«Cosa pensi di fare?»
Holland si stava allontanando lungo il marciapiede. Pensava al vicolo che correva lungo una casa, a poca distanza da lì. «Non lo so ancora.»
Vedeva un viso attraverso un casco da moto. Il viso di un assassino, che sorrideva dicendo una verità che nascondeva una menzogna.
Anch’io ho una BMW…
Sorrideva, sì, perché la BMW produce motociclette, oltre che auto…
CAPITOLO 32
«Perché non fate marcia indietro adesso, finché potete?» disse Thorne. «Passerete il resto della vita in galera. Non potrete vedervi mai più.»
Jameson non sembrava preoccupato. «Non agitarti troppo. Chiunque fosse la persona che ha suonato il campanello, ora se n’è andata.»
Thorne voltò la testa, rivolgendosi a Eve. «Un sacco di gente sa che tu dovevi venire da me, stasera. Ci saranno fibre, cellule cutanee dappertutto. Nel letto…»
«Ma certo» disse Eve. «Io sono la tua ragazza, no? Infatti sarò io a chiamare la polizia.»
Thorne rimase senza parole, rendendosi conto che la donna aveva ragione. Jameson se ne sarebbe andato, dopo aver scassinato la porta che la sorella aveva lasciato aperta per lui in modo da simulare l’intrusione di un estraneo.
Poi lei avrebbe composto il 999.
Thorne sapeva che Eve avrebbe interpretato perfettamente la parte della testimone traumatizzata e della fidanzata in lacrime.
Sapeva per esperienza quanto fosse in gamba.
Vedeva già con gli occhi della mente i suoi colleghi poliziotti innamorarsi di lei, mentre raccoglievano la sua deposizione.
L’idea che quei due non avrebbero pagato per la sua morte causò a Thorne un moto di rabbia. Gli fece nascere dentro una feroce determinazione a non sprecare neppure un secondo di tempo.
«Dimmi del fulmine, Eve.»
Lei non disse nulla, ma Jameson abboccò. «Franklin doveva pagare. Era una cosa decisa da molto tempo. Solo che ci ho messo un po’ prima di sistemarlo.»
Si era spostato tra Thorne e la porta, mentre Eve era di nuovo accanto al letto. Probabilmente il ragazzo aveva ancora in mano il cappuccio e la corda. Thorne pensò che Roger Noble era stato fortunato. Se non fosse già morto, quasi certamente Jameson avrebbe sistemato anche lui.
«E perché non vi siete fermati lì?» chiese Thorne.
«È stato quello che abbiamo fatto» rispose Eve. «Abbiamo continuato a vivere la vita che ci eravamo ricostruiti, finché, una sera in cui avevo ballato troppo a una festa, un pezzo di merda ha capito che “no” significava “sì” e mi ha seguita a casa.»
A faccia in giù sulla moquette, Thorne immaginò l’espressione sul viso di Eve. L’aveva già vista la sera in cui avevano attraversato i London Fields insieme, quando lui le aveva parlato del caso e lei aveva detto: «Questo tizio lavora per abbassare il tasso di recidività».
«Sarebbe stupido chiederti se hai denunciato l’aggressore alla polizia.»
Gli stivali neri di Jameson entrarono nel suo campo visivo. «Sarebbe proprio stupido. Ce ne siamo occupati personalmente.»
Thorne ricordò l’altro caso che Holland e Stone avevano trovato negli schedari del CRIMINT. Un uomo violentato e strangolato, rinvenuto nel bagagliaio di un’auto. Il cappio era stato tolto, ma ora Thorne non aveva dubbi che si trattasse di una corda da bucato.
Aveva risolto un altro omicidio, nei pochi minuti che lo separavano dal proprio.
«Il che ci riporta tutti quanti al presente» disse Jameson.
“Cioè a me” pensò Thorne. Lui era l’ultimo di una serie di uomini uccisi, collegati tra loro dal laccio più resistente e strano di tutti: quello della famiglia.
«Uccidi l’uomo che secondo te era colpevole della morte dei tuoi genitori. Uccidi l’uomo che cerca di violentare tua sorella. E cominci a prenderci gusto…»
«Non provo gusto a uccidere.»
