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«Qualcosa ti sta aspettando», sussurrai. Si trattava di timore reverenziale, puro e semplice. «E alla fine, dopo che avremo fini­to la nostra chiacchierata, se non ti dissolvi, dove andrai, di pre­ciso?»

Lui scosse la testa e guardò in cagnesco le bottiglie allineate sulla rastrelliera centrale, una marea di luce, colore, etichette. «Tutto ciò è seccante. Sta’ zitto.»

Vi era una certa acredine nella sua voce. Sta’ zitto. Intimarmi di tacere.

«Non posso prendermi cura di tua figlia», dichiarai.

«Cosa vuoi dire?» Mi lanciò un’occhiata furibonda e bevve un’altra sorsata del suo drink, poi fece cenno al barman di por­targliene un secondo.

«Hai intenzione di ubriacarti?» chiesi.

«Non credo di poterlo fare. Tu devi prenderti cura di lei. Di­venterà tutto di dominio pubblico, non capisci? Ho dei nemici che vorrebbero ucciderla solo perché era mia figlia. Non puoi immaginare quanto io sia prudente e quanto invece lei sia avven­tata, come creda nella divina provvidenza. E poi da una parte c’è il governo, coi suoi segugi, e dall’altra i miei oggetti, le mie reliquie, i miei libri!»

Ero affascinato. Per alcuni istanti avevo dimenticato che si trattava di un fantasma. Adesso i miei occhi non me ne fornivano più nessuna prova. Nessuna. Però lui non aveva odore e il flebile suono di vita che emetteva continuava ad avere ben poco a che fare con dei veri polmoni o un vero cuore.

«D’accordo, sarò sincero», disse. «Ho paura per lei. Deve aspettare che la sua notorietà svanisca; deve passare abbastanza tempo perché i miei nemici la dimentichino. La maggior parte di loro non sospetta la sua esistenza. Ma qualcuno potrebbe esserne a conoscenza. Anzi, lo sa sicuramente, come lo sapevi tu.»

«Non necessariamente. Io non sono un essere umano.»

«Devi proteggerla.»

«Non posso fare una cosa del genere. Non la farò.»

«Lestat, vuoi ascoltarmi?»

«No. Voglio che tu te ne vada.»

«Lo so.»

«Senti, non avevo intenzione di ucciderti, mi dispiace, è stato un errore, avrei dovuto scegliere qualcuno...» Mi tremavano le mani. Oh, come sarebbe sembrato affascinante tutto ciò in un se­condo tempo, ma allora supplicai Dio, tra tutte le persone possi­bili, di farlo smettere, di mettere fine a tutto quello.

«Sai dove sono nato, vero? Conosci quell’isolato di St. Char­les vicino a Jackson?» mi chiese.

Annuii. «La pensione. Non raccontarmi la storia della tua vi­ta. Non ce n’è motivo. Inoltre, è finita. Hai avuto la possibilità di scriverla quando eri vivo, esattamente come chiunque altro. Co­sa ti aspetti che me ne faccia?»

«Voglio raccontarti le cose importanti. Guardami! Guarda­mi, ti prego, cerca di capirmi, di amarmi e di amare Dora per me. Te ne supplico.»

Non avevo bisogno di vedere la sua espressione per compren­dere quell’atroce sofferenza, quel grido protettivo. Esiste forse al mondo una tortura capace di farci soffrire tanto quanto veder soffrire nostro figlio? I nostri cari? Le persone che ci sono più vi­cine? Dora, la minuta Dora che cammina nel convento deserto. Dora su uno schermo televisivo, le braccia protese, mentre canta.

Devo aver ansimato. Non ne sono sicuro. Devo aver tremato. Qualcosa del genere. Per un istante non riuscii a chiarirmi le idee, ma non era niente di sovrannaturale, solo infelicità e la consapevolezza che lui era lì, palpabile, visibile, che aspettava qual­cosa da me, e che c’era riuscito, era sopravvissuto in questa for­ma effimera abbastanza a lungo per estorcermi una promessa.

«Mi ami», mormorò. Sembrava sereno e affascinato, superio­re all’adulazione, superiore a me.

«Passione. Dipendeva dalla tua passione», mormorai.

«Sì, lo so. Ne sono lusingato. Non sono stato investito da un camion per strada né assassinato da un sicario. Mi hai ucciso tu! Tu, che sei sicuramente uno dei migliori tra loro.»

