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Dopo tre giorni, Anna ricevette le prime notizie ufficiose. Arrivarono da Katya, che se la intendeva con uno dei diplomatici: un uomo molto giovane che parlava troppo. Katya otteneva informazioni dal diplomatico… che si chiamava Etienne Corbeau… e le passava agli amici scelti, persone di cui si poteva stare tranquilli che avrebbero taciuto. Sarebbe stato un peccato se gli altri diplomatici l’avessero scoperto.

— Usano l’uomo come traduttore — spiegò Katya. — Il loro principale traduttore. Secondo Etienne, il primo giorno ha presentato il hwar più importante… una specie di generale… e poi ha detto: «Mi chiamo Nicholas. Non commettete l’errore di pensare che la mia lealtà sia in qualche modo divisa, e non pensate che ciò che dico abbia qualcosa a che fare con me. Quando parlo, parla il generale». O quello che è. A Etienne piace esagerare le storie. Quelli della Mi hanno mandato una sonda-messaggio fuori sistema. Vogliono sapere chi è questo tizio.

— Come vanno i colloqui? — domandò Anna. — Approdano a qualcosa?

Katya sorrise con dolcezza. Gran parte dei suoi antenati provenivano dall’Asia sudorientale; alcuni erano africani. Era piccola e scura e di ossatura minuta e la donna più bella che Anna avesse mai visto fuori da un ologramma. Era anche una botanica di prima classe; nessuno sapeva più di lei sul manto giallo simile a muschio del terreno.

— Etienne non lo dice. È un’informazione confidenziale; ma siamo d’accordo che mi passerà i pettegolezzi. È fluente, molto fluente, nella sua parlata hwar.

— L’uomo del mistero? — domandò Anna.

— Certamente. I traduttori dicono che usa almeno un’altra lingua… non spesso e non a lungo e solo quando parla con il generale. I nostri non sanno cosa sia. Stiamo registrando tutto, naturalmente, ma i traduttori dicono che non ne sanno abbastanza per decifrare l’altra lingua.

Anna non era certa che quelle notizie la interessassero. Non condivideva la passione di Katya per l’intrigo, una passione che Katya diceva di aver preso dallo studio delle piante. — Sono meravigliosamente complicate e tortuose, un’ispirazione costante per me. Quelle che non possono trasformarsi devono trovare modi più interessanti per sopravvivere.

Ma tutto ciò non aveva niente a che fare con l’uomo che diceva di chiamarsi Nicholas.

Il tempo cambiò; ebbero giorni e giorni di sole. L’estate indiana, l’avrebbero definita a casa. Il vento sparì. Di tanto in tanto, c’erano i cavalloni nell’oceano, ma non nella baia. Rosso e i suoi compagni nuotavano tranquillamente, non facendo quasi niente che gli strumenti potessero registrare. Risparmiavano energia, immaginò Anna. Non avrebbero mangiato finché non si fosse concluso il periodo degli accoppiamenti.

Non li raggiunse nessun altro alieno. E nessuno aveva qualche buona teoria sui motivi. Forse era il tempo. Anna sedeva nella cabina della barca e si metteva a leggere… i più recenti bollettini professionali arrivati per sonda-messaggio… o a scrivere lettere da inviare sulla Terra.

Le lettere erano tutte brevi, in parte a causa delle restrizioni della sicurezza… nessuno poteva dire niente dei negoziati… ma anche perché non aveva molto da dire. Come poteva spiegare qualcosa della sua vita a persone che vivevano in mezzo a nove miliardi di altri umani? Non sapevano niente di oscurità o di vuoto o di silenzio o di altre stranezze. Per loro, la realtà era l’umanità. Non esisteva nient’altro accanto a loro. I hwarhath erano leggenda e le creature che lei studiava erano incomprensibili. Anna aveva più cose in comune con i soldati, quelli almeno che erano lì con lei.

