Выбрать главу

Avevamo parlato ancora per un po’. Mats era sempre meno coerente. Alla fine, gli avevo detto che lo avrei riaccompagnato nella sua camera. Non credo che ce l’avrebbe fatta da solo.

C’eravamo andati. Lui aveva sfiorato con la mano la porta che si era aperta, poi si era girato verso di me. — Vorrei poterti amare, Nicky.

Al momento, non era particolarmente attraente. In tutta onestà, non me l’ero sentata di dirgli che mi dispiaceva che fosse eterosessuale. Gli avevo detto di andare a letto. Aveva superato la soglia, barcollando. La porta si era chiusa. Mi ero guardato attorno finché non avevo scoperto la telecamera che copriva quella parte di corridoio. Inutile illudersi. Ci aveva ripresi.

Ero tornato nella mia parte della stazione. Una luce color ambra si era accesa accanto alla porta che dalle mie stanze portava in quelle di Gwarha. Significava che dalla sua parte era aperta. Un invito. Ero entrato.

Lui era disteso sul divano, nella stanza principale, e indossava il costume standard che un hwarhath maschio portava in casa. Un indumento a metà tra il kimono e l’accappatoio e il più sgargiante possibile. Non ricordo quale indossasse quella sera. Ne aveva molti, doni perlopiù delle parenti donne che lo adoravano. Diciamo che era di broccato color vino, risultato di molti riciclaggi, ma ai suoi tempi molto sgargiante. Nel disegno, dei mostri si contorcevano tra i fiori, e c’era un ricamo dorato sulle maniche e sul bordo.

Aveva sollevato lo sguardo quando ero entrato e aveva posato il piccolo computer piatto da lettura. — Come dite voi umani? Se non ti conoscessi bene, direi che ti sei ubriacato.

— Matsehar è venuto a trovarmi. Lui si è ubriacato. Io sono solo un po’ brillo. Credo di essermi fermato in tempo, ma Mats starà male come un piccolo animale domestico sulla Terra.

— Risolte le tue difficoltà con lui. — Era una domanda.

— Non credo che si nasconderà più dietro gli angoli quando mi vedrà, ma non ha alcun interesse sessuale per me. Nessuno.

— Bene. Non è mai facile per me stare a guardare quando sei in vena di guardarti in giro.

Mi ero seduto sul bordo del divano. — Sai, esistono vite peggiori di quella che vivo.

— Certamente — aveva detto Gwarha.

Gli avevo preso una mano e avevo accarezzato la peluria sul dorso, grigio acciaio e morbida come velluto, poi gliel’avevo girata e avevo baciato il palmo scuro e privo di peli.

Dal diario di Sanders Nicholas,

addetto alle informazioni presso lo staff

del Primo Difensore Ettin Gwarha

CODIFICATO PER LA NON VISIONE

10

Rientrò una sera e sentì odore di caffè mentre la porta si apriva.

— Nicholas? — chiamò, entrando.

La stanza era al buio fatta eccezione per una lampada accesa in fondo al divano. Nick era lì, i piedi su un tavolo, come al solito. (Il legno mandava più che mai riflessi di madreperla.) Aveva una tazza in mano. Davanti a lui, la parete era scomparsa e uno scuro pendio scendeva fino alla baia piena di luci lampeggianti.

Anna riconobbe il ritmo staccato e i colori: arancione e azzurro pallido. Era il suo messaggio in lec. Pericolo. Strano amico. Pericolo.

— Che diavolo? — domandò.

— È l’equivalente hwarhath di vacanze fotografiche. Ne fanno ogni volta che atterrano su un pianeta. Sapevo che doveva essercene del suo posto. Come lo chiamavate?

— Reed 1935-C.

— Pensavo che le sarebbe piaciuto vedere la registrazione.

L’immagine si confuse: collina nera e baia luminescente. Anna disse qualcosa, che cosa, lei stessa non lo sapeva; ma le doleva la gola e aveva difficoltà a parlare. Un momento dopo, sentì le braccia di Nicholas attorno a lei.

— Non volevo farle del male, Anna.

Il corpo di Nicholas era angoloso e tutto muscoli. Il suo vestiario emanava un aroma acuto che lei non riconobbe. Sapone alieno?

