«Quindi non li hai venduti per frequentare Loyola o Tulane?»
«Certo che no. Wynken che partecipava a orge con Blanche e le sue quattro amiche! Ero affascinato. Wynken era il mio santo in virtù del suo talento, e la sessualità divenne la mia religione perché era stata anche la sua, e in ogni parola filosofica che scriveva lui inseriva in codice l’amore carnale! Devi sapere che in realtà non ho mai creduto in nessuna dottrina religiosa, né allora né in seguito. Pensavo che la Chiesa cattolica stesse ormai morendo e che il protestantesimo fosse una farsa. Trascorsero anni prima che capissi che l’approccio protestante è fondamentalmente mistico, che aspira alla totale unità con Dio che Meister Eckhart avrebbe lodato e di cui Wynken scriveva.»
«Ti stai dimostrando molto generoso con l’approccio protestante. E Wynken scrisse davvero dell’unità con Dio?»
«Sì, tramite l’unione carnale con le donne! Lo diceva con cautela ma in modo chiaro: ‘Fra le tue braccia ho conosciuto la Trinità in modo più veritiero di quanto gli uomini possano insegnare’,cose del genere. Oh, questa era la nuova via, ne ero sicuro. Tuttavia all’epoca conoscevo il protestantesimo unicamente come materialismo, sterilità e turisti di fede battista che si ubriacavano a Bourbon Street perché non osavano farlo nelle proprie città natali.»
«Quando hai cambiato idea?» chiesi.
«Sto facendo considerazioni di carattere molto generale. Voglio dire che non vedevo speranze per le religioni che esistevano in Occidente nella nostra epoca. Dora è quasi dello stesso avviso, ma di lei parleremo fra poco.»
«Finiste la traduzione?»
«Sì, appena prima che padre Kevin venisse trasferito. Non lo rividi mai più. In seguito mi scrisse, ma ero già scappato di casa e mi trovavo a San Francisco. Me n’ero andato senza la benedizione di mia madre e avevo preso il Trailways Bus perché costava qualche cent in meno del Greyhound. Avevo in tasca meno di settantacinque dollari; avevo sperperato tutto ciò che il capitano mi aveva dato. E quando lui morì, con quanta accuratezza ripulirono quelle stanze i suoi parenti arrivati da Jackson, nel Mississippi! Presero tutto. Sono sempre stato convinto che il capitano mi avesse lasciato qualcosa, sai. Ma non m’importava, perché i libri rappresentavano il suo dono più grande, insieme con tutti quei pranzi al Monteleone Hotel, quando prendevamo insieme la zuppa con baccelli d’ibisco e lui mi ci lasciava spezzettare tutti i miei cracker salati finché non diventava un porridge. Una cosa che adoravo... Che stavo dicendo? Presi un biglietto per la California e misi da parte un gruzzoletto per comprare torta e caffè a ogni fermata. Successe una cosa buffa. Arrivai a un punto di non ritorno. Voglio dire che, quando attraversammo una certa cittadina del Texas, mi resi conto di non avere abbastanza soldi per tornare a casa, anche se avessi voluto farlo. Era notte fonda. Penso che la città fosse El Paso. Comunque sia, in quel momento capii che non potevo tornare indietro. Io però ero diretto a San Francisco, al quartiere di Haight Ashbury: là avrei fondato un culto basato sugli insegnamenti di Wynken, lodando l’amore e sostenendo che l’unione carnale era un’unione divina; inoltre avrei mostrato i suoi libri ai miei seguaci. Era questo il mio sogno benché, a dire il vero, non provassi assolutamente niente nei confronti di Dio. Nel giro di tre mesi scoprii che il mio credo non era poi così originale. L’intera città era piena di hippy che credevano nel libero amore e nell’accattonaggio e, anche se tenevo conferenze su Wynken davanti a larghe cerehie informali di amici, richiamando l’attenzione sui libri e recitando i salmi... in una versione molto edulcorata, naturalmente...»
«Lo immagino», commentai.
«... la mia principale attività era quella di manager di tre musicisti rock che volevano diventare famosi ma erano troppo fatti per ricordare le date degli ingaggi o incassare il ricavato all’uscita. Uno di loro, lo chiamavano Blue, cantava davvero bene; aveva una voce tenorile e una notevole estensione vocale. La band aveva un sound originale. O almeno così credevamo. La lettera di padre Kevin mi fu recapitata mentre vivevo nella soffitta della Spreckles Mansion nel Buena Vista Park. Conosci quell’edificio?»
«Sì. È diventato un albergo.»
«Precisamente, ma all’epoca era una casa privata e l’ultimo piano era costituito da una sala da ballo con bagno e cucinotto. Mancavano ancora parecchi anni alle prime ristrutturazioni. Nessuno aveva ancora inventato il bed and breakfast, e io mi limitai a prendere in affitto la sala da ballo: i musicisti suonavano lì, usavamo tutti il bagno e la cucina sudici e, durante il giorno, mentre loro dormivano sparpagliati sul pavimento, io sognavo di Wynken e mi chiedevo come avrei fatto a scoprire qualche altra informazione su di lui e cosa fossero queste poesie d’amore. Continuavo a fantasticare su quest’uomo. E quella soffitta... Solo adesso mi pongo alcune domande al riguardo. Aveva finestre affacciate su tre diversi punti cardinali, dotate di alti divanetti con cuscini di velluto vecchi e malconci. Potevi ammirare San Francisco in ogni direzione tranne l’est, se ben ricordo, ma non ho un senso dell’orientamento molto sviluppato. Ci piaceva sederci in queste alcove nel vano delle finestre a chiacchierare per ore. Ai miei amici piaceva sentir parlare di Wynken. Avevamo intenzione di scrivere canzoni ispirate alle sue poesie. Be’,non successe mai.»
