Non c’era tempo da perdere, comunque. Holland sapeva di dover agire in fretta e non aveva idea di cosa lo aspettasse al di là della porta. Mentre si guardava intorno alla ricerca di un oggetto da usare come arma, il suo pensiero andò a Sophie.
Thorne sentì una fitta di dolore al collo e alle spalle, mentre Jameson spostava il peso su di lui. Vide una mano passargli davanti al viso, una mano con una corda da bucato avvolta intorno alle dita.
«È strano come funziona la mente di un uomo» commentò il ragazzo. «Anche alla fine, ormai vicini alla morte, avevano tutti più paura di ciò che accadeva dietro di loro che del cappio.»
Thorne sentì la mano di Eve premergli sulla parte finale della schiena e si irrigidì avvertendo il tocco freddo della plastica.
«Su quella scala da uno a dieci…» disse lei «quanto ne hai voglia?»
Thorne strinse i denti, cercando di spingere in basso il bacino e appiattirlo contro il pavimento, ma il movimento era ostacolato dai cuscini che i due gli avevano piazzato sotto la pancia.
Jameson afferrò i capelli di Thorne, sollevandogli la testa. «Ti do un consiglio, poi tu fai pure come credi» disse, mentre Thorne scuoteva la testa. «Sarà meglio che non lotti contro il cappio, quando ce l’avrai intorno al collo.»
Thorne fece appello a ogni sua forza residua per riabbassare la testa e premere il collo contro il pavimento.
Sentì uno strattone ai capelli che per poco non lo scotennò e, contemporaneamente, la punta del vibratore che premeva tra le sue natiche. Continuò a tenere la testa abbassata, sapendo che se Jameson fosse riuscito a infilargli il cappio e il cappuccio tutto sarebbe finito molto presto.
«Fa’ come ti pare» disse Jameson. «Voglio solo dirti che, se mi lasci fare, perderai conoscenza molto prima che lei abbia finito…»
Thorne urlò e Jameson smise di tirare e gli sbatté la testa contro il pavimento. Thorne rimase immobile per alcuni secondi, stordito, e Jameson gli fece scivolare il cappuccio sopra la testa.
Thorne riprese a lottare, ma ormai sentiva dentro di sé una strana calma, che aumentò mentre il cappio cominciava a stringere. Sentì la paura nel petto sciogliersi in nulla. Vide volti passare come lampi di luce. E si trovò a galleggiare in uno spazio nero, buio come la morte.
Il rumore della porta sfondata e le grida furono effetti sonori lontani, come un’eco. Ma si fecero assordanti non appena la pressione intorno al collo si allentò…
Thorne inspirò e si impennò con forza, grugnendo e sbattendo la testa all’indietro contro qualcosa che cedette. Il peso che aveva addosso cadde o fu sbalzato via e lui si gettò in avanti, rotolando sulla schiena. Sollevò le mani legate e cominciò a lottare per togliersi il cappuccio con le dita intorpidite e insensibili.
Ci fu un grido, un rumore secco e il cigolio penetrante delle rotelle quando il letto si spostò…
Thorne alzò lo sguardo verso il soffitto, circondato da grugniti di sforzo e dolore e dal tonfo di corpi che sbattevano contro qualcosa di solido. Voltandosi di lato, vide Jameson e Holland avvinghiati contro l’armadio. L’anta si aprì lentamente e nello specchio interno Thorne vide il riflesso di Eve che veniva verso di lui.
Poi il riflesso divenne una realtà in carne e ossa…
Brandendo il coltello, Eve gli si avventò contro, o inciampò, o cadde. Thorne cercò di schivarla e contemporaneamente le assestò un calcio. Quando lei aprì la bocca in una smorfia di dolore, o di odio, il piede di Thorne fu pronto a colpirla con violenza sotto la mascella. Uno schizzo di sangue li raggiunse entrambi ed Eve si accasciò sul pavimento, come un pezzo di carne flaccida.
Thorne si alzò in piedi, traballando, e si diresse verso l’armadio. Holland si stava risollevando, pallido e ansimante. Jameson era a terra e gemeva, con un braccio piegato in modo innaturale dietro la schiena e l’altro teso verso un coltello che non avrebbe mai raggiunto. Sollevò gli occhi con un’espressione impossibile da decifrare, nello scempio che la testata di Thorne aveva prodotto sul suo viso.
