— Possiamo riparlarne domani.
— Non sta a te decidere.
— Sì, Primo Difensore.
Mi ha guardato. Le sue pupille erano più strette di prima anche se, dal momento in cui ho messo piede nella stanza, non l’ho visto bere. — Come puoi sopportarlo? Perché non ti sei infuriato?
— Non voglio parlarne.
— Allora va’.
— Sarà meglio che tu vada a letto, a meno che non preferisca passare la notte accanto al dispositivo di eliminazione prodotti organici.
— Non credo che vomiterò. Non sono sbronzo abbastanza.
— Buon per te.
Per un momento ho pensato che si sarebbe intestardito o che avrebbe fatto valere il suo grado su di me. Poi ha fatto la tossettina gutturale che indicava divertimento. — Non ho più voglia di discutere. Non con te. Non di questo. Buona notte. — Si è ritirato con passo quasi fermo nella sua camera da letto.
Che si arrangiasse da solo, ho pensato, guardandomi attorno. Avrei dovuto lasciare ogni cosa com’era: pozze di halin sui tavoli, la lunga macchia sulla parete e le macchie appiccicose sulla moquette. Lasciare che Gwarha si svegliasse l’indomani e vedesse che razza di porco fosse.
Ma l’ordine è la maledizione della mia famiglia, e non me la sentivo di lasciare una stanza in quelle condizioni. Perciò ho ripulito, lasciando coppe e boccali ammonticchiati in cucina, tutti lavati, perfino i pezzi della coppa che aveva rotto. Poi sono andato a dargli un’occhiata. Dormiva, producendo quel suono che sempre produce quando va a letto ubriaco.
Che serata. Mi sono riempito un bicchiere di vino e mi sono seduto in soggiorno, davanti alla parete lavata. Il sistema di circolazione dell’aria era in funzione. Gli odori stavano svanendo. Sono rimasto in ascolto del rumore del ventilatore e ho pensato a tli.
Ho visto almeno un animale ogni volta che sono stato sul pianeta natio, di solito nella campagna, al tramonto o di mattina presto, che scavava nei rifiuti, che annusava in un giardino, che cercava qualcosa da mangiare: piccola cosa rotonda e pelosa, a metà tra un topo e un opossum come dimensione. Il muso è appuntito, le orecchie sono larghe, la coda è lunga, stretta e prensile.
Una volta ne ho visto un esemplare molto grosso che sgattaiolava via in un vicolo della città capitale hwarhath.
Vive dappertutto. Mangia tutto. Non c’è modo di liberarsene. Il Popolo lo guarda con esasperazione e rispetto.
Quando Gwarha mi ha regalato il braccialetto, mi ha detto che la giada era del colore dei miei occhi. Era l’unica ragione che l’aveva spinto a comprarlo, sebbene gli abbia domandato più volte perché il tli, che genere di tli.
Nei giochi animali dei bambini, che sono invariabilmente di carattere morale, il tli è un bugiardo e un ladro e un sobillatore. I suoi piani vanno sempre a monte e alla fine del gioco viene sempre punito.
I giochi animali per gli adulti sono osceni e deridono tutti i valori elementari della società hwarhath… perfino l’omosessualità, sebbene con una certa cautela. Nei giochi degli adulti, il tli è come Brer Rabbit: un piccolo furbacchione che sfotte gli animali grandi, che sono spacconi e ipocriti, non eroi.
Perciò, che cos’ero io? Il tli vero, che mangia spazzatura e vive sotto le case? Il codardo e il criminale dei giochi dei bambini? O Brer Rabbit? E c’è qualcuno di questi ruoli che a me piaccia in modo particolare?
Gwarha mi ha chiesto perché non mi ero infuriato. Perciò non posso permettermelo. Il tli non combatte, a meno che non si senta in trappola o non impazzisca per una qualche malattia.
Ho finito il vino e ho lavato il bicchiere, deponendolo poi accanto ai pezzi della coppa rotta di Gwarha. Poi sono tornato nei miei alloggi e sono andato a dormire.
Ho lasciato la porta aperta. Lui è venuto a metà del primo ikun. Ero seduto nella stanza principale davanti a una tazza di caffè. Gwarha indossava un vestito di un materiale ruvido e scuro. Tenuta da campagna. Odorava di pelo umido e non aveva un bell’aspetto.