«Mi correggo: cominci a prendere gusto a un’idea perversa di giustizia riparatrice.»
«Ma senti un po’…»
«Allora dimmi che farlo non ti piace.»
La voce di Eve, appena più forte di un sussurro, li interruppe. «Facciamola finita. Subito.»
Thorne la sentì, avvicinarsi. In quel momento, Jameson sollevò uno stivale e gli montò a cavalcioni sulla schiena. Thorne sapeva cosa sarebbe successo, ma non intendeva subirlo. Reagì d’istinto, distendendo le ginocchia e allungando le gambe così da finire con il ventre a terra. Due paia di mani lo afferrarono, cercando di rimetterlo in una posizione accessibile…
La parte superiore del corpo di Thorne era talmente indolenzita da essere poco più che un peso morto. La parte inferiore, però, riusciva ancora a scalciare selvaggiamente.
«Piantala!» esclamò Jameson.
Thorne urlò. Ormai la paura era molto superiore alla rabbia. La sua voce suonò stridula e debole e fu subito messa a tacere da un rumore assordante e da un gemito, mentre il pugno guantato di Jameson gli si abbatteva più volte contro un lato della testa. Alla fine, Thorne non poté fare altro che lasciarsi andare e aspettare che tutto cessasse.
Passarono diversi secondi, in cui Thorne, pur avendo perso la cognizione di dove si trovavano i suoi aguzzini, avvertì un movimento di mani e piedi e una pressione… Quando il rumore assordante nella sua testa si fu un po’ placato, sentì la voce di Eve che diceva: «Tienilo fermo».
Si rese conto di aver iniziato a piangere e ringraziò il cielo di non aver perso il controllo della vescica o degli sfinteri. Sollevò di un paio di centimetri la testa dal pavimento. Le lacrime gli scivolarono pungenti sulla ferita. «Un’ultima cosa» disse, rivolto a Jameson. «Mi violenterai prima o dopo avermi ucciso? È una cosa che non siamo riusciti a stabilire per gli altri omicidi.»
Jameson era seduto a cavalcioni sulla sua schiena. Si chinò per parlargli all’orecchio. «Din don. Risposta sbagliata, ispettore Thorne. Io non ho mai violentato nessuno.»
Thorne sentì una mano che gli sollevava la testa, tirandolo per i capelli, ma dimenticò immediatamente il dolore al collo e alle spalle, appena vide quello che Eve teneva in mano. La riproduzione di un organo maschile, grosso e nero. Uno strumento creato solo per il piacere di chi gode nel fare del male.
Un’arma, pura e semplice.
«Non dobbiamo preoccuparci del preservativo, stavolta» disse Eve.
Thorne pensò alle tracce trovate durante la prima autopsia. La naturale deduzione che la vittima fosse stata penetrata da un organo di carne e sangue, che lo stupratore fosse stato un uomo e che indossasse un preservativo…
In circostanze diverse, Thorne forse avrebbe riso. Ma sapeva bene che cosa gli avrebbe fatto l’oggetto che Eve teneva in mano, una volta che lei gliel’avesse spinto dentro.
«Per rispondere alla tua domanda, comunque,» disse Jameson «abbiamo scoperto che fare entrambe le cose nello stesso tempo dà ottimi risultati.»
Holland pensò di aver udito un grido, mentre si lasciava cadere sul pavimento della cucina. Rimase in ascolto.
Nel soggiorno lo stereo era acceso. La solita merda country. Holland udì una serie di tonfi sordi, poi di nuovo il silenzio.
Attraversò rapidamente la cucina ed entrò nel soggiorno, furtivo come il ladro che era passato da quella stessa finestra alcune settimane prima. Sul tavolo in fondo alla stanza vide la spia rossa del telefono staccato e non ebbe bisogno di avvicinarsi al cellulare, posato lì accanto, per sapere che era spento.
La canzone finì e, nella breve pausa prima dell’inizio della successiva, Holland udì un mormorio provenire dalla camera da letto. Non riusciva a distinguere le parole, ma oltre alla voce dell’uomo e della donna riconobbe quella di Thorne e si sentì improvvisamente sollevato.