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L’aprì e un pacco di buste legate con un elastico cadde sulla moquette.

Appena vide l’indirizzo, scritto a macchina sulla prima, Holland provò un piccolo brivido di eccitazione. Forse quelle lettere non significavano nulla, ma erano certamente più interessanti dei mucchi di vecchi calzini e di riviste porno che aveva trovato finora.

«Andy!»

Mary Remfry si strinse nel cardigan e si avvicinò all’agente. «Che cos’ha trovato?»

Holland udì i passi di Stone sulle scale. Sfilò l’elastico che teneva fermo il pacco, aprì la prima busta e tirò fuori la lettera.

«Allora possiamo eliminare definitivamente l’eventualità di un’asfissia autoerotica?» L’ispettore capo Russell Brigstocke, un po’ imbarazzato, abbracciò con un’occhiata circolare Thorne, Phil Hendricks e l’ispettore Yvonne Kitson.

«Ecco, io non sono sicuro di poter eliminare alcunché» disse Thorne. «Ma direi che il prefisso “auto” indica qualcosa che uno fa da solo.»

«Sai che cosa intendevo dire, saputello…»

«In quella stanza non è accaduto nulla di erotico» intervenne Hendricks.

Brigstocke annuì. «Nessuna possibilità che si sia trattato di un gioco perverso finito male?» Thorne represse un sorriso e Brigstocke se ne accorse. «Che c’è?» Thorne non disse nulla. «Ascolta, sto solo facendo le domande…»

«…che Jesmond ti ha detto di fare» finì Thorne, il quale non faceva nulla per mascherare la sua opinione sul loro sovrintendente. Secondo lui, Jesmond era uscito direttamente da uno di quei corsi che sfornavano automi dotati di astuzia politica, capacità organizzativa, faccia fotogenica, propensione alle domande stupide, buona comprensione delle realtà economiche e, in quel caso specifico, avversione verso chiunque si chiamasse Thorne.

«Sono domande a cui è necessario rispondere» ribatté Brigstocke. «Allora, può essersi trattato di un gioco sessuale, sì o no?»

Thorne trovava difficile credere che persone come Trevor Jesmond avessero mai fatto le cose che lui, Brigstocke o qualunque altro poliziotto avevano fatto almeno una volta nella vita. Non riusciva a immaginarselo mentre sedava una rissa, gonfiava un rimborso spese o si frapponeva tra un coltello e il corpo al quale era destinato.

Non se lo immaginava neppure nell’atto di dire a una madre che il suo unico figlio era stato sodomizzato e strangolato in una sudicia stanza d’hotel.

«Non si è trattato di un gioco» disse Thorne.

Brigstocke guardò Hendricks e Kitson, poi sospirò. «Presumo che le vostre espressioni di malcelato disprezzo significhino che siete d’accordo con l’ispettore Thorne. Dico bene?» Si aggiustò gli occhiali sul naso e si passò una mano tra i folti capelli neri che costituivano il suo più grande motivo di orgoglio. Il ciuffo era meno definito del solito e presentava qualche spruzzata di grigio. Nonostante il suo aspetto vagamente ridicolo, in realtà Brigstocke era uno degli uomini più duri con cui Thorne avesse mai lavorato.

Thorne, Brigstocke, Kitson, e il civile Hendricks. Loro quattro, più Holland e Stone, erano il nucleo della Squadra 3 dell’Unità per i Reati Gravi, divisione Ovest. Quello era il gruppo che prendeva le decisioni, definiva le linee d’azione e conduceva le indagini, con l’approvazione dei superiori e, a volte, anche senza.

La Squadra 3 era attiva da molto tempo e si occupava dei casi ordinari, ma soprattutto di quelli che non avevano nulla di ordinario e che costituivano la sua vera specialità.

«Allora» disse Brigstocke. «I nostri uomini sono tutti in giro a caccia di parenti maschi delle vittime di Remfry. Questa è ancora la pista preferita da tutti?»

Cenno d’assenso dei presenti.

«Comunque non significa che sia quella giusta» osservò Thorne. C’erano molte cose che non quadravano con l’idea della vendetta. Non riusciva a immaginarsi una rabbia covata per tanti anni, fino a diventare la furia letale che si era scatenata in quella stanza d’hotel. C’era qualcosa di teatrale in ciò che lui aveva visto su quel materasso. «L’assassino deve averlo messo in posa» aveva detto Hendricks.

