Poi lei ha parlato. — Primo Difensore?
— L’altro umano è con lei?
— No. Gli hanno detto di restare nella cabina dei passeggeri.
— Ha parlato con lui? È al corrente di ciò che accade?
Altro silenzio, tranne il crepitio del lavoro che la curvatura stava facendo.
— Signora, dirò allo shuttle di tornare indietro. Come atto di cortesia e nella speranza che si possa ancora avere la pace, non dica niente a Etienne Corbeau.
— Nick sta bene?
Lui ha fatto un gesto. Mi sono alzato e mi sono avvicinato. — Sto bene, Anna.
— Dovrei fare quello che chiede Ettin Gwarha?
— Non lo so.
Il generale ha emesso un altro sibilo di rabbia. Lo stilo era tra noi. Ho pensato di afferrarlo. Perché? Per ucciderlo? Mi sono messo le mani in tasca. Lui l’ha notato e ha sorriso: un breve luccichio di denti, non amichevole.
— Anna, faccia ciò che le sembra giusto. Ma si ricordi che Corbeau non è affidabile. Non credo che possa aiutarla.
Il generale ha detto: — Quando tornerà, voglio che parli con le mie zie. È possibile che siano capaci di trovare il modo di uscire da questa situazione.
— Questa è una buona idea — ho detto nell’intercom.
È seguito un altro silenzio da parte di Anna. La curvatura era sempre più al lavoro.
Il generale ha aggiunto: — Questa è una conversazione che dovrebbe avvenire ginocchio contro ginocchio.
E non per radio, con altre persone in ascolto. Ma non poteva dirlo.
— Nick? — ha fatto Anna.
— Spetta a lei decidere.
— Collaborerò — ha detto Anna.
Il generale ha parlato. — Dica a Corbeau che le donne di Ettin hanno chiesto un incontro, e che è per questo che lo shuttle torna indietro. Se chiede… qual è il termine che usate voi umani? …il motivo di tanta fretta, gli dica che non lo sa. Hai Atala Vaihar l’aspetterà per scortarla.
Lei ha risposto di sì.
Il generale ha parlato al pilota nella lingua di Eh e Ahara, poi ha spento l’intercom e ha detto: — Adesso, Nicholas, andremo a trovare le mie zie. Ho bisogno di dirti di non fare trucchi?
— Non ne faccio.
— Bene.
Abbiamo raggiunto in silenzio gli alloggi delle donne. Avevo superato la mia iniziale reazione, che era stata di panico. Adesso provavo la remota paura che si ha quando si sta per fare un esame medico che potrebbe avere spiacevoli conseguenze.
Ho avuto un incidente durante l’estate del mio primo anno di college e mi hanno fatto una trasfusione. Avevano stabilito che parte del sangue poteva essere stato contaminato e, per un anno, ho fatto dei test. Per gran parte del tempo, ero capace di credere che andasse tutto bene. Ero magico, destinato alle stelle, e niente sulla Terra avrebbe potuto fermarmi. Ma nei giorni in cui andavo a fare i prelievi di sangue e vedevo com’erano cauti i tecnici, provavo un senso di terrore. I risultati hanno detto che ero a posto. La malattia che stavano cercando non è mai apparsa.
Abbiamo superato le porte con l’emblema del focolare (i soldati di guardia hanno fatto il gesto di presentazione), poi abbiamo attraversato il pavimento nudo e lucido del corridoio d’ingresso. Gli arazzi mostravano gente a casa, intenta in vari tipi di lavoro agricolo.
Ce n’era uno in particolare: una donna che riparava un trattore. L’ho visto con la lucida intensità che la paura può a volte dare. Il trattore era rosso. La donna era grossa, solida e con un’espressione grave, il pelo pallido, e indossava una tunica d’un azzurro vivace.
Sembrava un’opera uscita dal primo Rinascimento, fatta dal Maestro di Manutenzione Impianti.
Siamo entrati nell’anticamera. Gwarha ha parlato all’aria e l’aria ha risposto. Abbiamo atteso. Una porta si è aperta. Lui ha fatto strada verso la stanza dove avevo parlato con le zie, l’ultima volta. Adesso, l’ologramma era spento. Al posto delle finestre che si aprivano sull’oceano, c’erano delle pareti vuote. La porta dalla quale siamo entrati era visibile: una piastra di legno nero come il carbone.
