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Hai davvero intenzione di dormire nuda?

Lo faccio sempre.

Adesso non è sempre. Vuoi farti trovare nuda, se ti salta addosso?

Se. Se.

Pen si sentiva a suo agio. Non voleva scendere dal letto. Ma si costrinse a mettersi seduta, accese la lampada sul comodino e posò i piedi sul pavimento.

Ecco una donna nuda allo specchio che camminava verso Pen. La sua faccia aveva un ghigno, le labbra tirate, i denti scoperti.

«Sì, ti conosco. È tutta colpa tua.»

Quello sporco bastardo non sa neppure che aspetto ho, pensò. Probabilmente ha scelto il mio nome a caso. Potrei essere una profuga, e lui continuerebbe a tormentarmi.

Sono una donna, a lui importa soltanto questo.

Un paio di seni e una vagina.

Voglio parlarti…

Pen fu scossa da un brivido.

Si chinò e aprì un cassetto. Tirò fuori un pigiama azzurro di seta, e lo indossò. La stoffa fredda scivolò sulla sua pelle come l’olio. Le aderì al corpo rivelando le forme.

Meglio questo che la camicia da notte, ragionò.

È molto meglio di niente.

Si sfregò le braccia sentendo la pelle d’oca attraverso la stoffa.

La donna allo specchio sogghignò, chiaramente disgustata dalla situazione.

Pen si levò il pigiama e lo rimise nel cassetto. Aprì il primo cassetto, vide che erano rimaste solo quattro paia di mutandine nuove e frugò in fondo finché trovò quelle vecchie. Erano rammendate, l’elastico non teneva. Perfetto.

Trovò un vecchio reggiseno e se lo mise. Poi un paio di jeans. I più stretti che aveva.

Se li infilò.

La donna allo specchio rovesciò gli occhi. Sei un pagliaccio.

Okay, sono un pagliaccio.

Indossò una vecchia felpa.

Le gambe strette nei jeans le impedivano di chinarsi come voleva, ma riuscì ugualmente a mettersi un paio di calzini. Poi si avvicinò all’armadio e tirò fuori un paio di stivali da cowboy. Li calzò. Erano appuntiti. Fantastici per tirar calci.

Si guardò e scosse la testa.

Grazie al cielo sono sola. Così soltanto io so che sono impazzita.

Vestita a quel modo, non poteva certo infilarsi sotto le lenzuola. Rifece il letto lasciando fuori il cuscino, poi spense la luce e si sdraiò. Sulla schiena.

Fantastico. Come schiacciare un sonnellino sul divano.

Qual è l’alternativa? Fingere che non sia successo niente? Non fermare la porta, non tendere la trappola sulla porta della camera da letto, non armarmi? Rannicchiarmi nuda e tranquilla sotto le lenzuola come se là fuori non ci fosse nessun individuo che probabilmente vuole violentarmi?

Pen chiuse gli occhi. Le palpebre sembravano caricate a molla. Tenerle abbassate richiedeva uno sforzo. Si tirò il cuscino sulla faccia e allacciò le mani sul ventre.

Così non mi addormenterò mai.

Forse è meglio.

Posso dormire domani, dopo che s’è fatto giorno. Allora sarò al sicuro. Resta sdraiata e rilassati. Cerca di pensare a cose piacevoli.

Invece di pensare a cose spiacevoli, Pen si ritrovò a chiedersi se c’erano altre precauzioni che poteva prendere. Chiamare la polizia? Probabilmente le avrebbero detto di cambiar numero di telefono. Ma questo non avrebbe impedito al verme di introdursi in casa, quando avesse sentito il bisogno prepotente di farlo.

Se soltanto avessi una pistola.

Be’, non ce l’hai.

Forse vado a prenderne una domani.

C’è da aspettare per avere una pistola, lo sapeva da una ricerca che aveva fatto. Circa due settimane.

Ma domani potrei uscire con un fucile da un negozio di armi. Il periodo di attesa vale solo per le pistole.

Allora compera un fucile.

E poi? Dormo con il fucile?