Una mattina, gonfiò una piccola zattera di gomma, vi attaccò un motore e si allontanò nella baia. Era una giornata d’autunno perfetta: chiara, calma e calda. In alto c’era la stella primaria del pianeta; Anna non aveva problemi a guardare dentro l’acqua limpida che si muoveva appena.

Inseguì Rosso, avvicinandosi lentamente, guardando su un sonar portatile. L’alieno non si muoveva. Quando gli arrivò vicino, fermò il motore e andò alla deriva per gli ultimi pochi metri. Eccolo lì, che galleggiava poco sotto la superficie.

La parte superiore dell’animale… la campana o l’ombrello… era larga tre metri e trasparente; e si increspava dolcemente. All’interno, appena visibili, c’erano i tubi d’alimentazione e cumuli di materiale neurologico. All’estremità inferiore della campana c’erano i tentacoli. Anna riuscì a notarne di tre varietà: quelli lunghi e consistenti che Rosso usava per nuotare; i tentacoli sensori, più corti e più sottili; e i tentacoli che producevano luce, poco più che monconi. Tutto ondeggiava gentilmente, al tempo con il movimento della campana.

Anna non riusciva a vedere il resto dell’animale: i viticci che pungevano, lunghi venti metri, e i viticci per l’accoppiamento, ancora più lunghi. Quelli erano attaccati sotto la campana.

Attorno a lei c’erano la baia azzurro cielo e le basse colline, coperte di vegetazione dorata. Vicino c’era l’animale, trasparente come vetro e pulsante come un cuore. Anna provò un tremendo senso di felicità e di benessere: era per quelle cose che viveva.

Dopo un po’, attaccò una bottiglia per i campioni a una corda e la calò nell’acqua… molto lentamente e con estrema cura. Rosso la notò. Dalla parte più vicina alla barca si allungarono dei tentacoli. Le bocche alle loro estremità si aprirono e inghiottirono l’acqua per saggiarla.

Una luce guizzò attorno alla campana. Interessante. Rosso si sarebbe servito di sostanze chimiche per parlare con un altro pseudosifonoforo. Ma doveva aver capito che lei non avrebbe colto un simile messaggio perciò provava il linguaggio notturno.

Rosso-rosso-blu, dissero le luci. (In realtà, il primo colore era un rosa intenso. Avevano anche pensato di chiamare l’animale Rosa, ma il nome non si addiceva. L’animale era troppo grosso e troppo pericoloso.)

Il primo messaggio percorse due volte il perimetro dell’animale. Poi fu seguito da un secondo messaggio: Arancione-arancione-arancione.

L’arancione era un colore preoccupante.

Io sono Rosso-rosso-blu, stava dicendo l’animale, e non mi piace quello che stai facendo.

Anna recuperò la bottiglia e l’animale si ritrasse, borbottando: un guizzo di luce priva di colore che girò attorno alla campana. Lei attese ancora un momento. Rosso si spense. Ora era meglio riaccendere il motore e allontanarsi a velocità minima, pensò Anna, ricordandosi dei lunghi viticci che pungevano… là sotto, nascosti, nell’acqua come una rete di seta.

4

Tre settimane dopo, cominciarono ad arrivare gli altri animali, nuotando attraverso la stretta entrata della baia. Adesso iniziava il vero lavoro. Anna cambiò i suoi orari. La maggior parte delle informazioni più importanti giungevano di notte, quando le creature galleggiavano in prossimità della superficie dell’acqua, lanciando messaggi avanti e indietro. A volte (e questo era un comportamento notato soltanto durante la stagione dell’accoppiamento) ripetevano tutti lo stesso messaggio, all’unisono o uno dopo l’altro, cosicché la baia era tutta una combinazione di luci.

Entravano nella baia solo gli animali relativamente grossi. Avevano viticci più o meno della stessa lunghezza e si tenevano a distanza di sicurezza l’uno dall’altro. Altri pseudosifonofori… ce n’erano a centinaia… galleggiavano nell’oceano al di là del canale d’entrata, attratti da qualcosa, più verosimilmente un feromone, ma riluttanti a entrare.