E Thorne non riusciva ancora a spiegarsi bene quella telefonata alle tre del mattino. Non riusciva a credere che il messaggio sulla segreteria telefonica fosse una svista dell’assassino, perciò l’unica conclusione possibile era che lui voleva che la polizia sentisse la sua voce. Era come se si fosse presentato…

«Vale la pena verificare la fondatezza dell’ipotesi emersa durante il briefing, e cioè che Remfry fosse diventato frocio in prigione?» chiese Yvonne Kitson.

Thorne lanciò una rapida occhiata a Hendricks. Il patologo gay aveva deciso di ignorare il termine usato da Kitson, oppure non gliene fregava davvero nulla.

«Sì» rispose Thorne. «Qualunque cosa possa essergli successa mentre era dentro, prima era sicuramente eterosessuale. Non dimentichiamo che ha stuprato tre donne.»

«Lo stupro è una questione non di sesso, ma di esibizione di potere» puntualizzò Yvonne Kitson.

Yvonne Kitson, insieme con Andy Stone, era entrata in squadra per sostituire un collega che Thorne aveva perso in circostanze che cercava ogni giorno di dimenticare. Lo consolava soltanto il pensiero che il responsabile di quella morte stava scontando tre ergastoli nel carcere di Belmarsh.

Thorne fissò Hendricks. «Lasciando perdere Remfry, siamo sicuri che l’assassino sia gay?»

Hendricks non ebbe un attimo di esitazione. «Assolutamente no. Come ha detto Yvonne, lo stupro non ha nulla a che fare con il sesso. Forse lui vuole farci credere di essere gay. O forse lo è davvero. Ma noi dobbiamo comunque considerare altre possibilità.»

«Gay o non gay,» disse Yvonne Kitson «Remfry potrebbe essere stato messo in trappola da qualche ex compagno di galera, qualcuno animato da un forte rancore nei suoi confronti…»

Brigstocke si schiarì la voce. L’imbarazzo che gli provocava quella discussione era palpabile. «Ma l’inculata…»

«Inculata?» ripeté Hendricks, abbandonando l’accento di Manchester per assumere un tono da gentleman oltraggiato. «L’inculata!?»

Brigstocke arrossì. «La sodomia, allora. O il rapporto anale, se preferite. Com’è possibile fare una cosa del genere, se non si è omosessuali?»

Hendricks si strinse nelle spalle. «Chiudi gli occhi e pensi a Claudia Schiffer…»

«Io penserei a Kylie» disse Thorne.

Yvonne Kitson scosse la testa sorridendo. «Vecchio sporcaccione.»

Brigstocke non era convinto. Rivolse a Thorne uno sguardo duro. «Sii serio, Tom. Questo potrebbe essere importante. Tu, per esempio, ce la faresti davvero?»

«Dipenderebbe molto dalla mia determinazione a uccidere.»

Il silenzio scese nella stanza. Thorne decise di romperlo prima che diventasse troppo pesante. «Remfry è andato in quell’hotel di sua spontanea volontà. Ha prenotato la stanza di persona. Quindi sapeva, o pensava di sapere, in quale situazione si stava mettendo.»

«E qualunque cosa fosse,» aggiunse Hendricks «sembra che sia durata un bel po’.»

«Già» convenne Kitson. Sfogliò le fotocopie del referto dell’autopsia stilato da Hendricks. «Nessuna ferita da difesa, nessuna traccia di tessuti sotto le unghie…»

Il telefono sulla scrivania squillò. Thorne era il più vicino.

«Ispettore Thorne. Sì, Dave…»

Gli altri rimasero in attesa mentre Thorne ascoltava la voce all’altro capo del filo. Brigstocke sussurrò a Yvonne Kitson: «Perché cazzo Remfry sarà andato in quell’hotel?».

Thorne annuì. Grugnì, tolse con i denti il cappuccio a una penna, poi lo rimise a posto. Sorrise, disse a Holland di muovere il culo e chiuse la comunicazione.

Quindi rispose alla domanda di Brigstocke.

4 dicembre 1975

Erano seduti nella Maxi, davanti a casa. Lei aveva tenuto duro per tutta la mattina, durante i momenti peggiori: le domande personali, l’intrusione… Voi, quando il peggio sembrava essere passato, aveva iniziato a piangere, passando attraverso le porte che lui le teneva aperte, fuori dal commissariato di polizia, sugli scalini che portavano in strada erano risuonati i suoi passi e i suoi singhiozzi incontrollabili.