— Guarda che cosa mi ha dato come dono il piccolo killer domestico di vermi.
Si è seduto e si è strofinato il viso, poi si è massaggiato la fronte e la zona attorno alle orecchie. — Fai lo spiritoso? — ha detto, in inglese. — Non è il caso.
— Vuoi sapere cos’è accaduto ieri sera o te lo ricordi?
Si è massaggiato il collo. — Ho avuto una discussione con Shen Walha.
— Bingo.
— Non farlo, Nicky.
— Che cosa?
— Non usare parole che non capisco. Lo sa solo la Divinità se questa mattina riesco a malapena a capire la lingua di Eh e di Ahara.
Sono passato alla sua lingua natia e ho descritto quello che avevo visto durante la sera.
Alla fine, lui ha detto: — Ricordo quasi tutto. Devo trovare un sostituto per Wally.
— Penso anch’io, sebbene la mia possa anche non essere una valutazione imparziale, e penso anche che tu debba trovargli un nuovo lavoro. È in gamba. Tu non vuoi che passi a un nemico, non vuoi punirlo per aver parlato onestamente.
— Non dirmi come deve essere un frontista.
— Sì, Primo Difensore.
— Gesù, che casino — ha detto, in inglese.
— Di che entità è questo fenomeno?
Mi ha guardato, senza capire.
— Quanti pensano e dicono che gli umani sono animali?
È rimasto silenzioso per qualche momento, poi ha risposto, con molta cautela. — Wally non è il solo. Penso che ce ne siano parecchi a pensarla così… più di quanti abbia mai saputo. Io sono l’Amante dell’Umano. Ci sono cose che non si dicono in mia presenza. I miei parenti maschi mi hanno riferito solo una parte, ma penso che avessero paura di dirmi tutto. Penso che le voci aumenteranno. Molti uomini credono che i negoziati falliranno. Che dovremo combattere gli umani, e che se gli umani non combattono come persone, dovremo macellarli.
Macellarli. Scannarli. Squartarli. Brutte parole, piene di violenza, non riferibili al modo in cui uomini trattano con altri uomini.
— Perché non mi hai detto niente di tutto questo?
— Non ho l’obbligo di dirti tutto.
— Ma è la mia specie, Ettin Gwarha. Se sono animali, sono animale anch’io.
È rimasto nuovamente silenzioso, lo sguardo fisso sulla moquette. Poi ha sollevato la testa. — A che cosa sarebbe servito? Tu ti saresti guardato attorno, avresti guardato i tuoi compagni ufficiali… gli uomini tra i quali vivi… e avresti fatto delle domande. Chi dice questo? Chi di voi pensa che io non sia una persona?
— Al diavolo.
È rimasto seduto, immerso in un cupo silenzio, poi si è alzato ed è ritornato nei suoi alloggi.
Mi sono versato un’altra tazza di caffè e l’ho bevuto lentamente, pensando all’ultima volta che sono stato sul pianeta natio hwarhath, dopo la disastrosa prima serie di negoziati con gli umani. A una mattina particolare. Ero nei giardini tra la grande casa di Ettin Per e il fiume, e respiravo l’aria fresca, con i piedi umidi di rugiada, ammirando le belle foglie delle piante ornamentali di Per e le piume variopinte dei suoi halpa. Per li alleva per le uova e la loro bellezza. Vanno dappertutto, calpestano tutto, troppo pesanti, troppo fiduciosi per volare. Ho svoltato nel sentiero e, dopo un cespuglio con foglie verdi e scarlatte, c’era un tli: rotondo e grasso con un pelo color ruggine e bianco, degli anelli sulla coda. Stava distruggendo un nido halpa. Pezzi di uova gli colavano dal muso e gli coprivano i piccoli artigli. Mi ha guardato e per qualche momento siamo rimasti tutti e due immobili. Poi lui è filato via e io sono rimasto a guardare le uova rotte.
Era decisamente arrivato il momento di un altro viaggio a casa. Il momento di essere all’aria aperta, lontano dalle lotte di potere senza fine sul perimetro.