Sette sedie erano disposte in cerchio al centro della stanza. Le zie ne occupavano tre e indossavano vestiti color fuoco. Una quarta donna sedeva con loro, grossa e dall’aspetto desolato, con una peluria che era diventata bianca a causa dell’età. Il suo vestito era verde, con ricami azzurri, bianchi e argentei. Molto probabilmente si trattava di un disegno tradizionale con una qualche specie di nome elaborato. — Salendo sulle montagne giungiamo in vista delle alte vette coperte di ghiaccio. — Ho abbassato la testa.
— Solleva la testa — ha detto la vecchia. — Voglio guardarti negli occhi.
Ho incontrato il suo sguardo. Fissava intensamente. — Bianchi e verdi. Strani ma belli… come i rami nella neve. È per questo che ti sei innamorato di lui, Gwarha? Per gli occhi?
— Questa è mia nonna — ha detto il generale, con ritegno. — Non credo che tu l’abbia conosciuta.
Ma avevo sentito parlare di lei. Era la più dura delle sorelle. È stato ai suoi tempi che Ettin ha assunto un vero potere. A ottant’anni, si era ritirata in una casa nel lontano sud, dicendo che era stanca della gente. Per oltre vent’anni, si era dedicata a vari hobby: badare ad animali simili a uccelli e allevare animali simili a pesci, a comporre musica e a scrivere le sue memorie. La musica era di buon livello ma la impegnava meno: non male per un politico in pensione. Le memorie erano attese da tutti con paura. Non avevo la minima idea di cosa facesse lì.
— Siediti — ha detto la vecchia. — E tieni la testa alta. Non ho mai visto prima un umano, non di persona. È molto interessante.
Ho obbedito. Gwarha si è seduto di fronte a me, il più lontano possibile.
— Non hai risposto alla mia domanda, Gwarha.
Lui ha guardato la vecchia. — Non mi è facile ricordare perché mi sono innamorato di lui.
La vecchia ha aggrottato la fronte. — Non è ancora una risposta. Che fine hanno fatto le tue buone maniere?
— Madre — ha detto Per, cauta. — Gwarha ha detto che ha un problema. Forse dovremmo chiedergli di spiegare di che si tratta.
— Molto bene — ha ribattuto la vecchia.
Il generale mi ha guardato. — Sta’ attento a quello che dico. Se salto qualcosa di importante o espongo male parte di ciò che è avvenuto, interrompimi.
Ho annuito e lui ha raccontato l’accaduto. Era perfettamente controllato, rilassato ma non dimesso, la voce calma e regolare. Pur conoscendolo, facevo fatica a cogliere una qualche emozione. Quello era un ufficiale che faceva rapporto. Di tanto in tanto, mi guardava per vedere se avevo dei commenti da fare. Ogni volta, ho annuito: "Va’ avanti".
Quando ha finito, ha detto: — Non hai aperto bocca, Nicky. Vuoi aggiungere qualcosa?
— No. C’è un pezzo all’inizio della mia conversazione con Anna che hai saltato; dev’essere stato prima che il computer ti allertasse; e hai saltato un altro pezzo di quando eri svenuto.
— Niente di importante?
Ho scrollato le spalle.
— Lo prendo per un no. — Ha guardato le parenti. — Ho una registrazione di tutto. Ma è perlopiù in inglese.
Per ha detto: — Assicurati che Sai ne riceva una copia.
— Sì — ha risposto Ettin Gwarha.
L’intercom ha suonato. Ha risposto Aptsi. Vaihar. Era arrivato con Anna.
Per mi ha guardato. — Va’ a chiederle di avere pazienza. Dobbiamo sistemare questa cosa, prima. Dille che non deve avere alcuna paura. Non le sarà fatto alcun male. Lo prometto.
Ettin Petali ha detto: — Le donne di Ettin lo promettono.
Anna era nell’anticamera. Mi dimentico quasi sempre che Anna non è una donna molto grossa. Vengo indotto in errore da qualcosa che c’è in lei, che non sono del tutto sicuro di saper descrivere. Intensità? Forza di personalità? Solidità di carattere? Comunque sia, Anna di solito sembra occupare più spazio di quello che occupa in realtà.
Ma non in quel momento. Seduta su una delle ampie sedie basse hwarhath, sembrava piccola e spaventata.