Sì…

Pen aprì gli occhi. Era rannicchiata sul fianco, le gambe allargate come se stesse correndo. La gamba di sotto era intorpidita. I jeans aderenti avevano bloccato la circolazione.

S’era addormentata, ma non abbastanza a lungo.

Sentì un penoso formicolio alla gamba, quando rotolò sulla schiena.

Chiuse di nuovo gli occhi.

E sentì un rumore di passi. Il cuore le batteva così forte da mozzarle il respiro. Giacque irrigidita, ascoltando. Sentì solo il battito del suo cuore. Poi un altro leggero rumore di passi. Non nell’appartamento, ma sul marciapiede di cemento proprio sotto la sua finestra.

La finestra era sopra la sua faccia.

Lei rotolò, cadde in ginocchio sul pavimento e prese il coltello sotto la rivista. Sempre in ginocchio, strisciò lontano dal letto. Si rialzò e si appoggiò contro la parete all’estremità della finestra.

Con un dito scostò la tendina di un centimetro. Nessuna faccia. Allora scostò la tenda quanto bastava per vedere con tutti e due gli occhi.

Là fuori c’era qualcuno.

Tirò un respiro così profondo che il petto si tese contro il reggiseno e l’indumento cedette. Lasciò uscire l’aria lentamente. Improvvisamente stanca, appoggiò la spalla alla parete e continuò a sbirciar fuori dalla finestra.

Alla porta dell’appartamento d’angolo, solo un paio di metri oltre la lunga finestra di Pen, Alicia Bonner stava abbarbicata al suo boyfriend. La diciottenne Alicia, che evidentemente si ispirava alla moda dei film di Mad Max, calzava stivali che facevano un leggero rumore sul marciapiede, mentre aggiustava la sua posizione contro la porta di casa.

Il tetto sporgente riparava Alicia e il suo amico dalla pioggia.

La ragazza spinse una mano sotto la cintura dei jeans di lui. Poi si contorse, le cosce strette attorno alla gamba sollevata del ragazzo.

Il mio grosso cazzo e la tua calda figa.

Dev’esserci un modo per cancellarlo dalla mente, pensò Pen. Riavvolgere il nastro, premere un tasto, cancellare la voce come la si cancella da un nastro magnetico.

Sentiva bisbigliare dietro la finestra.

Per quanto tempo continueranno?

Il tempo che ci vuole. Giusto.

Pen posò il coltello sul tavolo, si sdraiò sul letto, sistemò il cuscino sulla faccia e sospirò.

Finché rimangono là fuori, concluse, non devo preoccuparmi del mio amico.

Amico?

Cerca di dormire.

Nonostante il cuscino sulla testa, sentiva la pioggia, certi momenti un rumore di stivali sul cemento, qualche bisbiglio.

Grazie per fare da sentinelle, ragazzi.

Si accorse di rilassarsi, stava quasi per addormentarsi.

Va meglio, ma devo andare in bagno.

Con un gemito soffocato, si costrinse a scendere dal letto. Si slacciò i jeans mentre attraversava la stanza buia e stava abbassando la lampo quando si fermò a metà strada.

Ah, già.

Il cordone.

All’inferno.

Un piede avanti per non perdere l’equilibrio, ma il cordone lo trattenne.

Inciampò, tese le braccia mentre si tuffava oltre la porta. Andò a sbattere contro la parete del corridoio con la testa.

Le stelle. Una galassia. Che turbinavano.

Suonare. Pen sentì suonare.

Meglio che risponda al telefono.

Ma qualcuno le conficcava una forchetta nel cervello attraverso un foro rotondo nel cranio. Che scavava intorno tirando fuori pezzetti di materia grigia.

Meglio che risponda al telefono mentre mi rimane abbastanza cervello per…

Un momento. Ho staccato i due telefoni.

Lui.

Come può far squillare il telefono se l’apparecchio è staccato?

Non è il telefono, è il campanello della porta.

Le si strinse lo stomaco. Il suo cuore batteva all’impazzata, i colpi le rintronavano nella testa.

Si serrò la testa fra le mani con un gemito.