Nick si strinse nelle spalle.
Arrivarono a una porta che si aprì. Entrarono in una piccola stanza quadrata con soltanto la moquette. I soldati rimasero nel corridoio. La porta si chiuse e Nicholas si guardò attorno. — Ci siamo — disse, in inglese.
Un’altra porta si aprì. Nick entrò per primo in una seconda stanza. Qui c’erano un tavolo, tre sedie, la solita moquette grigia e un arazzo: un fuoco circondato a distanza da un cerchio di spade.
C’era un alieno, in piedi, dietro il tavolo: Ettin Gwarha. Parlò a Nick in lingua hwarhath. Anna udiva quella voce da settimane: era profonda e morbida, soltanto un po’ ruvida, niente affatto spiacevole. Adesso era rauca e aspra. L’uomo era arrabbiato.
Nick rimase senza muoversi fino a quando Ettin Gwarha non ebbe finito, le mani sempre in tasca, la testa leggermente reclinata, in cortese ascolto. — Ha piazzato microfoni nella sua stanza, Anna. Non so come abbia convinto Gwa Hu a fare una cosa del genere.
— Lei non è una del Popolo — disse il generale, in inglese.
— Ho pensato di invitarla nelle mie stanze per parlare — disse Nick, la voce calma e piatta. — Pensavo di farla venire con una scusa. Ma ho deciso che le sue erano abbastanza sicure. Gwa Hu le aveva controllate.
— Non avrebbe avuto importanza il luogo in cui avessi deciso di perpetrare il tuo atto di tradimento — disse il generale. — Sarei venuto a saperlo.
— Anche le mie stanze hanno microfoni? Hai fatto questo?
— Sì.
— Per la Divinità, Gwarha, ne abbiamo parlato anni fa. Mi dicesti che avrei potuto avere tutta la privacy che avessi voluto. Mi desti la tua parola.
Il generale lo guardò con un’espressione che non aveva niente di amichevole. Nick sostenne lo sguardo per un secondo o due, poi abbassò il proprio.
Ettin Gwarha guardò Anna. — Quest’uomo… questo essere con l’animo da traditore… ci ha messi entrambi in una situazione antipatica. Signora Perez, non sono sicuro di come risolverla. Non posso permettere che lei passi l’informazione appena ottenuta agli altri umani.
— Uccidila — disse Nick. — Gli incidenti accadono. Hai già cominciato a infrangere le regole. Che cosa rimarrà quando avrai finito. Di te o del Popolo?
Il generale gli rispose in lingua aliena, brevemente e in modo aspro. Nick non disse nulla.
— Lei non ha niente da temere, signora Perez — disse poi, in inglese. — Non penserei mai di fare del male a una donna, e non ci sarebbe poi un modo che non creasse complicazioni.
Nick rise.
Il generale lo fulminò con lo sguardo. — Ti sei distrutto da solo, stupido stronzo, e quasi certamente hai distrutto anche me e qualsiasi altra possibilità che avevamo di ottenere la pace. Come ho potuto fidarmi di te?
Nick gli rispose in lingua hwarhath, rapido e arrabbiato. Si avvicinò al tavolo, togliendosi le mani dalle tasche e appoggiandole al tavolo.
— Taci — disse il generale, in inglese.
Dopodiché Nick si curvò sopra il tavolo. Accadde così in fretta che Anna quasi non ebbe modo di vedere il movimento. Un momento prima i due stavano urlandosi a vicenda, il tavolo in mezzo a loro, un momento dopo il generale era colpito duramente, con Nicholas che lo teneva sotto controllo. Ogni rumore era cessato. Si sentiva soltanto il respiro affannoso di Nicholas. Il generale giaceva immobile. La sua sedia si era rovesciata e giaceva accanto a lui.
Nick si raddrizzò e si tolse la giacca, poi prese un coltello che si trovava sul tavolo.
— Che cosa vuole fare?
— Legarlo. E consentirle di arrivare alla nave umana. — Nick tagliò a strisce la giacca. — Merda. La corda non sarà un granché. Accidenti a tutti i materiali sintetici.
— Posso fare qualcosa?
— Non mi viene in mente nulla. A meno che non abbia del nastro con sé.
— No.
