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Dopo la telefonata di Yvonne Kitson, Thorne alzò il volume di Nixon. Aveva dato ai Lambchop una seconda possibilità ed era contento di averlo fatto. Il loro sound, ricco ed essenziale allo stesso tempo, era ipnotico. Ascoltando gli strani sussurri del cantante, Thorne pensò al processo. Pensò a ferite aperte e a cicatrici chiuse, ad altre persone la cui vita sarebbe stata rovinata, forse per sempre.

Sheila Franklin, Irene Noble, Peter Foley…

Denise Hollins, che aveva convissuto con due assassini, dividendo il letto con uno di loro. Thorne era rimasto in contatto con lei, ma le loro conversazioni non erano mai facili. Denise non aveva neppure cominciato a rimettere insieme i pezzi della sua vita.

Dave Holland, padre da tre giorni… Thorne era certo che Dave avrebbe fatto di tutto perché la storia della sua famiglia fosse il più semplice possibile.

Mentre si avvicinava l’uscita dell’autostrada, Thorne cercò di concentrarsi sugli elementi più terra terra dell’udienza in tribunale e, mentre metteva la freccia, pensò che forse era giunto il momento di radersi la barba che si era lasciato crescere per nascondere la cicatrice e di mandare in tintoria il suo abito. Ah, avrebbe fatto bene anche a ricordare a Phil Hendricks di togliersi tutti gli orecchini, prima di rendere testimonianza.

Il padre di Thorne aveva sparso sul tavolo i pezzi di tre radio diverse. Di tanto in tanto ne buttava giù uno, imprecando. Poi guardava il figlio seduto sul divano e sorrideva come un bambino colto in flagrante.

Thorne stava guardando una foto del padre di trent’anni prima. La maggior parte dei vecchi album erano ingialliti e rovinati. Dalla morte della madre, non erano mai stati tirati fuori dalla credenza. Era lei la fotografa, quella che ricordava sempre di portarsi dietro l’Instamatic, che comprava gli album da Boots e passava le serate incollando le foto…

Thorne spostò lo sguardo dalla foto all’uomo in carne e ossa, dal giovane al vecchio. Notò, come faceva sempre, i capelli che, come i suoi, erano più grìgi su un lato della testa che sull’altro.

«Ti andrebbe un tè?» disse suo padre.

Thorne capì il messaggio. «Vado a preparartelo tra un minuto.»

Voltò una pagina ingiallita e fissò la foto di una giovane coppia, con le mani sulle spalle di un bambino di sei o sette anni. Erano seduti al sole, in un mare verde di felci.

Thorne sorrise vedendo la lattina di birra nella mano del padre e l’espressione della madre, che doveva aver chiesto a un passante il favore di scattare quella foto. Poi fissò il bambino, che sorrideva felice al fotografo. Gli occhi castani tondi e brillanti, il viso ancora privo di ombre.

Molto prima che qualcuno morisse.

Ringraziamenti

Desidero ringraziare coloro che mi hanno aiutato a portare a termine il libro.

L’ispettore capo Neil Hibberd dell’Unità per i Reati Gravi (ancora una volta), per la sua intuizione, per aver combattuto e vinto la voglia di addormentarsi e per i suoi consigli, come al solito preziosi.

Victoria Jones, per aver risposto a migliaia di domande stupide e, ironia della sorte, per aver aperto la porta giusta.

Il direttore, lo staff e i detenuti del carcere di Birmingham.

Sarah Kennedy, per le parole gentili all’inizio, quando le immagini sono migliori.

Wendy Burns, soprintendente degli assistenti sociali (Ufficio Affidi) e Louise Spanner, responsabile dell’Assegnazione alle famiglie per i Servizi sociali dell’Essex.

E, naturalmente, Hilary Hale, Sarah Lutyens, Susannah Godman, Mike e Alice Gunn, Paul Thorne, Wendy Lee e Peter Cocks.

E mia moglie, Claire. Esigo ancora un resoconto dettagliato…

FINE