— Si sieda. — Nicholas la guidò verso il divano e un momento dopo se ne era andato. Anna si asciugò gli occhi. La luce del soffitto s’accese. Il paesaggio davanti a lei era svanito. — Torno subito — gridò lui.

Ritornò con un’altra tazza. — Ci ho messo un po’ di brandy. Il generale è riuscito a procurarsene un buon quantitativo di bevibile su Reed-quello-che-è. Ora, cos’è accaduto? Come ha fatto a finirci dentro?

— Ci hanno sbattuti fuori. Non solo me. Tutti. E non hanno permesso che ci tornasse nessuno. Il pianeta è vulnerabile, adesso. I hwarhath possono trovarlo.

Lui annuì. — Ci sono momenti in cui mi vergogno della mia specie. Perché hanno usato quel pianeta per i negoziati? Avrebbero potuto sicuramente trovare un altro mondo sul quale non ci fosse nulla che valesse la pena di studiare.

— Non lo so. — Anna bevve il caffè.

— Be’, hanno perso il pianeta, a meno che i negoziati di adesso funzionino. È questo che intendeva quando ha detto che la sua carriera era rovinata?

Lei annuì. — Il mio campo è l’intelligenza non umana. Che cosa mi rimane se non posso avere gli pseudosifonofori? Posso arrabattarmi studiando animali su altri pianeti, animali che non hanno nemmeno l’intelligenza di un delfino. Sempre ammesso che riesca ad avere una sovvenzione. Ha messo brandy nel caffè o caffè nel brandy?

— Vuole che modifichi le proporzioni?

— Penso che un altro po’ di caffè andrebbe bene.

Nicholas andò e tornò con la tazza, poi disse: — Le dispiace se spengo la luce in alto? Il Popolo ama un ambiente relativamente in ombra quando si rilassa, e io immagino di esserne stato condizionato. Troppa luce mi fa pensare che devo andare al lavoro.

— Okay.

La luce si spense e la stanza si oscurò nuovamente. Come prima, rimase accesa la lampada in fondo al divano. Nicholas andò a sedersi al suo posto di prima, accanto alla lampada, e prese la tazza. Anna colse il brillio di metallo al suo polso, il braccialetto che aveva avuto l’ultima volta che si erano parlati. — Dunque, il generale le ha fatto un favore quando ha chiesto agli umani di mandare lei. Eccola qui, in mezzo a un sacco di intelligenza aliena.

— Non è come mi aspettavo. Trascorro il mio tempo ad ascoltare Eh Matsehar che parla di Macbeth e Hai Atala Vaihar che parla di Moby Dick.

— Le cose cambieranno — disse Nicholas. — Vaihar ha scovato una copia di Huckleberry Finn. Era nei file che abbiamo portato via dalla vostra stazione. Ha già cominciato a farmi delle domande sul libro. Gli ho detto di parlarne con lei. Ho letto le sue note di ricerca. Erano anch’esse nei file della stazione. Non penso che i suoi animali siano intelligenti.

— Perché no?

Nicholas rimase per un momento in silenzio. — Per molte ragioni. Vuole che ne parli? Non voglio però vederla di nuovo in lacrime, Anna.

— Non piangerò.

— Okay.

Lui le spiegò le sue ragioni. Si trattava in gran parte delle stesse obiezioni che Anna aveva sentito dai colleghi di Reed 1935-C. Gli pseudosifonofori non avevano una cultura materiale. Il loro linguaggio non era un vero linguaggio. Non aveva una grammatica: mancando di una grammatica, gli alieni non avrebbero potuto parlare in sequenza e con conseguenza.

Disse Nick: — Secondo me, l’intelligenza ha qualcosa a che fare con il gruppo e la relazione e forse con la causa-effetto.

— Non vedo alcuna ragione per cui avrebbero bisogno di sviluppare un linguaggio. Noi usiamo la lingua per codificare le esperienze, per metterle sotto una forma che altre persone possano comprendere. Una volta fatto, possiamo dividere ciò che conosciamo. Ecco come insegniamo e come impariamo. Ma se uno dei suoi individui vuole imparare qualcosa, non deve far altro che mangiare un altro pseudosifonoforo. Per quel che posso capire dai suoi appunti, questo è il modo principale per trasmettere informazioni. Funziona, non c’è dubbio, e significa che non hanno bisogno di complicati modi di comunicazione.