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«Aspetta qualche giorno.»

«Comunque, non sarà facile.»

«Lo so.»

«Si ritroverà in un mondo di dolore.»

«Quando verrà a sapere che cosa gli hanno fatto sua moglie e Harrison, può darsi che non rimanga sconvolto dalla loro morte», ragionò Bodie.

«Sarà un dolore diverso, ma sempre un dolore.»

«Non avrebbe dovuto affrontarlo se fosse rimasto in coma, ma è meglio così, no?»

«Sì.» Pen sorrise, e guardò Bodie. «Molto meglio così.» Gli strinse forte la mano. «Dovrò stargli vicino per un po’. Lui avrà bisogno di me.»

«Lo so.»

«Mi dispiace.»

«Si avvicina il periodo estivo. Verrò a trovarti ogni fine settimana, se vuoi.»

«Certo che voglio.»

«Non permettere a nessuno di cambiarti quelle fasciature. Sono mie.»

«Agli ordini, signore.»

«Sarà una bella estate.»

«Andremo alla spiaggia.»

«Andiamoci subito», suggerì Bodie.

Si fermarono all’angolo e aspettarono che il semaforo cambiasse.

Bodie si sentiva un po’ triste. Sapeva che fra pochi giorni avrebbe dovuto lasciare Pen e capiva che li aspettavano tempi duri… dolore e solitudine.

Ma per il momento erano insieme. Lei gli era vicina, una parte mancante di lui che era stata trovata e che non si sarebbe persa mai più.

Il semaforo cambiò.

Il traffico si fermò.

Bodie aspettò sul marciapiede tenendo la mano di Pen, guardò a destra e a sinistra per assicurarsi che non ci fossero pericoli. Poi si staccò dal marciapiede con Pen al suo fianco e attraversarono.

25

All’incrocio di Crescent Heights e Sunset Boulevard, Phil Danson si fermò al semaforo rosso. Guardò in entrambe le direzioni. Non c’erano auto in vista, perciò premette l’acceleratore della Jaguar e attraversò il Sunset a gran velocità.

Un piccolo rischio.

Tenendo il piede sull’acceleratore, spinse ancor più. La strada verso Laurel Canyon era ripida e serpeggiante. Imboccò rapidamente le curve sogghignando a un’auto che arrancava lentamente sulla strada. Le curve lo sballottavano da una parte all’altra perché non aveva la cintura di sicurezza.

Davanti a lui un semaforo rosso. Phil Danson tenne il piede sull’acceleratore mentre si avvicinava.

Non era un gran rischio. Erano le due del mattino, dopo tutto, perciò c’erano scarse probabilità che sbucasse una macchina e lo centrasse. Phil sperò di sentire un flusso di adrenalina mentre sfrecciava attraverso l’incrocio con il semaforo rosso. Non fu così.

Attraversò la linea centrale.

Oh sì, adesso sì.

Il cuore pulsava forte, lo stomaco serrato in una morsa.

«Perfetto!» ansimò.

Le mani sudate sul volante, accelerò sulla corsia che scendeva la collina.

«Urrà!»

Spense i fari. Veniva luce sufficiente dai lampioni per vedere la strada. Quasi. Era una strada fiancheggiata da scuri pendii, si snodava serpeggiando.

Sterzò a una curva e accese la radio. «Qui Radio KLFC che vi offre dolci melodie da mezzanotte all’alba.»

«Crepa!» Phil girò la manopola e trovò Bruce Springsteen. «Il Boss!» gridò e alzò il volume.

Un pallido chiarore strisciava nell’oscurità, più avanti. Con un grido soffocato, Phil sterzò. La Jaguar balzò a destra mentre i fari lo accecavano. Un clacson abbaiò. Una Mustang sfrecciò di fianco, vicinissima, ma senza toccare l’auto.

Phil scoppiò a ridere.

A Mulholland il semaforo era verde. Phil sfrecciò così rapidamente che i pneumatici si sollevarono dal fondo stradale quando la strada si inclinò dall’altra parte.

La via che scendeva era molto ampia e lui sapeva che era pattugliata. Accese i fari e rallentò fino al limite di velocità.

Finito il divertimento. Lui aveva un leggero capogiro e tremava ripensando alla fuga selvaggia e al mancato scontro con la Mustang.

Quando raggiunse l’incrocio con Ventura Boulevard spense la radio. Aspettò che il semaforo diventasse verde, svoltò a sinistra e proseguì verso l’Earl’s.

Svoltò nel viale, si fermò davanti alle doppie porte del garage e suonò il clacson.

Dopo qualche minuto una delle due porte si alzò. Earl, il mozzicone di sigaro piantato all’angolo della bocca, gli fece segno di entrare.

Phil avanzò. Dietro, la saracinesca del garage si abbassò. Lui spense il motore e scese.

Earl osservò la macchina attraverso la cortina di fumo grigio. «Sembrerebbe una bellezza», fu il suo commento.

«È una bellezza», replicò Phil. «Maneggevole come in sogno.»

Earl girò attorno alla macchina, soffiando fumo e annuendo. «Dovevi portarmela la settimana scorsa.»

«Non rompere, Earl.»

«Non rompo, solo che avevo detto a quel tale che gliel’avrei consegnata, mi spiego?»

«Be’, ora ce l’hai.»

«Ci vuole tempo, devo riverniciarla, cambiare i numeri di serie e il resto…»

«Ci vuole tempo», gli fece il verso Phil. «Anche a trovare una Jaguar nuova di zecca.»

«Credevo che ne avessi pronta una.»

«Infatti. L’avevo già, l’avevo fregata a Beverly Hills, ma pioveva a dirotto e un vecchio imbecille mi si è parato davanti, così ho dovuto investirlo. Centrato in pieno e credo che qualcuno mi abbia visto, perciò ho dovuto disfarmene. Capirai, non volevo farmi beccare. Ehi, ma questa è molto meglio, comunque. L’altra non aveva nemmeno i freni.»

FINE