se ti trovi a cena in un locale e vedi una bella composizione floreale…»
«I fiori non sono cadaveri.»
Thorne si sorprese di una certa irritazione che cominciava a serpeggiare in lui.
Prese la bottiglia e versò altro vino nei loro bicchieri. «Be’, alcuni direbbero che i fiori recisi sono cadaveri, dopotutto.»
Eve annuì lentamente. «Tutto muore» osservò. «Qual è il senso, alla fine? Potremmo anche chiedere al cameriere di mettere del vetro macinato nel nostro biryani.»
Thorne la guardò e vide che le tremavano le labbra. Scoppiarono a ridere quasi nello stesso momento.
«Non capisco mai quando mi stai prendendo in giro» disse lui.
Eve allungò una mano a toccare la sua. «Puoi lasciar perdere il lavoro, Tom? Solo per stasera…»
«I ragazzi danno un bel da fare» disse Irene Noble. «Ti cambiano la vita in un modo incredibile.» Fissò Holland, al quale ormai dava del tu con naturalezza. «Ma vedrai che sarai molto contento di aver avuto un figlio.»
Holland pensava che parlare di bambini fosse un argomento sicuro, ma non avrebbe mai pensato che sarebbero finiti a parlare del suo.
«Mi sento in colpa» confessò. «Perché ho paura di ciò che potrei fare. Anche il solo pensare alla possibilità di andarmene mi fa sentire in colpa.»
«Oh, proverai emozioni ben più strane e dolorose di questa. Un giorno saresti disposto a morire per loro e il giorno dopo avresti voglia di ucciderli con le tue mani. Ti preoccupi quando non sai dove sono e allo stesso tempo non vedi l’ora di avere un po’ di tempo libero per te. Sono tutte emozioni incondizionate…»
«Lei parla del dopo, di quando i bambini ci sono già. Ma perché io mi sento così ora?»
«È normale. Non sono solo le donne che si trovano ad attraversare una tempesta emotiva. L’unico svantaggio dei maschi è che non possono usare gli ormoni come scusa.»
Holland rise. I due bicchieri di vino che aveva bevuto lo facevano sentire rilassato.
Quando avevano iniziato a mangiare era ancora agitato e, quasi senza volerlo, aveva finito per raccontare a quella donna ogni cosa.