Da sotto l’armadio sporgeva il collo di una bottiglia di vino. Thorne l’avvicinò con il piede, mentre Holland cominciava a liberargli i polsi dalla cintura.
«È stato l’unico oggetto contundente che sono riuscito a trovare» disse Holland, ansimando. «Credo che la botta che gli ho dato gli abbia fratturato il braccio…»
Con le mani libere, Thorne si voltò e si diresse verso Eve. Lei stringeva ancora il coltello, ma sembrò notare appena la mano di Thorne che glielo tolse. Era occupata a cercare la metà mancante della sua lingua sulla moquette insanguinata. Se l’era mozzata proprio come suo padre, quando si era impiccato a quella ringhiera, tanti anni prima…
Thorne si accasciò sul pavimento, appoggiando la schiena contro il letto. Il dolore cominciava a farsi pulsante. Nella testa, nelle braccia, dappertutto.
Nell’altra stanza, George Jones continuava a cantare, come se nulla fosse successo.
Thorne fissò la sua immagine nello specchio dell’armadio. Nudo e insanguinato sembrava un selvaggio.
«Ho telefonato a Hendricks» riferì Holland. «Stanno arrivando i rinforzi.»
«Bene» disse Thorne. «Ottimo lavoro, Dave. Ma ora passami le mie mutande, per favore.»
Parte Quarta
IL REGNO DOVE NESSUNO MUORE
CAPITOLO 33
Yvonne Kitson lo raggiunse sul cellulare, mentre lui era diretto a St Albans.
«Tom, come stai?»
«Bene, e tu?»
«Anch’io. Senti…»
Thorne sapeva che Yvonne non stava affatto bene. Il marito le aveva portato via i figli, dopo aver scoperto la sua storia con un funzionario di polizia. Era stato lui a telefonare ai superiori di Yvonne, riferendo che cosa la moglie stava facendo e con chi. E ora la carriera di Yvonne era sul punto di crollare proprio come la sua famiglia.
«Pensavo che avresti voluto saperlo subito» disse lei. «È stata già fissata una data provvisoria per il processo.»
Erano passate sei settimane dall’arresto di Eve Bloom e Ben Jameson. Da quando Thorne era stato portato fuori dal proprio appartamento, pallido e con una coperta sulle spalle, come tante vittime che aveva visto in passato, e si era fatto strada a fatica tra auto della polizia e ambulanze.
Ora avrebbero dovuto riordinare e riesaminare tutto il materiale relativo al caso senza perdere tempo, essendo stata fissata la data del processo. Bisognava presentare la documentazione al procuratore della Corona e preparare i testimoni. Tutti i particolari dovevano essere sistemati con cura, in modo che gli avvocati potessero usarli in tribunale per ottenere una condanna.
A Thorne naturalmente la parte peggiore e meno interessante del lavoro era stata risparmiata.
Il suo momento sarebbe venuto dopo, sul banco dei testimoni.
Ma lui non smetteva mai di pensarci…
In netto contrasto con il suo atteggiamento nella vita reale, Eve Bloom si era dimostrata incredibilmente sincera negli “Incontri per una giustizia riparatrice” che Thorne teneva ogni giorno con lei nella propria mente. Eve non aveva mai provato per lui il minimo interesse sessuale. Altrimenti, sarebbe potuta benissimo andare a letto con lui nel proprio appartamento. Ma fare a Thorne ciò che lei e il fratello avevano progettato di fargli non sarebbe stato facile, con Denise tra i piedi.
L’unica ragione per cui Eve non era riuscita a portare Thorne là dove avevano deciso di ucciderlo, e cioè nell’appartamento di lui, prima di quella sera fatale era stata il furto di un tossico diciassettenne, il quale senza volerlo gli aveva salvato la vita.
Ma c’era anche un’altra ragione, in realtà…
Thorne l’aveva definita pigrizia. La paura di andare oltre, la riluttanza a proseguire una relazione. Avrebbe potuto essere qualcos’altro? Un indefinibile istinto di conservazione, per esempio? Di qualunque cosa si trattasse, Thorne l’apprezzava. E sperava di riconoscerla un domani, se ne avesse avuto bisogno di nuovo.