«Wynken divenne la tua ossessione.»
«Proprio così. Lestat, devi tornare a prendere i miei libri, a prescindere da ciò che penserai di me quando avremo finito di parlare. Si trovano tutti nell’appartamento. Ogni volume che Wynken abbia mai realizzato. Rintracciarli per me è stato l’impegno di tutta una vita. Ho cominciato a spacciare droga per quei libri. Persino a Haight. Ma ti stavo raccontando di padre Kevin. Mi scrisse una lettera, dicendo di aver trovato il nome Wynken de Wilde in alcuni manoscritti e di aver scoperto che era il capo di una setta eretica e che era stato giustiziato. Aveva fondato una religione di sole adepte e le sue opere vennero ufficialmente condannate dalla Chiesa. Padre Kevin disse anche che tutto questo era ‘storia’ e che dovevo vendere i libri; mi avrebbe scritto di nuovo per comunicarmi ulteriori notizie. Non lo fece mai. E due mesi dopo io commisi un omicidio plurimo, spinto unicamente da un impulso, e questo cambiò il corso degli eventi.»
«A causa della droga che stavi spacciando?»
«In un certo senso, solo che non fui io a commettere l’errore. Blue spacciava più di me. Si portava in giro l’erba chiusa in valigie. Io trattavo solo in sacchetti, capisci, ne ricavavo tanto quanto mi fruttava la band. Ma Blue la smerciava a chili e ne perse due. Nessuno sapeva dove fossero finiti. Immaginavamo che li avesse dimenticati su un taxi, ma non lo scoprimmo mai. All’epoca, in giro c’era un sacco di ragazzi cretini. Cominciavano a spacciare senza rendersi conto che i fornitori erano delinquenti crudeli che non ci pensavano due volte prima di sparare in testa a qualcuno. Blue credeva di potersi trarre d’impiccio con la sua parlantina, si sarebbe inventato una scusa plausibile, avrebbe detto di essere stato derubato da alcuni amici, o roba del genere. I suoi contatti si fidavano di lui, diceva, gli avevano persino dato una pistola. La pistola era nel cassetto della cucina e loro gli avevano detto che forse prima o poi avrebbe dovuto usarla, ma di sicuro lui non l’avrebbe mai fatto. Probabilmente, quando sei fatto pensi che anche tutti gli altri lo siano. Questi tizi erano persone come noi, sosteneva, non c’era motivo di preoccuparsi, parlavano tanto per parlare. Molto presto saremmo diventati tutti famosi come Big Brother e la Holding Company e Janis Joplin. Vennero a cercarlo di giorno. Io ero l’unico che in quel momento si trovasse in casa, a parte lui. Blue era nella stanza grande, nella sala da ballo, fermo accanto alla porta d’ingresso a fornire una spiegazione evasiva a quei due tizi. Io mi trovavo in cucina, dove non potevano vedermi, e lo stavo a malapena ascoltando. Forse stavo studiando Wynken, non ne sono sicuro. Comunque, a poco a poco mi resi conto di che cosa stavano parlando, là nella sala da ballo. Quei due avevano intenzione di uccidere Blue. Continuavano a dirgli in tono piatto che era tutto a posto e lo sollecitavano ad andare con loro, avanti, dovevano uscire e, no, lui doveva seguirli subito e, no, doveva sbrigarsi. E poi uno di loro, scandendo le parole, disse in tono sommesso, crudele: ‘Avanti, amico!’ E per la prima volta Blue smise di blaterare le sue banalità da hippy, del tipo: ‘si sistemerà tutto, amico’,e ‘non ho fatto niente di male, amico’,e ci fu una pausa di silenzio. Capii che stavano per prendere Blue, sparargli e sbarazzarsi del cadavere. Era già successo ad altri ragazzi! Ne avevano parlato i giornali. Mi sentii rizzate i capelli. Seppi che Blue non aveva scampo e agii senza riflettere. Travolto da una scarica di adrenalina, mi dimenticai della pistola nel cassetto della cucina. Entrai nella sala da ballo. I due uomini erano più vecchi di noi, con l’aria da duri, non da hippy, non avevano proprio niente di hippy. Non erano nemmeno Hell’s Angels. Erano semplicemente dei killer. Entrambi sembrarono contrariati quando si resero conto che qualcosa ostacolava il loro piano di trascinare il mio amico fuori di lì. Ora, mi conosci, sai che sono vanitoso come te, all’epoca poi ero davvero convinto di avere una natura e un destino speciali; mi avvicinai a quei due sprizzando scintille, camminando come se stessi ballando. Pensavo che se Blue poteva morire, allora potevo morire anch’io. E all’epoca non potevo permettere che una cosa del genere succedesse a me, capisci?»