Nick si accovacciò e infilò un pezzo di quella stoffa nella bocca del generale, poi rovesciò il corpo e legò le mani. — Questi legacci non resisteranno a lungo. Ricordo mia madre che diceva a mia sorella di non andare mai da nessuna parte senza almeno due spille di sicurezza. Pensavo sempre che si trattasse di uno di quei misteri femminili e non prestavo molta attenzione. Vorrei che ci fosse stato qualcosa di simile per gli uomini. "Non andare da nessuna parte senza un buon rotolo di nastro adesivo, figliolo.’’ — Legò i piedi di Ettin Gwarha, poi si alzò. — Non terranno. Aspetti ancora un momento. Devo dire qualcosa a qualcuno.
Toccò la superficie del tavolo del generale e parlò, prima a una persona, poi a un’altra. La sua voce aveva un’autorità che Anna non aveva mai sentito. Sollevò infine la testa. — Sta venendo Mats. La scorterà allo shuttle e lo shuttle la porterà alla nave umana. Non so cos’altro suggerirle per dopo. Dica al capitano che cosa sta accadendo. Non penso che sarà ansioso di fare una corsa. Dubito che voglia abbandonare il resto della squadra dei negoziati. Ma non riesco a pensare a niente di meglio. Ci vorrà del tempo, e questo significa che Gwarha non potrà impedire che l’informazione si diffonda, a meno che non voglia catturare la nave umana. Merda. Non so se sto migliorando o peggiorando la situazione.
— E lei che cosa farà?
— Rimarrò qui ad assicurarmi che Gwarha non si sciolga.
— Venga con me alla nave, Nick.
— Non sia ridicola. Non voglio mettermi nelle mani della Mi.
— Pensa che sarebbe peggio di quello che le accadrà qui?
— È vero che non mi piace rispondere alle domande, e il Popolo non me ne farà.
Una voce disse: — Sono qui, Nicky.
— Andiamo — disse Nicholas e si mosse verso la porta. — Non può vedere quello che è accaduto qui dentro e lei non gli dica nulla. Non voglio che si cacci nei pasticci.
Attese che Anna fosse alla porta, l’aprì e la spinse fuori, uscendo subito dietro di lei. La porta dell’ufficio del generale si chiuse.
Matsehar cercò di guardare alle loro spalle. — Che cos’è tutta questa fretta?
— Anna ha bisogno di vedere un dottore umano.
— Niente di serio, spero.
C’era qualcosa di surreale… era la parola giusta? …in quella situazione, e nella domanda educata di Matsehar. Che tipo a modo! Un po’ peloso, forse, e portato a pensare che non ci fosse nulla di sbagliato nella violenza; cionondimeno, uno in più a qualsiasi festa. Il suo inglese era così buono!
— No — rispose Anna. — Niente di serio. Ma devo andare.
— Naturalmente.
La porta del corridoio si aprì. I soldati se ne erano andati. Un problema di meno. Anna uscì per prima, Matsehar dietro di lei. Nick si fermò sulla soglia. Anna si voltò a guardare una sola volta, quando fu a metà corridoio. Lui era ancora lì, le mani in tasca, con un’espressione soltanto un po’ preoccupata.
Matsehar cominciò a parlarle della sua versione del Macbeth. Era quasi alla fine. Tutti i piani dell’ambiziosa madre e del figlio stavano fallendo. La madre era morta, avendo scelto l’opzione, e non in un modo decente, ma pazza per il senso di colpa.
Il suo sanguinario figliolo adesso era solo e lottava contro le conseguenze delle sue azioni. Era arrivato al punto della disperazione completa.
— Ascolti! — disse Matsehar.
Domani, e domani, e domani,
di questo lentissimo passo striseia giorno dopo giorno
fino all’ultima sillaba scritta nel libro del tempo;
e tutti i nostri ieri hanno illuminato agli sciocchi
il cammino verso la polvere della morte. Spegniti, spegniti, breve candela!
La vita è solo un’ombra che cammina, un povero attore
che tutto tronfio si dimena durante la sua ora sulla scena
e poi non se ne sa più nulla; è una storia raccontata
da un idiota, piena di clamori e di furia,
che non significa nulla.
"Che splendido linguaggio! Spero solo di poter tradurre quel passaggio bene come merita. Se c’è una cosa che voi umani sapete fare è scrivere." Fece una breve pausa. "E devo dire che mi piace Macbeth. Il suo coraggio è fuori discussione. Non cede mai, neppure quando è alla disperazione completa. Questo è quello che succede al popolo quando ignora un ordinario e decente comportamento. Macbeth e sua madre avrebbero dovuto intrattenere degnamente il vecchio re e mandarlo per la sua strada."