«Loro chi?»

«Voi, comunque vi chiamiate. Non sei umano. Eppure lo sei. Hai succhiato il sangue dal mio corpo, lo hai mescolato al tuo. Adesso ne stai traendo energia. Non sei sicuramente l’unico.» Distolse lo sguardo. «Vampiri», aggiunse. «Da bambino ho vi­sto dei fantasmi nella nostra casa di New Orleans.»

«Tutti vedono fantasmi, a New Orleans.»

Rise, suo malgrado, una risata breve, pacata. «Lo so, ma io li vidi davvero e in seguito ne ho visti ancora, in altri posti. Ma non ho mai creduto in Dio, nel Diavolo, negli angeli, nei vampiri, nei lupi mannari o fenomeni simili, cose che potrebbero influenzare il destino o cambiare il ritmo, imprecisato e apparentemente caotico, che governa l’universo.»

«Adesso credi in Dio?»

«No. Ho il vago sospetto che resisterò il più a lungo possibile in questa forma — come tutti i fantasmi che ho intravisto — e poi comincerò ad affievolirmi. Scomparirò. Come una luce. Ecco co­sa mi sta aspettando, l’oblio. E non è una questione personale. Lo sembra soltanto, perché la mia mente, ciò che ne rimane, ciò che si aggrappa alla terra qui, non riesce ad afferrare nient’altro. Cosa ne pensi?»

«Sono terrorizzato.» Non intendevo parlargli del Pedinatore. Non intendevo chiedergli della statua. Adesso sapevo che lui non c’entrava niente col fatto che la statua sembrasse viva. In quel momento era già morto, stava salendo.

«Sei terrorizzato? Be’,non sta succedendo a te. Tu fai in mo­do che succeda ad altri. Lascia che ti spieghi di Dora», disse ri­spettosamente.

«È bellissima. Io... io cercherò di prendermi cura di lei.»

«No, ha bisogno di qualcosa di più, da parte tua. Le serve un miracolo.»

«Un miracolo?»

«Senti, sei vivo, qualunque cosa tu sia, ma non sei umano. Puoi fare miracoli, vero? Potresti farne uno per Dora, non sareb­be affatto un problema per una creatura dotata dei tuoi poteri!»

«Ti riferisci a un falso miracolo religioso di qualche tipo?»

«Cos’altro? Lei non riuscirà mai a salvare il mondo senza un miracolo e lo sa benissimo. Tu potresti farlo!»

«Resti aggrappato alla terra e mi tormenti in questo bar solo per farmi una proposta così squallida! Non puoi essere salvato. Sei morto, eppure sei ancora un delinquente e un criminale. Ma sentiti! Vuoi che organizzi un falso spettacolo per Dora? Credi che lei vorrebbe una cosa simile?»

Lui era palesemente sbalordito; di gran lunga troppo sbalor­dito per sentirsi offeso. Posò il bicchiere e rimase seduto, tran­quillo e composto, come intento a esaminare il bar. Aveva un’aria dignitosa e dimostrava circa dieci anni di meno di quando lo ave­vo ucciso. Immagino che nessuno voglia tornare come fantasma se non con un aspetto gradevole. Era più che naturale. E io sentii accentuarsi la mia inevitabile e fatale fascinazione per quest’uo­mo, la mia vittima. Monsieur, il vostro sangue è dentro di me!

Lui si voltò. «Hai ragione. Hai perfettamente ragione. Non posso stringere un patto con te affinchè tu simuli dei miracoli per Dora. È mostruoso. Lei lo detesterebbe», disse in un sussur­ro straziato.

«Adesso sembri uno dei Grateful Dead», risposi.

Proruppe in un’altra risatina sprezzante, poi, con umiltà e me­stizia, disse: «Lestat, devi badare a lei... per un po’». Non otte­nendo risposta, insistette gentilmente: «Solo per un po’,finché i giornalisti non si arrendono e l’orrore dell’intera faccenda non svanisce; finché la fede di Dora non viene ristabilita, e lei non ri­diventa la Dora di sempre, ricominciando a vivere la propria vi­ta. Ha una sua vita, per ora. Non può soffrire per causa mia, Le­stat, non per causa mia, non è giusto».